3 %% Copyright (C) 2000-2005 Simone Piccardi. Permission is granted to
4 %% copy, distribute and/or modify this document under the terms of the GNU Free
5 %% Documentation License, Version 1.1 or any later version published by the
6 %% Free Software Foundation; with the Invariant Sections being "Un preambolo",
7 %% with no Front-Cover Texts, and with no Back-Cover Texts. A copy of the
8 %% license is included in the section entitled "GNU Free Documentation
11 \chapter{L'interfaccia base con i processi}
12 \label{cha:process_interface}
14 Come accennato nell'introduzione il \textsl{processo} è l'unità di base con
15 cui un sistema unix-like alloca ed utilizza le risorse. Questo capitolo
16 tratterà l'interfaccia base fra il sistema e i processi, come vengono passati
17 gli argomenti, come viene gestita e allocata la memoria, come un processo può
18 richiedere servizi al sistema e cosa deve fare quando ha finito la sua
19 esecuzione. Nella sezione finale accenneremo ad alcune problematiche generiche
22 In genere un programma viene eseguito quando un processo lo fa partire
23 eseguendo una funzione della famiglia \func{exec}; torneremo su questo e sulla
24 creazione e gestione dei processi nel prossimo capitolo. In questo
25 affronteremo l'avvio e il funzionamento di un singolo processo partendo dal
26 punto di vista del programma che viene messo in esecuzione.
29 \section{Esecuzione e conclusione di un programma}
31 Uno dei concetti base di Unix è che un processo esegue sempre uno ed un solo
32 programma: si possono avere più processi che eseguono lo stesso programma ma
33 ciascun processo vedrà la sua copia del codice (in realtà il kernel fa sì che
34 tutte le parti uguali siano condivise), avrà un suo spazio di indirizzi,
35 variabili proprie e sarà eseguito in maniera completamente indipendente da
36 tutti gli altri.\footnote{questo non è del tutto vero nel caso di un programma
37 \textit{multi-thread}, ma la gestione dei \textit{thread} in Linux sarà
41 \subsection{La funzione \func{main}}
44 Quando un programma viene lanciato il kernel esegue un'opportuna routine di
45 avvio, usando il programma \cmd{ld-linux.so}. Questo programma prima carica
46 le librerie condivise che servono al programma, poi effettua il collegamento
47 dinamico del codice e alla fine lo esegue. Infatti, a meno di non aver
48 specificato il flag \texttt{-static} durante la compilazione, tutti i
49 programmi in Linux sono incompleti e necessitano di essere \textsl{collegati}
50 alle librerie condivise quando vengono avviati. La procedura è controllata da
51 alcune variabili di ambiente e dal contenuto di \file{/etc/ld.so.conf}. I
52 dettagli sono riportati nella man page di \cmd{ld.so}.
54 Il sistema fa partire qualunque programma chiamando la funzione \func{main};
55 sta al programmatore chiamare così la funzione principale del programma da cui
56 si suppone iniziare l'esecuzione; in ogni caso senza questa funzione lo stesso
57 \textit{linker} (si chiama così il programma che effettua i collegamenti di
58 cui sopra) darebbe luogo ad errori. Lo standard ISO C specifica che la
59 funzione \func{main} può non avere argomenti o prendere due argomenti che
60 rappresentano gli argomenti passati da linea di comando, in sostanza un
61 prototipo che va sempre bene è il seguente:
62 \includecodesnip{listati/main_def.c}
64 In realtà nei sistemi Unix esiste un altro modo per definire la funzione
65 \func{main}, che prevede la presenza di un terzo argomento, \code{char
66 *envp[]}, che fornisce (vedi sez.~\ref{sec:proc_environ})
67 l'\textsl{ambiente} del programma; questa forma però non è prevista dallo
68 standard POSIX.1 per cui se si vogliono scrivere programmi portabili è meglio
72 \subsection{Come chiudere un programma}
73 \label{sec:proc_conclusion}
75 Normalmente un programma finisce quando la funzione \func{main} ritorna, una
76 modalità equivalente di chiudere il programma è quella di chiamare
77 direttamente la funzione \func{exit} (che viene comunque chiamata
78 automaticamente quando \func{main} ritorna). Una forma alternativa è quella
79 di chiamare direttamente la system call \func{\_exit}, che restituisce il
80 controllo direttamente alla routine di conclusione dei processi del kernel.
82 Oltre alla conclusione ``\textsl{normale}'' esiste anche la possibilità di una
83 conclusione ``\textsl{anomala}'' del programma a causa della ricezione di un
84 segnale (si veda cap.~\ref{cha:signals}) o della chiamata alla funzione
85 \func{abort}; torneremo su questo in sez.~\ref{sec:proc_termination}.
87 Il valore di ritorno della funzione \func{main}, o quello usato nelle chiamate
88 ad \func{exit} e \func{\_exit}, viene chiamato \textsl{stato di uscita} (o
89 \textit{exit status}) e passato al processo che aveva lanciato il programma
90 (in genere la shell). In generale si usa questo valore per fornire
91 informazioni sulla riuscita o il fallimento del programma; l'informazione è
92 necessariamente generica, ed il valore deve essere compreso fra 0 e 255.
94 La convenzione in uso pressoché universale è quella di restituire 0 in caso di
95 successo e 1 in caso di fallimento; l'unica eccezione è per i programmi che
96 effettuano dei confronti (come \cmd{diff}), che usano 0 per indicare la
97 corrispondenza, 1 per indicare la non corrispondenza e 2 per indicare
98 l'incapacità di effettuare il confronto. È opportuno adottare una di queste
99 convenzioni a seconda dei casi. Si tenga presente che se si raggiunge la fine
100 della funzione \func{main} senza ritornare esplicitamente si ha un valore di
101 uscita indefinito, è pertanto consigliabile di concludere sempre in maniera
102 esplicita detta funzione.
104 Un'altra convenzione riserva i valori da 128 a 256 per usi speciali: ad
105 esempio 128 viene usato per indicare l'incapacità di eseguire un altro
106 programma in un sottoprocesso. Benché questa convenzione non sia
107 universalmente seguita è una buona idea tenerne conto.
109 Si tenga presente inoltre che non è una buona idea usare il codice di errore
110 restituito dalla variabile \var{errno} (per i dettagli si veda
111 sez.~\ref{sec:sys_errors}) come stato di uscita. In generale infatti una shell
112 non si cura del valore se non per vedere se è diverso da zero; inoltre il
113 valore dello stato di uscita è sempre troncato ad 8 bit, per cui si potrebbe
114 incorrere nel caso in cui restituendo un codice di errore 256, si otterrebbe
115 uno stato di uscita uguale a zero, che verrebbe interpretato come un successo.
117 In \file{stdlib.h} sono definite, seguendo lo standard POSIX, le due costanti
118 \const{EXIT\_SUCCESS} e \const{EXIT\_FAILURE}, da usare sempre per specificare
119 lo stato di uscita di un processo. In Linux esse sono poste rispettivamente ai
120 valori di tipo \ctyp{int} 0 e 1.
123 \subsection{Le funzioni \func{exit} e \func{\_exit}}
124 \label{sec:proc_exit}
126 Come accennato le funzioni usate per effettuare un'uscita ``\textit{normale}''
127 da un programma sono due, la prima è la funzione \funcd{exit}, che è definita
128 dallo standard ANSI C ed il cui prototipo è:
129 \begin{prototype}{stdlib.h}{void exit(int status)}
130 Causa la conclusione ordinaria del programma.
132 \bodydesc{La funzione non ritorna. Il processo viene terminato.}
135 La funzione \func{exit} è pensata per eseguire una conclusione pulita di un
136 programma che usi le librerie standard del C; essa esegue tutte le funzioni
137 che sono state registrate con \func{atexit} e \func{on\_exit} (vedi
138 sez.~\ref{sec:proc_atexit}), e chiude tutti gli stream effettuando il
139 salvataggio dei dati sospesi (chiamando \func{fclose}, vedi
140 sez.~\ref{sec:file_fopen}), infine passa il controllo al kernel chiamando
141 \func{\_exit} e restituendo il valore di \param{status} come stato di uscita.
143 La system call \funcd{\_exit} restituisce direttamente il controllo al kernel,
144 concludendo immediatamente il processo; i dati sospesi nei buffer degli stream
145 non vengono salvati e le eventuali funzioni registrate con \func{atexit} e
146 \func{on\_exit} non vengono eseguite. Il prototipo della funzione è:
147 \begin{prototype}{unistd.h}{void \_exit(int status)}
148 Causa la conclusione immediata del programma.
150 \bodydesc{La funzione non ritorna. Il processo viene terminato.}
153 La funzione chiude tutti i file descriptor appartenenti al processo (si tenga
154 presente che questo non comporta il salvataggio dei dati bufferizzati degli
155 stream), fa sì che ogni figlio del processo sia adottato da \cmd{init} (vedi
156 cap.~\ref{cha:process_handling}), manda un segnale \const{SIGCHLD} al processo
157 padre (vedi sez.~\ref{sec:sig_job_control}) ed infine ritorna lo stato di
158 uscita specificato in \param{status} che può essere raccolto usando la
159 funzione \func{wait} (vedi sez.~\ref{sec:proc_wait}).
162 \subsection{Le funzioni \func{atexit} e \func{on\_exit}}
163 \label{sec:proc_atexit}
165 Un'esigenza comune che si incontra nella programmazione è quella di dover
166 effettuare una serie di operazioni di pulizia (ad esempio salvare dei dati,
167 ripristinare delle impostazioni, eliminare dei file temporanei, ecc.) prima
168 della conclusione di un programma. In genere queste operazioni vengono fatte
169 in un'apposita sezione del programma, ma quando si realizza una libreria
170 diventa antipatico dover richiedere una chiamata esplicita ad una funzione di
171 pulizia al programmatore che la utilizza.
173 È invece molto meno soggetto ad errori, e completamente trasparente
174 all'utente, avere la possibilità di effettuare automaticamente la chiamata ad
175 una funzione che effettui tali operazioni all'uscita dal programma. A questo
176 scopo lo standard ANSI C prevede la possibilità di registrare un certo numero
177 di funzioni che verranno eseguite all'uscita dal programma (sia per la
178 chiamata ad \func{exit} che per il ritorno di \func{main}). La prima funzione
179 che si può utilizzare a tal fine è \funcd{atexit} il cui prototipo è:
180 \begin{prototype}{stdlib.h}{void atexit(void (*function)(void))}
181 Registra la funzione \param{function} per la chiamata all'uscita dal
184 \bodydesc{La funzione restituisce 0 in caso di successo e -1 in caso di
185 fallimento, \var{errno} non viene modificata.}
187 \noindent la funzione richiede come argomento l'indirizzo di una opportuna
188 funzione di pulizia da chiamare all'uscita del programma, che non deve
189 prendere argomenti e non deve ritornare niente (deve essere cioè definita come
190 \code{void function(void)}).
192 Un'estensione di \func{atexit} è la funzione \funcd{on\_exit}, che le
193 \acr{glibc} includono per compatibilità con SunOS, ma che non è detto sia
194 definita su altri sistemi; il suo prototipo è:
195 \begin{prototype}{stdlib.h}
196 {void on\_exit(void (*function)(int , void *), void *arg)}
197 Registra la funzione \param{function} per la chiamata all'uscita dal
200 \bodydesc{La funzione restituisce 0 in caso di successo e -1 in caso di
201 fallimento, \var{errno} non viene modificata.}
204 In questo caso la funzione da chiamare all'uscita prende i due argomenti
205 specificati nel prototipo, dovrà cioè essere definita come \code{void
206 function(int status, void *argp)}. Il primo argomento sarà inizializzato
207 allo stato di uscita con cui è stata chiamata \func{exit} ed il secondo al
208 puntatore \param{arg} passato come secondo argomento di \func{on\_exit}. Così
209 diventa possibile passare dei dati alla funzione di chiusura.
211 Nella sequenza di chiusura tutte le funzioni registrate verranno chiamate in
212 ordine inverso rispetto a quello di registrazione (ed una stessa funzione
213 registrata più volte sarà chiamata più volte); poi verranno chiusi tutti gli
214 stream aperti, infine verrà chiamata \func{\_exit}.
217 \subsection{Conclusioni}
218 \label{sec:proc_term_conclusion}
220 Data l'importanza dell'argomento è opportuno sottolineare ancora una volta che
221 in un sistema Unix l'unico modo in cui un programma può essere eseguito dal
222 kernel è attraverso la chiamata alla system call \func{execve} (o attraverso
223 una delle funzioni della famiglia \func{exec} che vedremo in
224 sez.~\ref{sec:proc_exec}).
226 Allo stesso modo l'unico modo in cui un programma può concludere
227 volontariamente la sua esecuzione è attraverso una chiamata alla system call
228 \func{\_exit}, o esplicitamente, o in maniera indiretta attraverso l'uso di
229 \func{exit} o il ritorno di \func{main}.
231 Uno schema riassuntivo che illustra le modalità con cui si avvia e conclude
232 normalmente un programma è riportato in fig.~\ref{fig:proc_prog_start_stop}.
236 \includegraphics[width=14cm]{img/proc_beginend}
237 \caption{Schema dell'avvio e della conclusione di un programma.}
238 \label{fig:proc_prog_start_stop}
241 Si ricordi infine che un programma può anche essere interrotto dall'esterno
242 attraverso l'uso di un segnale (modalità di conclusione non mostrata in
243 fig.~\ref{fig:proc_prog_start_stop}); torneremo su questo aspetto in
244 cap.~\ref{cha:signals}.
248 \section{I processi e l'uso della memoria}
249 \label{sec:proc_memory}
251 Una delle risorse base che ciascun processo ha a disposizione è la memoria, e
252 la gestione della memoria è appunto uno degli aspetti più complessi di un
253 sistema unix-like. In questa sezione, dopo una breve introduzione ai concetti
254 base, esamineremo come la memoria viene vista da parte di un programma in
255 esecuzione, e le varie funzioni utilizzabili per la sua gestione.
258 \subsection{I concetti generali}
259 \label{sec:proc_mem_gen}
261 Ci sono vari modi in cui i vari sistemi organizzano la memoria (ed i dettagli
262 di basso livello dipendono spesso in maniera diretta dall'architettura
263 dell'hardware), ma quello più tipico, usato dai sistemi unix-like come Linux è
264 la cosiddetta \textsl{memoria virtuale}\index{memoria~virtuale} che consiste
265 nell'assegnare ad ogni processo uno spazio virtuale di indirizzamento lineare,
266 in cui gli indirizzi vanno da zero ad un qualche valore massimo.\footnote{nel
267 caso di Linux fino al kernel 2.2 detto massimo era, per macchine a 32bit, di
268 2Gb. Con il kernel 2.4 ed il supporto per la \textit{high-memory} il limite
269 è stato esteso anche per macchine a 32 bit.}
271 Come accennato in cap.~\ref{cha:intro_unix} questo spazio di indirizzi è
272 virtuale e non corrisponde all'effettiva posizione dei dati nella RAM del
273 computer; in genere detto spazio non è neppure continuo (cioè non tutti gli
274 indirizzi possibili sono utilizzabili, e quelli usabili non sono
275 necessariamente adiacenti).
277 Per la gestione da parte del kernel la memoria virtuale viene divisa in pagine
278 di dimensione fissa (che ad esempio sono di 4kb su macchine a 32 bit e 8kb
279 sulle alpha, valori strettamente connessi all'hardware di gestione della
280 memoria),\footnote{con le versioni più recenti del kernel è possibile anche
281 utilizzare pagine di dimensioni maggiori, per sistemi con grandi
282 quantitativi di memoria in cui l'uso di pagine troppo piccole comporta una
283 perdita di prestazioni.} e ciascuna pagina della memoria virtuale è
284 associata ad un supporto che può essere una pagina di memoria reale o ad un
285 dispositivo di stoccaggio secondario (in genere lo spazio disco riservato alla
286 swap, o i file che contengono il codice).
288 Lo stesso pezzo di memoria reale (o di spazio disco) può fare da supporto a
289 diverse pagine di memoria virtuale appartenenti a processi diversi (come
290 accade in genere per le pagine che contengono il codice delle librerie
291 condivise). Ad esempio il codice della funzione \func{printf} starà su una
292 sola pagina di memoria reale che farà da supporto a tutte le pagine di memoria
293 virtuale di tutti i processi che hanno detta funzione nel loro codice.
295 La corrispondenza fra le pagine della \index{memoria~virtuale}memoria virtuale
296 e quelle della memoria fisica della macchina viene gestita in maniera
297 trasparente dall'hardware di gestione della memoria (la \textit{Memory
298 Management Unit} del processore). Poiché in genere la memoria fisica è solo
299 una piccola frazione della memoria virtuale, è necessario un meccanismo che
300 permetta di trasferire le pagine che servono dal supporto su cui si trovano in
301 memoria, eliminando quelle che non servono. Questo meccanismo è detto
302 \textsl{paginazione}\index{paginazione} (o \textit{paging}), ed è uno dei
303 compiti principali del kernel.
305 Quando un processo cerca di accedere ad una pagina che non è nella memoria
306 reale, avviene quello che viene chiamato un \textit{page
307 fault}\index{\textit{page~fault}}; l'hardware di gestione della memoria
308 genera un'interruzione e passa il controllo al kernel il quale sospende il
309 processo e si incarica di mettere in RAM la pagina richiesta (effettuando
310 tutte le operazioni necessarie per reperire lo spazio necessario), per poi
311 restituire il controllo al processo.
313 Dal punto di vista di un processo questo meccanismo è completamente
314 trasparente, e tutto avviene come se tutte le pagine fossero sempre
315 disponibili in memoria. L'unica differenza avvertibile è quella dei tempi di
316 esecuzione, che passano dai pochi nanosecondi necessari per l'accesso in RAM,
317 a tempi molto più lunghi, dovuti all'intervento del kernel.
319 Normalmente questo è il prezzo da pagare per avere un multitasking reale, ed
320 in genere il sistema è molto efficiente in questo lavoro; quando però ci siano
321 esigenze specifiche di prestazioni è possibile usare delle funzioni che
322 permettono di bloccare il meccanismo della paginazione\index{paginazione} e
323 mantenere fisse delle pagine in memoria (vedi sez.~\ref{sec:proc_mem_lock}).
326 \subsection{La struttura della memoria di un processo}
327 \label{sec:proc_mem_layout}
329 Benché lo spazio di indirizzi virtuali copra un intervallo molto ampio, solo
330 una parte di essi è effettivamente allocato ed utilizzabile dal processo; il
331 tentativo di accedere ad un indirizzo non allocato è un tipico errore che si
332 commette quando si è manipolato male un puntatore e genera quello che viene
333 chiamato un \textit{segmentation fault}. Se si tenta cioè di leggere o
334 scrivere da un indirizzo per il quale non esiste un'associazione della pagina
335 virtuale, il kernel risponde al relativo \textit{page
336 fault}\index{\textit{page~fault}} mandando un segnale \const{SIGSEGV} al
337 processo, che normalmente ne causa la terminazione immediata.
339 È pertanto importante capire come viene strutturata \textsl{la memoria
340 virtuale}\index{\textit{page~fault}} di un processo. Essa viene divisa in
341 \textsl{segmenti}, cioè un insieme contiguo di indirizzi virtuali ai quali il
342 processo può accedere. Solitamente un programma C viene suddiviso nei
346 \item Il segmento di testo o \textit{text segment}. Contiene il codice del
347 programma, delle funzioni di librerie da esso utilizzate, e le costanti.
348 Normalmente viene condiviso fra tutti i processi che eseguono lo stesso
349 programma (e anche da processi che eseguono altri programmi nel caso delle
350 librerie). Viene marcato in sola lettura per evitare sovrascritture
351 accidentali (o maliziose) che ne modifichino le istruzioni.
353 Viene allocato da \func{exec} all'avvio del programma e resta invariato
354 per tutto il tempo dell'esecuzione.
356 \item Il segmento dei dati o \textit{data segment}. Contiene le variabili
357 globali (cioè quelle definite al di fuori di tutte le funzioni che
358 compongono il programma) e le variabili statiche (cioè quelle dichiarate con
359 l'attributo \ctyp{static}). Di norma è diviso in due parti.
361 La prima parte è il segmento dei dati inizializzati, che contiene le
362 variabili il cui valore è stato assegnato esplicitamente. Ad esempio
364 \includecodesnip{listati/pi.c}
365 questo valore sarà immagazzinato in questo segmento. La memoria di questo
366 segmento viene preallocata all'avvio del programma e inizializzata ai valori
369 La seconda parte è il segmento dei dati non inizializzati, che contiene le
370 variabili il cui valore non è stato assegnato esplicitamente. Ad esempio se
372 \includecodesnip{listati/vect.c}
373 questo vettore sarà immagazzinato in questo segmento. Anch'esso viene
374 allocato all'avvio, e tutte le variabili vengono inizializzate a zero (ed i
375 puntatori a \val{NULL}).\footnote{si ricordi che questo vale solo per le
376 variabili che vanno nel segmento dati, e non è affatto vero in generale.}
378 Storicamente questa seconda parte del segmento dati viene chiamata BSS (da
379 \textit{Block Started by Symbol}). La sua dimensione è fissa.
381 \item Lo \textit{heap}. Tecnicamente lo si può considerare l'estensione del
382 segmento dati, a cui di solito è posto giusto di seguito. È qui che avviene
383 l'allocazione dinamica della memoria; può essere ridimensionato allocando e
384 disallocando la memoria dinamica con le apposite funzioni (vedi
385 sez.~\ref{sec:proc_mem_alloc}), ma il suo limite inferiore (quello adiacente
386 al segmento dati) ha una posizione fissa.
388 \item Il segmento di \textit{stack}, che contiene lo \textit{stack} del
389 programma. Tutte le volte che si effettua una chiamata ad una funzione è
390 qui che viene salvato l'indirizzo di ritorno e le informazioni dello stato
391 del chiamante (tipo il contenuto di alcuni registri della CPU). Poi la
392 funzione chiamata alloca qui lo spazio per le sue variabili locali: in
393 questo modo le funzioni possono essere chiamate ricorsivamente. Al ritorno
394 della funzione lo spazio è automaticamente rilasciato e
395 ``\textsl{ripulito}''. La pulizia in C e C++ viene fatta dal
396 chiamante.\footnote{a meno che non sia stato specificato l'utilizzo di una
397 calling convention diversa da quella standard.}
399 La dimensione di questo segmento aumenta seguendo la crescita dello stack
400 del programma, ma non viene ridotta quando quest'ultimo si restringe.
405 \includegraphics[height=11cm]{img/memory_layout}
406 \caption{Disposizione tipica dei segmenti di memoria di un processo.}
407 \label{fig:proc_mem_layout}
410 Una disposizione tipica di questi segmenti è riportata in
411 fig.~\ref{fig:proc_mem_layout}. Usando il comando \cmd{size} su un programma se
412 ne può stampare le dimensioni dei segmenti di testo e di dati (inizializzati e
413 BSS); si tenga presente però che il BSS non è mai salvato sul file che
414 contiene l'eseguibile, dato che viene sempre inizializzato a zero al
415 caricamento del programma.
418 \subsection{Allocazione della memoria per i programmi C}
419 \label{sec:proc_mem_alloc}
421 Il C supporta, a livello di linguaggio, soltanto due modalità di allocazione
422 della memoria: l'\textsl{allocazione statica} e l'\textsl{allocazione
425 L'\textsl{allocazione statica} è quella con cui sono memorizzate le variabili
426 globali e le variabili statiche, cioè le variabili il cui valore deve essere
427 mantenuto per tutta la durata del programma. Come accennato queste variabili
428 vengono allocate nel segmento dei dati all'avvio del programma (come parte
429 delle operazioni svolte da \func{exec}) e lo spazio da loro occupato non viene
430 liberato fino alla sua conclusione.
432 L'\textsl{allocazione automatica} è quella che avviene per gli argomenti di
433 una funzione e per le sue variabili locali (le cosiddette \textsl{variabili
434 automatiche}), che esistono solo per la durata della funzione. Lo spazio
435 per queste variabili viene allocato nello stack quando viene eseguita la
436 funzione e liberato quando si esce dalla medesima.
438 Esiste però un terzo tipo di allocazione, l'\textsl{allocazione dinamica}
439 della memoria, che non è prevista direttamente all'interno del linguaggio C,
440 ma che è necessaria quando il quantitativo di memoria che serve è
441 determinabile solo durante il corso dell'esecuzione del programma.
443 Il C non consente di usare variabili allocate dinamicamente, non è possibile
444 cioè definire in fase di programmazione una variabile le cui dimensioni
445 possano essere modificate durante l'esecuzione del programma. Per questo le
446 librerie del C forniscono una serie opportuna di funzioni per eseguire
447 l'allocazione dinamica di memoria (in genere nello heap). Le variabili il
448 cui contenuto è allocato in questo modo non potranno essere usate direttamente
449 come le altre, ma l'accesso sarà possibile solo in maniera indiretta,
450 attraverso dei puntatori.
453 \subsection{Le funzioni \func{malloc}, \func{calloc}, \func{realloc} e
455 \label{sec:proc_mem_malloc}
457 Le funzioni previste dallo standard ANSI C per la gestione della memoria sono
458 quattro: \funcd{malloc}, \funcd{calloc}, \funcd{realloc} e \funcd{free}, i
459 loro prototipi sono i seguenti:
462 \funcdecl{void *calloc(size\_t size)}
463 Alloca \param{size} byte nello heap. La memoria viene inizializzata a 0.
465 La funzione restituisce il puntatore alla zona di memoria allocata in caso
466 di successo e \val{NULL} in caso di fallimento, nel qual caso
467 \var{errno} assumerà il valore \errval{ENOMEM}.
468 \funcdecl{void *malloc(size\_t size)}
469 Alloca \param{size} byte nello heap. La memoria non viene inizializzata.
471 La funzione restituisce il puntatore alla zona di memoria allocata in caso
472 di successo e \val{NULL} in caso di fallimento, nel qual caso
473 \var{errno} assumerà il valore \errval{ENOMEM}.
474 \funcdecl{void *realloc(void *ptr, size\_t size)}
475 Cambia la dimensione del blocco allocato all'indirizzo \param{ptr}
476 portandola a \param{size}.
478 La funzione restituisce il puntatore alla zona di memoria allocata in caso
479 di successo e \val{NULL} in caso di fallimento, nel qual caso
480 \var{errno} assumerà il valore \errval{ENOMEM}.
481 \funcdecl{void free(void *ptr)}
482 Disalloca lo spazio di memoria puntato da \param{ptr}.
484 La funzione non ritorna nulla e non riporta errori.
486 Il puntatore ritornato dalle funzioni di allocazione è garantito essere sempre
487 allineato correttamente per tutti i tipi di dati; ad esempio sulle macchine a
488 32 bit in genere è allineato a multipli di 4 byte e sulle macchine a 64 bit a
491 In genere si usano le funzioni \func{malloc} e \func{calloc} per allocare
492 dinamicamente la quantità di memoria necessaria al programma indicata da
493 \param{size},\footnote{queste funzioni presentano un comportamento diverso fra
494 le \acr{glibc} e le \acr{uClib} quando il valore di \param{size} è nullo.
495 Nel primo caso viene comunque restituito un puntatore valido, anche se non è
496 chiaro a cosa esso possa fare riferimento, nel secondo caso viene restituito
497 \val{NULL}. Il comportamento è analogo con \code{realloc(NULL, 0)}.} e
498 siccome i puntatori ritornati sono di tipo generico non è necessario
499 effettuare un cast per assegnarli a puntatori al tipo di variabile per la
500 quale si effettua l'allocazione.
502 La memoria allocata dinamicamente deve essere esplicitamente rilasciata usando
503 \func{free}\footnote{le glibc provvedono anche una funzione \func{cfree}
504 definita per compatibilità con SunOS, che è deprecata.} una volta che non
505 sia più necessaria. Questa funzione vuole come argomento un puntatore
506 restituito da una precedente chiamata a una qualunque delle funzioni di
507 allocazione che non sia già stato liberato da un'altra chiamata a \func{free},
508 in caso contrario il comportamento della funzione è indefinito.
510 La funzione \func{realloc} si usa invece per cambiare (in genere aumentare) la
511 dimensione di un'area di memoria precedentemente allocata, la funzione vuole
512 in ingresso il puntatore restituito dalla precedente chiamata ad una
513 \func{malloc} (se è passato un valore \val{NULL} allora la funzione si
514 comporta come \func{malloc})\footnote{questo è vero per Linux e
515 l'implementazione secondo lo standard ANSI C, ma non è vero per alcune
516 vecchie implementazioni, inoltre alcune versioni delle librerie del C
517 consentivano di usare \func{realloc} anche per un puntatore liberato con
518 \func{free} purché non ci fossero state nel frattempo altre chiamate a
519 funzioni di allocazione, questa funzionalità è totalmente deprecata e non è
520 consentita sotto Linux.} ad esempio quando si deve far crescere la
521 dimensione di un vettore. In questo caso se è disponibile dello spazio
522 adiacente al precedente la funzione lo utilizza, altrimenti rialloca altrove
523 un blocco della dimensione voluta, copiandoci automaticamente il contenuto; lo
524 spazio aggiunto non viene inizializzato.
526 Si deve sempre avere ben presente il fatto che il blocco di memoria restituito
527 da \func{realloc} può non essere un'estensione di quello che gli si è passato
528 in ingresso; per questo si dovrà \emph{sempre} eseguire la riassegnazione di
529 \param{ptr} al valore di ritorno della funzione, e reinizializzare o provvedere
530 ad un adeguato aggiornamento di tutti gli altri puntatori all'interno del
531 blocco di dati ridimensionato.
533 Un errore abbastanza frequente (specie se si ha a che fare con vettori di
534 puntatori) è quello di chiamare \func{free} più di una volta sullo stesso
535 puntatore; per evitare questo problema una soluzione di ripiego è quella di
536 assegnare sempre a \val{NULL} ogni puntatore liberato con \func{free}, dato
537 che, quando l'argomento è un puntatore nullo, \func{free} non esegue nessuna
540 Le \acr{glibc} hanno un'implementazione delle routine di allocazione che è
541 controllabile dall'utente attraverso alcune variabili di ambiente, in
542 particolare diventa possibile tracciare questo tipo di errori usando la
543 variabile di ambiente \val{MALLOC\_CHECK\_} che quando viene definita mette in
544 uso una versione meno efficiente delle funzioni suddette, che però è più
545 tollerante nei confronti di piccoli errori come quello di chiamate doppie a
546 \func{free}. In particolare:
548 \item se la variabile è posta a zero gli errori vengono ignorati;
549 \item se è posta ad 1 viene stampato un avviso sullo \textit{standard error}
550 (vedi sez.~\ref{sec:file_std_stream});
551 \item se è posta a 2 viene chiamata \func{abort}, che in genere causa
552 l'immediata conclusione del programma.
555 Il problema più comune e più difficile da risolvere che si incontra con le
556 routine di allocazione è quando non viene opportunamente liberata la memoria
557 non più utilizzata, quello che in inglese viene chiamato \textit{memory
558 leak}\index{\textit{memory~leak}}, cioè una \textsl{perdita di memoria}.
560 Un caso tipico che illustra il problema è quello in cui in una subroutine si
561 alloca della memoria per uso locale senza liberarla prima di uscire. La
562 memoria resta così allocata fino alla terminazione del processo. Chiamate
563 ripetute alla stessa subroutine continueranno ad effettuare altre allocazioni,
564 causando a lungo andare un esaurimento della memoria disponibile (e la
565 probabile impossibilità di proseguire l'esecuzione del programma).
567 Il problema è che l'esaurimento della memoria può avvenire in qualunque
568 momento, in corrispondenza ad una qualunque chiamata di \func{malloc}, che può
569 essere in una sezione del codice che non ha alcuna relazione con la subroutine
570 che contiene l'errore. Per questo motivo è sempre molto difficile trovare un
571 \textit{memory leak}\index{\textit{memory~leak}}.
573 In C e C++ il problema è particolarmente sentito. In C++, per mezzo della
574 programmazione ad oggetti, il problema dei \textit{memory leak} è notevolmente
575 ridimensionato attraverso l'uso accurato di appositi oggetti come gli
576 \textit{smartpointers}. Questo però va a scapito delle prestazioni
577 dell'applicazione in esecuzione.
579 In altri linguaggi come il java e recentemente il C\# il problema non si pone
580 nemmeno perché la gestione della memoria viene fatta totalmente in maniera
581 automatica, ovvero il programmatore non deve minimamente preoccuparsi di
582 liberare la memoria allocata precedentemente quando non serve più, poiché il
583 framework gestisce automaticamente la cosiddetta \textit{garbage collection}.
584 In tal caso, attraverso meccanismi simili a quelli del \textit{reference
585 counting}, quando una zona di memoria precedentemente allocata non è più
586 riferita da nessuna parte del codice in esecuzione, può essere deallocata
587 automaticamente in qualunque momento dall'infrastruttura.
589 Anche questo va a scapito delle prestazioni dell'applicazione in esecuzione
590 (inoltre le applicazioni sviluppate con tali linguaggi di solito non sono
591 eseguibili compilati, come avviene invece per il C ed il C++, ed è necessaria
592 la presenza di una infrastruttura per la loro interpretazione e pertanto hanno
593 di per sé delle prestazioni più scadenti rispetto alle stesse applicazioni
594 compilate direttamente). Questo comporta però il problema della non
595 predicibilità del momento in cui viene deallocata la memoria precedentemente
596 allocata da un oggetto.
598 Per limitare l'impatto di questi problemi, e semplificare la ricerca di
599 eventuali errori, l'implementazione delle routine di allocazione delle
600 \acr{glibc} mette a disposizione una serie di funzionalità che permettono di
601 tracciare le allocazioni e le disallocazioni, e definisce anche una serie di
602 possibili \textit{hook} (\textsl{ganci}) che permettono di sostituire alle
603 funzioni di libreria una propria versione (che può essere più o meno
604 specializzata per il debugging). Esistono varie librerie che forniscono dei
605 sostituti opportuni delle routine di allocazione in grado, senza neanche
606 ricompilare il programma,\footnote{esempi sono \textit{Dmalloc}
607 \href{http://dmalloc.com/}{\textsf{http://dmalloc.com/}} di Gray Watson ed
608 \textit{Electric Fence} di Bruce Perens.} di eseguire diagnostiche anche
609 molto complesse riguardo l'allocazione della memoria.
612 \subsection{Le funzioni \func{alloca}, \func{brk} e \func{sbrk}}
613 \label{sec:proc_mem_sbrk_alloca}
615 Una possibile alternativa all'uso di \func{malloc}, che non soffre dei
616 problemi di \textit{memory leak}\index{\textit{memory~leak}} descritti in
617 precedenza, è la funzione \funcd{alloca}, che invece di allocare la memoria
618 nello heap usa il segmento di stack della funzione corrente. La sintassi è
619 identica a quella di \func{malloc}, il suo prototipo è:
620 \begin{prototype}{stdlib.h}{void *alloca(size\_t size)}
621 Alloca \param{size} byte nello stack.
623 \bodydesc{La funzione restituisce il puntatore alla zona di memoria allocata
624 in caso di successo e \val{NULL} in caso di fallimento, nel qual caso
625 \var{errno} assumerà il valore \errval{ENOMEM}.}
628 La funzione alloca la quantità di memoria (non inizializzata) richiesta
629 dall'argomento \param{size} nel segmento di stack della funzione chiamante.
630 Con questa funzione non è più necessario liberare la memoria allocata (e
631 quindi non esiste un analogo della \func{free}) in quanto essa viene
632 rilasciata automaticamente al ritorno della funzione.
634 Come è evidente questa funzione ha molti vantaggi, anzitutto permette di
635 evitare alla radice i problemi di memory leak\index{\textit{memory~leak}},
636 dato che non serve più la deallocazione esplicita; inoltre la deallocazione
637 automatica funziona anche quando si usa \func{longjmp} per uscire da una
638 subroutine con un salto non locale da una funzione (vedi
639 sez.~\ref{sec:proc_longjmp}).
641 Un altro vantaggio è che in Linux la funzione è molto più veloce di
642 \func{malloc} e non viene sprecato spazio, infatti non è necessario gestire un
643 pool di memoria da riservare e si evitano così anche i problemi di
644 frammentazione di quest'ultimo, che comportano inefficienze sia
645 nell'allocazione della memoria che nell'esecuzione dell'allocazione.
647 Gli svantaggi sono che questa funzione non è disponibile su tutti gli Unix, e
648 non è inserita né nello standard POSIX né in SUSv3 (ma è presente in BSD), il
649 suo utilizzo quindi limita la portabilità dei programmi. Inoltre la funzione
650 non può essere usata nella lista degli argomenti di una funzione, perché lo
651 spazio verrebbe allocato nel mezzo degli stessi.
653 % Questo è riportato solo dal manuale delle glibc, nelle pagine di manuale non c'è
654 % traccia di tutto ciò
657 %cerca di allocare troppa memoria non si ottiene un messaggio di errore, ma un
658 %segnale di \textit{segment violation} analogo a quello che si avrebbe da una
659 %ricorsione infinita.
661 Inoltre non è chiaramente possibile usare \func{alloca} per allocare memoria
662 che deve poi essere usata anche al di fuori della funzione in cui essa viene
663 chiamata, dato che all'uscita dalla funzione lo spazio allocato diventerebbe
664 libero, e potrebbe essere sovrascritto all'invocazione di nuove funzioni.
665 Questo è lo stesso problema che si può avere con le variabili automatiche, su
666 cui torneremo in sez.~\ref{sec:proc_auto_var}.
669 Le due funzioni seguenti vengono utilizzate soltanto quando è necessario
670 effettuare direttamente la gestione della memoria associata allo spazio dati
671 di un processo, ad esempio qualora si debba implementare la propria versione
672 delle routine di allocazione della memoria viste in
673 sez.~\ref{sec:proc_mem_malloc}. La prima funzione è \funcd{brk}, ed il suo
675 \begin{prototype}{unistd.h}{int brk(void *end\_data\_segment)}
676 Sposta la fine del segmento dei dati.
678 \bodydesc{La funzione restituisce 0 in caso di successo e -1 in caso di
679 fallimento, nel qual caso \var{errno} assumerà il valore \errval{ENOMEM}.}
682 La funzione è un'interfaccia diretta all'omonima system call ed imposta
683 l'indirizzo finale del segmento dati di un processo all'indirizzo specificato
684 da \param{end\_data\_segment}. Quest'ultimo deve essere un valore ragionevole,
685 ed inoltre la dimensione totale del segmento non deve comunque eccedere un
686 eventuale limite (si veda sez.~\ref{sec:sys_resource_limit}) imposto sulle
687 dimensioni massime dello spazio dati del processo.
689 La seconda funzione per la manipolazione delle dimensioni del segmento
690 dati\footnote{in questo caso si tratta soltanto di una funzione di libreria, e
691 non di una system call.} è \funcd{sbrk}, ed il suo prototipo è:
692 \begin{prototype}{unistd.h}{void *sbrk(ptrdiff\_t increment)}
693 Incrementa la dimensione dello spazio dati.
695 \bodydesc{La funzione restituisce il puntatore all'inizio della nuova zona
696 di memoria allocata in caso di successo e \val{NULL} in caso di
697 fallimento, nel qual caso \var{errno} assumerà il valore \errval{ENOMEM}.}
699 \noindent la funzione incrementa la dimensione lo spazio dati di un programma
700 di \param{increment} byte, restituendo il nuovo indirizzo finale dello stesso.
701 Un valore nullo permette di ottenere l'attuale posizione della fine del
704 Queste funzioni sono state deliberatamente escluse dallo standard POSIX.1 e
705 per i programmi normali è sempre opportuno usare le funzioni di allocazione
706 standard descritte in precedenza, che sono costruite su di esse.
709 % \subsection{La personalizzazione delle funzioni di allocazione}
710 % \label{sec:proc_mem_malloc_custom}
713 \subsection{Il controllo della memoria virtuale}
714 \label{sec:proc_mem_lock}
716 \index{memoria~virtuale|(}
717 Come spiegato in sez.~\ref{sec:proc_mem_gen} il kernel gestisce la memoria
718 virtuale in maniera trasparente ai processi, decidendo quando rimuovere pagine
719 dalla memoria per metterle nello swap, sulla base dell'utilizzo corrente da
720 parte dei vari processi.
722 Nell'uso comune un processo non deve preoccuparsi di tutto ciò, in quanto il
723 meccanismo della paginazione\index{paginazione} riporta in RAM, ed in maniera
724 trasparente, tutte le pagine che gli occorrono; esistono però esigenze
725 particolari in cui non si vuole che questo meccanismo si attivi. In generale i
726 motivi per cui si possono avere di queste necessità sono due:
728 \item \textsl{La velocità}. Il processo della paginazione\index{paginazione} è
729 trasparente solo se il programma in esecuzione non è sensibile al tempo che
730 occorre a riportare la pagina in memoria; per questo motivo processi critici
731 che hanno esigenze di tempo reale o tolleranze critiche nelle risposte (ad
732 esempio processi che trattano campionamenti sonori) possono non essere in
733 grado di sopportare le variazioni della velocità di accesso dovuta alla
736 In certi casi poi un programmatore può conoscere meglio dell'algoritmo di
737 allocazione delle pagine le esigenze specifiche del suo programma e decidere
738 quali pagine di memoria è opportuno che restino in memoria per un aumento
739 delle prestazioni. In genere queste sono esigenze particolari e richiedono
740 anche un aumento delle priorità in esecuzione del processo (vedi
741 sez.~\ref{sec:proc_real_time}).
743 \item \textsl{La sicurezza}. Se si hanno password o chiavi segrete in chiaro
744 in memoria queste possono essere portate su disco dal meccanismo della
745 paginazione\index{paginazione}. Questo rende più lungo il periodo di tempo
746 in cui detti segreti sono presenti in chiaro e più complessa la loro
747 cancellazione (un processo può cancellare la memoria su cui scrive le sue
748 variabili, ma non può toccare lo spazio disco su cui una pagina di memoria
749 può essere stata salvata). Per questo motivo di solito i programmi di
750 crittografia richiedono il blocco di alcune pagine di memoria.
753 \index{\textit{memory~locking}|(}
754 Il meccanismo che previene la paginazione\index{paginazione} di parte della
755 memoria virtuale di un processo è chiamato \textit{memory locking} (o
756 \textsl{blocco della memoria}). Il blocco è sempre associato alle pagine della
757 memoria virtuale del processo, e non al segmento reale di RAM su cui essa
760 La regola è che se un segmento di RAM fa da supporto ad almeno una pagina
761 bloccata allora esso viene escluso dal meccanismo della
762 paginazione\index{paginazione}. I blocchi non si accumulano, se si blocca due
763 volte la stessa pagina non è necessario sbloccarla due volte, una pagina o è
766 Il \textit{memory lock} persiste fintanto che il processo che detiene la
767 memoria bloccata non la sblocca. Chiaramente la terminazione del processo
768 comporta anche la fine dell'uso della sua memoria virtuale, e quindi anche di
769 tutti i suoi \textit{memory lock}. Infine i \textit{memory lock} non sono
770 ereditati dai processi figli.\footnote{ma siccome Linux usa il \textit{copy on
771 write} (vedi sez.~\ref{sec:proc_fork}) gli indirizzi virtuali del figlio
772 sono mantenuti sullo stesso segmento di RAM del padre, quindi fintanto che
773 un figlio non scrive su un segmento, può usufruire del \textit{memory lock}
776 Siccome la richiesta di un \textit{memory lock} da parte di un processo riduce
777 la memoria fisica disponibile nel sistema, questo ha un evidente impatto su
778 tutti gli altri processi, per cui solo un processo con i privilegi di
779 amministratore (vedremo in sez.~\ref{sec:proc_perms} cosa significa) ha la
780 capacità di bloccare una pagina. Ogni processo può però sbloccare le pagine
781 relative alla propria memoria.
783 Il sistema pone dei limiti all'ammontare di memoria di un processo che può
784 essere bloccata e al totale di memoria fisica che si può dedicare a questo, lo
785 standard POSIX.1 richiede che sia definita in \file{unistd.h} la macro
786 \macro{\_POSIX\_MEMLOCK\_RANGE} per indicare la capacità di eseguire il
787 \textit{memory locking} e la costante \const{PAGESIZE} in \file{limits.h} per
788 indicare la dimensione di una pagina in byte.
790 Le funzioni per bloccare e sbloccare la paginazione\index{paginazione} di
791 singole sezioni di memoria sono \funcd{mlock} e \funcd{munlock}; i loro
794 \headdecl{sys/mman.h}
796 \funcdecl{int mlock(const void *addr, size\_t len)}
797 Blocca la paginazione su un intervallo di memoria.
799 \funcdecl{int munlock(const void *addr, size\_t len)}
800 Rimuove il blocco della paginazione su un intervallo di memoria.
803 \bodydesc{Entrambe le funzioni ritornano 0 in caso di successo e -1 in
804 caso di errore, nel qual caso \var{errno} assumerà uno dei
807 \item[\errcode{ENOMEM}] alcuni indirizzi dell'intervallo specificato non
808 corrispondono allo spazio di indirizzi del processo o si è ecceduto
809 il numero massimo consentito di pagine bloccate.
810 \item[\errcode{EINVAL}] \param{len} non è un valore positivo.
812 e, per \func{mlock}, anche \errval{EPERM} quando il processo non ha i
813 privilegi richiesti per l'operazione.}
816 Le due funzioni permettono rispettivamente di bloccare e sbloccare la
817 paginazione\index{paginazione} per l'intervallo di memoria specificato dagli
818 argomenti, che ne indicano nell'ordine l'indirizzo iniziale e la lunghezza.
819 Tutte le pagine che contengono una parte dell'intervallo bloccato sono
820 mantenute in RAM per tutta la durata del blocco.
822 Altre due funzioni, \funcd{mlockall} e \funcd{munlockall}, consentono di
823 bloccare genericamente la paginazione\index{paginazione} per l'intero spazio
824 di indirizzi di un processo. I prototipi di queste funzioni sono:
826 \headdecl{sys/mman.h}
828 \funcdecl{int mlockall(int flags)}
829 Blocca la paginazione per lo spazio di indirizzi del processo corrente.
831 \funcdecl{int munlockall(void)}
832 Sblocca la paginazione per lo spazio di indirizzi del processo corrente.
834 \bodydesc{Codici di ritorno ed errori sono gli stessi di \func{mlock}
838 L'argomento \param{flags} di \func{mlockall} permette di controllarne il
839 comportamento; esso può essere specificato come l'OR aritmetico delle due
841 \begin{basedescript}{\desclabelwidth{2.5cm}}
842 \item[\const{MCL\_CURRENT}] blocca tutte le pagine correntemente mappate nello
843 spazio di indirizzi del processo.
844 \item[\const{MCL\_FUTURE}] blocca tutte le pagine che verranno mappate nello
845 spazio di indirizzi del processo.
848 Con \func{mlockall} si possono bloccare tutte le pagine mappate nello spazio
849 di indirizzi del processo, sia che comprendano il segmento di testo, di dati,
850 lo stack, lo heap e pure le funzioni di libreria chiamate, i file mappati in
851 memoria, i dati del kernel mappati in user space, la memoria condivisa. L'uso
852 dei flag permette di selezionare con maggior finezza le pagine da bloccare, ad
853 esempio limitandosi a tutte le pagine allocate a partire da un certo momento.
855 In ogni caso un processo real-time che deve entrare in una sezione critica
856 deve provvedere a riservare memoria sufficiente prima dell'ingresso, per
857 scongiurare l'occorrenza di un eventuale \textit{page
858 fault}\index{\textit{page~fault}} causato dal meccanismo di \textit{copy on
859 write}\index{\textit{copy~on~write}}. Infatti se nella sezione critica si
860 va ad utilizzare memoria che non è ancora stata riportata in RAM si potrebbe
861 avere un page fault durante l'esecuzione della stessa, con conseguente
862 rallentamento (probabilmente inaccettabile) dei tempi di esecuzione.
864 In genere si ovvia a questa problematica chiamando una funzione che ha
865 allocato una quantità sufficientemente ampia di variabili automatiche, in modo
866 che esse vengano mappate in RAM dallo stack, dopo di che, per essere sicuri
867 che esse siano state effettivamente portate in memoria, ci si scrive sopra.
868 \index{memoria~virtuale|)}
869 \index{\textit{memory~locking}|)}
873 \section{Argomenti, opzioni ed ambiente di un processo}
874 \label{sec:proc_options}
876 Tutti i programmi hanno la possibilità di ricevere argomenti e opzioni quando
877 vengono lanciati. Il passaggio degli argomenti è effettuato attraverso gli
878 argomenti \param{argc} e \param{argv} della funzione \func{main}, che vengono
879 passati al programma dalla shell (o dal processo che esegue la \func{exec},
880 secondo le modalità che vedremo in sez.~\ref{sec:proc_exec}) quando questo
881 viene messo in esecuzione.
883 Oltre al passaggio degli argomenti, un'altra modalità che permette di passare
884 delle informazioni che modifichino il comportamento di un programma è quello
885 dell'uso del cosiddetto \textit{environment} (cioè l'uso delle
886 \textsl{variabili di ambiente}). In questa sezione esamineremo le funzioni che
887 permettono di gestire argomenti ed opzioni, e quelle che consentono di
888 manipolare ed utilizzare le variabili di ambiente.
891 \subsection{Il formato degli argomenti}
892 \label{sec:proc_par_format}
893 In genere il passaggio degli argomenti al programma viene effettuato dalla
894 shell, che si incarica di leggere la linea di comando e di effettuarne la
895 scansione (il cosiddetto \textit{parsing}) per individuare le parole che la
896 compongono, ciascuna delle quali viene considerata un argomento. Di norma per
897 individuare le parole viene usato come carattere di separazione lo spazio o il
898 tabulatore, ma il comportamento è modificabile attraverso l'impostazione della
899 variabile di ambiente \cmd{IFS}.
903 \includegraphics[width=13cm]{img/argv_argc}
904 \caption{Esempio dei valori di \param{argv} e \param{argc} generati nella
905 scansione di una riga di comando.}
906 \label{fig:proc_argv_argc}
909 Nella scansione viene costruito il vettore di puntatori \param{argv} inserendo
910 in successione il puntatore alla stringa costituente l'$n$-simo argomento; la
911 variabile \param{argc} viene inizializzata al numero di argomenti trovati, in
912 questo modo il primo argomento è sempre il nome del programma; un esempio di
913 questo meccanismo è mostrato in fig.~\ref{fig:proc_argv_argc}.
916 \subsection{La gestione delle opzioni}
917 \label{sec:proc_opt_handling}
919 In generale un programma Unix riceve da linea di comando sia gli argomenti che
920 le opzioni, queste ultime sono standardizzate per essere riconosciute come
921 tali: un elemento di \param{argv} che inizia con il carattere \texttt{'-'} e
922 che non sia un singolo \texttt{'-'} o un \texttt{'-{}-'} viene considerato
923 un'opzione. In genere le opzioni sono costituite da una lettera singola
924 (preceduta dal carattere \cmd{'-'}) e possono avere o no un parametro
925 associato; un comando tipico può essere quello mostrato in
926 fig.~\ref{fig:proc_argv_argc}. In quel caso le opzioni sono \cmd{-r} e \cmd{-m}
927 e la prima vuole un parametro mentre la seconda no (\cmd{questofile.txt} è un
928 argomento del programma, non un parametro di \cmd{-m}).
930 Per gestire le opzioni all'interno dei argomenti a linea di comando passati in
931 \param{argv} le librerie standard del C forniscono la funzione \funcd{getopt},
932 che ha il seguente prototipo:
933 \begin{prototype}{unistd.h}
934 {int getopt(int argc, char *const argv[], const char *optstring)}
935 Esegue il parsing degli argomenti passati da linea di comando
936 riconoscendo le possibili opzioni segnalate con \param{optstring}.
938 \bodydesc{Ritorna il carattere che segue l'opzione, \cmd{':'} se manca un
939 parametro all'opzione, \cmd{'?'} se l'opzione è sconosciuta, e -1 se non
940 esistono altre opzioni.}
943 Questa funzione prende come argomenti le due variabili \param{argc} e
944 \param{argv} passate a \func{main} ed una stringa che indica quali sono le
945 opzioni valide; la funzione effettua la scansione della lista degli argomenti
946 ricercando ogni stringa che comincia con \cmd{-} e ritorna ogni volta che
947 trova un'opzione valida.
949 La stringa \param{optstring} indica quali sono le opzioni riconosciute ed è
950 costituita da tutti i caratteri usati per identificare le singole opzioni, se
951 l'opzione ha un parametro al carattere deve essere fatto seguire un segno di
952 due punti \texttt{':'}; nel caso di fig.~\ref{fig:proc_argv_argc} ad esempio la
953 stringa di opzioni avrebbe dovuto contenere \texttt{"r:m"}.
955 La modalità di uso di \func{getopt} è pertanto quella di chiamare più volte la
956 funzione all'interno di un ciclo, fintanto che essa non ritorna il valore -1
957 che indica che non ci sono più opzioni. Nel caso si incontri un'opzione non
958 dichiarata in \param{optstring} viene ritornato il carattere \texttt{'?'}
959 mentre se un'opzione che lo richiede non è seguita da un parametro viene
960 ritornato il carattere \texttt{':'}, infine se viene incontrato il valore
961 \texttt{'-{}-'} la scansione viene considerata conclusa, anche se vi sono altri
962 elementi di \param{argv} che cominciano con il carattere \texttt{'-'}.
965 \footnotesize \centering
966 \begin{minipage}[c]{15.6cm}
967 \includecodesample{listati/option_code.c}
970 \caption{Esempio di codice per la gestione delle opzioni.}
971 \label{fig:proc_options_code}
974 Quando la funzione trova un'opzione essa ritorna il valore numerico del
975 carattere, in questo modo si possono eseguire azioni specifiche usando uno
976 \code{switch}; \func{getopt} inoltre inizializza alcune variabili globali:
978 \item \var{char *optarg} contiene il puntatore alla stringa parametro
980 \item \var{int optind} alla fine della scansione restituisce l'indice del
981 primo elemento di \param{argv} che non è un'opzione.
982 \item \var{int opterr} previene, se posto a zero, la stampa di un messaggio
983 di errore in caso di riconoscimento di opzioni non definite.
984 \item \var{int optopt} contiene il carattere dell'opzione non riconosciuta.
987 In fig.~\ref{fig:proc_options_code} è mostrata la sezione del programma
988 \file{ForkTest.c} (che useremo nel prossimo capitolo per effettuare dei test
989 sulla creazione dei processi) deputata alla decodifica delle opzioni a riga di
992 Si può notare che si è anzitutto (\texttt{\small 1}) disabilitata la stampa di
993 messaggi di errore per opzioni non riconosciute, per poi passare al ciclo per
994 la verifica delle opzioni (\texttt{\small 2-27}); per ciascuna delle opzioni
995 possibili si è poi provveduto ad un'azione opportuna, ad esempio per le tre
996 opzioni che prevedono un parametro si è effettuata la decodifica del medesimo
997 (il cui indirizzo è contenuto nella variabile \var{optarg}) avvalorando la
998 relativa variabile (\texttt{\small 12-14}, \texttt{\small 15-17} e
999 \texttt{\small 18-20}). Completato il ciclo troveremo in \var{optind} l'indice
1000 in \code{argv[]} del primo degli argomenti rimanenti nella linea di comando.
1002 Normalmente \func{getopt} compie una permutazione degli elementi di
1003 \param{argv} cosicché alla fine della scansione gli elementi che non sono
1004 opzioni sono spostati in coda al vettore. Oltre a questa esistono altre due
1005 modalità di gestire gli elementi di \param{argv}; se \param{optstring} inizia
1006 con il carattere \texttt{'+'} (o è impostata la variabile di ambiente
1007 \macro{POSIXLY\_CORRECT}) la scansione viene fermata non appena si incontra un
1008 elemento che non è un'opzione. L'ultima modalità, usata quando un programma
1009 può gestire la mescolanza fra opzioni e argomenti, ma se li aspetta in un
1010 ordine definito, si attiva quando \param{optstring} inizia con il carattere
1011 \texttt{'-'}. In questo caso ogni elemento che non è un'opzione viene
1012 considerato comunque un'opzione e associato ad un valore di ritorno pari ad 1,
1013 questo permette di identificare gli elementi che non sono opzioni, ma non
1014 effettua il riordinamento del vettore \param{argv}.
1017 \subsection{Opzioni in formato esteso}
1018 \label{sec:proc_opt_extended}
1020 Un'estensione di questo schema è costituita dalle cosiddette
1021 \textit{long-options} espresse nella forma \cmd{-{}-option=parameter}, anche
1022 la gestione di queste ultime è stata standardizzata attraverso l'uso di una
1023 versione estesa di \func{getopt}.
1025 (NdA: questa parte verrà inserita in seguito).
1028 \subsection{Le variabili di ambiente}
1029 \label{sec:proc_environ}
1031 Oltre agli argomenti passati a linea di comando ogni processo riceve dal
1032 sistema un \textsl{ambiente}, nella forma di una lista di variabili (detta
1033 \textit{environment list}) messa a disposizione dal processo, e costruita
1034 nella chiamata alla funzione \func{exec} quando questo viene lanciato.
1036 Come per la lista degli argomenti anche questa lista è un vettore di puntatori
1037 a caratteri, ciascuno dei quali punta ad una stringa, terminata da un
1038 \val{NULL}. A differenza di \code{argv[]} in questo caso non si ha una
1039 lunghezza del vettore data da un equivalente di \param{argc}, ma la lista è
1040 terminata da un puntatore nullo.
1042 L'indirizzo della lista delle variabili di ambiente è passato attraverso la
1043 variabile globale \var{environ}, a cui si può accedere attraverso una semplice
1044 dichiarazione del tipo:
1045 \includecodesnip{listati/env_ptr.c}
1046 un esempio della struttura di questa lista, contenente alcune delle variabili
1047 più comuni che normalmente sono definite dal sistema, è riportato in
1048 fig.~\ref{fig:proc_envirno_list}.
1051 \includegraphics[width=13cm]{img/environ_var}
1052 \caption{Esempio di lista delle variabili di ambiente.}
1053 \label{fig:proc_envirno_list}
1056 Per convenzione le stringhe che definiscono l'ambiente sono tutte del tipo
1057 \textsl{\texttt{nome=valore}}. Inoltre alcune variabili, come quelle elencate
1058 in fig.~\ref{fig:proc_envirno_list}, sono definite dal sistema per essere usate
1059 da diversi programmi e funzioni: per queste c'è l'ulteriore convenzione di
1060 usare nomi espressi in caratteri maiuscoli.\footnote{la convenzione vuole che
1061 si usino dei nomi maiuscoli per le variabili di ambiente di uso generico, i
1062 nomi minuscoli sono in genere riservati alle variabili interne degli script
1065 Il kernel non usa mai queste variabili, il loro uso e la loro interpretazione è
1066 riservata alle applicazioni e ad alcune funzioni di libreria; in genere esse
1067 costituiscono un modo comodo per definire un comportamento specifico senza
1068 dover ricorrere all'uso di opzioni a linea di comando o di file di
1069 configurazione. É di norma cura della shell, quando esegue un comando, passare
1070 queste variabili al programma messo in esecuzione attraverso un uso opportuno
1071 delle relative chiamate (si veda sez.~\ref{sec:proc_exec}).
1073 La shell ad esempio ne usa molte per il suo funzionamento (come \texttt{PATH}
1074 per la ricerca dei comandi, o \texttt{IFS} per la scansione degli argomenti),
1075 e alcune di esse (come \texttt{HOME}, \texttt{USER}, ecc.) sono definite al
1076 login (per i dettagli si veda sez.~\ref{sec:sess_login}). In genere è cura
1077 dell'amministratore definire le opportune variabili di ambiente in uno script
1078 di avvio. Alcune servono poi come riferimento generico per molti programmi
1079 (come \texttt{EDITOR} che indica l'editor preferito da invocare in caso di
1082 Gli standard POSIX e XPG3 definiscono alcune di queste variabili (le più
1083 comuni), come riportato in tab.~\ref{tab:proc_env_var}. GNU/Linux le supporta
1084 tutte e ne definisce anche altre: per una lista più completa si può
1085 controllare \cmd{man 5 environ}.
1090 \begin{tabular}[c]{|l|c|c|c|p{7cm}|}
1092 \textbf{Variabile} & \textbf{POSIX} & \textbf{XPG3}
1093 & \textbf{Linux} & \textbf{Descrizione} \\
1096 \texttt{USER} &$\bullet$&$\bullet$&$\bullet$& Nome utente\\
1097 \texttt{LOGNAME}&$\bullet$&$\bullet$&$\bullet$& Nome di login\\
1098 \texttt{HOME} &$\bullet$&$\bullet$&$\bullet$& Directory base
1100 \texttt{LANG} &$\bullet$&$\bullet$&$\bullet$& Localizzazione\\
1101 \texttt{PATH} &$\bullet$&$\bullet$&$\bullet$& Elenco delle directory
1103 \texttt{PWD} &$\bullet$&$\bullet$&$\bullet$& Directory corrente\\
1104 \texttt{SHELL} &$\bullet$&$\bullet$&$\bullet$& Shell in uso\\
1105 \texttt{TERM} &$\bullet$&$\bullet$&$\bullet$& Tipo di terminale\\
1106 \texttt{PAGER} &$\bullet$&$\bullet$&$\bullet$& Programma per vedere i
1108 \texttt{EDITOR} &$\bullet$&$\bullet$&$\bullet$& Editor preferito\\
1109 \texttt{BROWSER}&$\bullet$&$\bullet$&$\bullet$& Browser preferito\\
1110 \texttt{TMPDIR} &$\bullet$&$\bullet$&$\bullet$& Directory dei file
1114 \caption{Esempi delle variabili di ambiente più comuni definite da vari
1116 \label{tab:proc_env_var}
1119 Lo standard ANSI C prevede l'esistenza di un ambiente, e pur non entrando
1120 nelle specifiche di come sono strutturati i contenuti, definisce la funzione
1121 \funcd{getenv} che permette di ottenere i valori delle variabili di ambiente;
1123 \begin{prototype}{stdlib.h}{char *getenv(const char *name)}
1124 Esamina l'ambiente del processo cercando una stringa che corrisponda a
1125 quella specificata da \param{name}.
1127 \bodydesc{La funzione ritorna \val{NULL} se non trova nulla, o il
1128 puntatore alla stringa che corrisponde (di solito nella forma
1129 \cmd{NOME=valore}).}
1132 Oltre a questa funzione di lettura, che è l'unica definita dallo standard ANSI
1133 C, nell'evoluzione dei sistemi Unix ne sono state proposte altre, da
1134 utilizzare per impostare e per cancellare le variabili di ambiente. Uno schema
1135 delle funzioni previste nei vari standard e disponibili in Linux è riportato
1136 in tab.~\ref{tab:proc_env_func}.
1141 \begin{tabular}[c]{|l|c|c|c|c|c|c|}
1143 \textbf{Funzione} & \textbf{ANSI C} & \textbf{POSIX.1} & \textbf{XPG3} &
1144 \textbf{SVr4} & \textbf{BSD} & \textbf{Linux} \\
1147 \func{getenv} & $\bullet$ & $\bullet$ & $\bullet$
1148 & $\bullet$ & $\bullet$ & $\bullet$ \\
1149 \func{setenv} & -- & -- & --
1150 & -- & $\bullet$ & $\bullet$ \\
1151 \func{unsetenv}& -- & -- & --
1152 & -- & $\bullet$ & $\bullet$ \\
1153 \func{putenv} & -- & opz. & $\bullet$
1154 & -- & $\bullet$ & $\bullet$ \\
1155 \func{clearenv}& -- & opz. & --
1156 & -- & -- & $\bullet$ \\
1159 \caption{Funzioni per la gestione delle variabili di ambiente.}
1160 \label{tab:proc_env_func}
1163 In Linux\footnote{in realtà nelle libc4 e libc5 sono definite solo le prime
1164 quattro, \func{clearenv} è stata introdotta con le \acr{glibc} 2.0.} sono
1165 definite tutte le funzioni elencate in tab.~\ref{tab:proc_env_func}. La prima,
1166 \func{getenv}, l'abbiamo appena esaminata; delle restanti le prime due,
1167 \funcd{putenv} e \funcd{setenv}, servono per assegnare nuove variabili di
1168 ambiente, i loro prototipi sono i seguenti:
1172 \funcdecl{int setenv(const char *name, const char *value, int overwrite)}
1173 Imposta la variabile di ambiente \param{name} al valore \param{value}.
1175 \funcdecl{int putenv(char *string)} Aggiunge la stringa \param{string}
1178 \bodydesc{Entrambe le funzioni ritornano 0 in caso di successo e -1 per un
1179 errore, che è sempre \errval{ENOMEM}.}
1181 \noindent la terza, \funcd{unsetenv}, serve a cancellare una variabile di
1182 ambiente; il suo prototipo è:
1186 \funcdecl{void unsetenv(const char *name)} Rimuove la variabile di ambiente
1189 \noindent questa funzione elimina ogni occorrenza della variabile specificata;
1190 se essa non esiste non succede nulla. Non è prevista (dato che la funzione è
1191 \ctyp{void}) nessuna segnalazione di errore.
1193 Per modificare o aggiungere una variabile di ambiente si possono usare sia
1194 \func{setenv} che \func{putenv}. La prima permette di specificare
1195 separatamente nome e valore della variabile di ambiente, inoltre il valore di
1196 \param{overwrite} specifica il comportamento della funzione nel caso la
1197 variabile esista già, sovrascrivendola se diverso da zero, lasciandola
1198 immutata se uguale a zero.
1200 La seconda funzione prende come argomento una stringa analoga a quella
1201 restituita da \func{getenv}, e sempre nella forma \code{NOME=valore}. Se la
1202 variabile specificata non esiste la stringa sarà aggiunta all'ambiente, se
1203 invece esiste il suo valore sarà impostato a quello specificato da
1204 \param{string}. Si tenga presente che, seguendo lo standard SUSv2, le
1205 \acr{glibc} successive alla versione 2.1.2 aggiungono\footnote{il
1206 comportamento è lo stesso delle vecchie \acr{libc4} e \acr{libc5}; nelle
1207 \acr{glibc}, dalla versione 2.0 alla 2.1.1, veniva invece fatta una copia,
1208 seguendo il comportamento di BSD4.4; dato che questo può dar luogo a perdite
1209 di memoria e non rispetta lo standard. Il comportamento è stato modificato a
1210 partire dalle 2.1.2, eliminando anche, sempre in conformità a SUSv2,
1211 l'attributo \direct{const} dal prototipo.} \param{string} alla lista delle
1212 variabili di ambiente; pertanto ogni cambiamento alla stringa in questione si
1213 riflette automaticamente sull'ambiente, e quindi si deve evitare di passare a
1214 questa funzione una variabile automatica (per evitare i problemi esposti in
1215 sez.~\ref{sec:proc_auto_var}).
1217 Si tenga infine presente che se si passa a \func{putenv} solo il nome di una
1218 variabile (cioè \param{string} è nella forma \texttt{NAME} e non contiene un
1219 carattere \texttt{'='}) allora questa viene cancellata dall'ambiente. Infine
1220 se la chiamata di \func{putenv} comporta la necessità di allocare una nuova
1221 versione del vettore \var{environ} questo sarà allocato, ma la versione
1222 corrente sarà deallocata solo se anch'essa è risultante da un'allocazione
1223 fatta in precedenza da un'altra \func{putenv}. Questo perché il vettore delle
1224 variabili di ambiente iniziale, creato dalla chiamata ad \func{exec} (vedi
1225 sez.~\ref{sec:proc_exec}) è piazzato al di sopra dello stack, (vedi
1226 fig.~\ref{fig:proc_mem_layout}) e non nello heap e non può essere deallocato.
1227 Inoltre la memoria associata alle variabili di ambiente eliminate non viene
1230 L'ultima funzione è \funcd{clearenv}, che viene usata per cancellare
1231 completamente tutto l'ambiente; il suo prototipo è:
1235 \funcdecl{int clearenv(void)}
1236 Cancella tutto l'ambiente.
1238 \bodydesc{la funzione restituisce 0 in caso di successo e un valore diverso
1239 da zero per un errore.}
1242 In genere si usa questa funzione in maniera precauzionale per evitare i
1243 problemi di sicurezza connessi nel trasmettere ai programmi che si invocano un
1244 ambiente che può contenere dei dati non controllati. In tal caso si provvede
1245 alla cancellazione di tutto l'ambiente per costruirne una versione
1246 ``\textsl{sicura}'' da zero.
1249 \section{Problematiche di programmazione generica}
1250 \label{sec:proc_gen_prog}
1252 Benché questo non sia un libro di C, è opportuno affrontare alcune delle
1253 problematiche generali che possono emergere nella programmazione e di quali
1254 precauzioni o accorgimenti occorre prendere per risolverle. Queste
1255 problematiche non sono specifiche di sistemi unix-like o multitasking, ma
1256 avendo trattato in questo capitolo il comportamento dei processi visti come
1257 entità a sé stanti, le riportiamo qui.
1260 \subsection{Il passaggio delle variabili e dei valori di ritorno}
1261 \label{sec:proc_var_passing}
1263 Una delle caratteristiche standard del C è che le variabili vengono passate
1264 alle subroutine attraverso un meccanismo che viene chiamato \textit{by value}
1265 (diverso ad esempio da quanto avviene con il Fortran, dove le variabili sono
1266 passate, come suol dirsi, \textit{by reference}, o dal C++ dove la modalità
1267 del passaggio può essere controllata con l'operatore \cmd{\&}).
1269 Il passaggio di una variabile \textit{by value} significa che in realtà quello
1270 che viene passato alla subroutine è una copia del valore attuale di quella
1271 variabile, copia che la subroutine potrà modificare a piacere, senza che il
1272 valore originale nella routine chiamante venga toccato. In questo modo non
1273 occorre preoccuparsi di eventuali effetti delle operazioni della subroutine
1274 sulla variabile passata come argomento.
1276 Questo però va inteso nella maniera corretta. Il passaggio \textit{by value}
1277 vale per qualunque variabile, puntatori compresi; quando però in una
1278 subroutine si usano dei puntatori (ad esempio per scrivere in un buffer) in
1279 realtà si va a modificare la zona di memoria a cui essi puntano, per cui anche
1280 se i puntatori sono copie, i dati a cui essi puntano sono sempre gli stessi, e
1281 le eventuali modifiche avranno effetto e saranno visibili anche nella routine
1284 Nella maggior parte delle funzioni di libreria e delle system call i puntatori
1285 vengono usati per scambiare dati (attraverso buffer o strutture) e le
1286 variabili semplici vengono usate per specificare argomenti; in genere le
1287 informazioni a riguardo dei risultati vengono passate alla routine chiamante
1288 attraverso il valore di ritorno. È buona norma seguire questa pratica anche
1289 nella programmazione normale.
1291 Talvolta però è necessario che la funzione possa restituire indietro alla
1292 funzione chiamante un valore relativo ad uno dei suoi argomenti. Per far
1293 questo si usa il cosiddetto
1294 \index{\textit{value~result~argument}}\textit{value result argument}, si passa
1295 cioè, invece di una normale variabile, un puntatore alla stessa; vedremo
1296 alcuni esempi di questa modalità nelle funzioni che gestiscono i socket (in
1297 sez.~\ref{sec:TCP_functions}), in cui, per permettere al kernel di restituire
1298 informazioni sulle dimensioni delle strutture degli indirizzi utilizzate,
1299 viene usato questo meccanismo.
1302 \subsection{Il passaggio di un numero variabile di argomenti}
1303 \label{sec:proc_variadic}
1305 Come vedremo nei capitoli successivi, non sempre è possibile specificare un
1306 numero fisso di argomenti per una funzione. Lo standard ISO C prevede nella
1307 sua sintassi la possibilità di definire delle \textit{variadic
1308 function}\index{variadic} che abbiano un numero variabile di argomenti,
1309 attraverso l'uso nella dichiarazione della funzione dello speciale costrutto
1310 ``\texttt{\textellipsis}'', che viene chiamato \textit{ellipsis}.
1312 Lo standard però non provvede a livello di linguaggio alcun meccanismo con cui
1313 dette funzioni possono accedere ai loro argomenti. L'accesso viene pertanto
1314 realizzato a livello delle librerie standard del C che provvedono gli
1315 strumenti adeguati. L'uso di una \textit{variadic function} prevede quindi
1318 \item \textsl{Dichiarare} la funzione come \textit{variadic} usando un
1319 prototipo che contenga una \textit{ellipsis}.
1320 \item \textsl{Definire} la funzione come \textit{variadic} usando la stessa
1321 \textit{ellipsis}, ed utilizzare le apposite macro che consentono la
1322 gestione di un numero variabile di argomenti.
1323 \item \textsl{Invocare} la funzione specificando prima gli argomenti fissi, ed
1324 a seguire quelli addizionali.
1327 Lo standard ISO C prevede che una \textit{variadic function}\index{variadic}
1328 abbia sempre almeno un argomento fisso; prima di effettuare la dichiarazione
1329 deve essere incluso l'apposito header file \file{stdarg.h}; un esempio di
1330 dichiarazione è il prototipo della funzione \func{execl} che vedremo in
1331 sez.~\ref{sec:proc_exec}:
1332 \includecodesnip{listati/exec_sample.c}
1333 in questo caso la funzione prende due argomenti fissi ed un numero variabile
1334 di altri argomenti (che verranno a costituire gli elementi successivi al primo
1335 del vettore \param{argv} passato al nuovo processo). Lo standard ISO C
1336 richiede inoltre che l'ultimo degli argomenti fissi sia di tipo
1337 \textit{self-promoting}\footnote{il linguaggio C prevede che quando si
1338 mescolano vari tipi di dati, alcuni di essi possano essere \textsl{promossi}
1339 per compatibilità; ad esempio i tipi \ctyp{float} vengono convertiti
1340 automaticamente a \ctyp{double} ed i \ctyp{char} e gli \ctyp{short} ad
1341 \ctyp{int}. Un tipo \textit{self-promoting} è un tipo che verrebbe promosso
1342 a sé stesso.} il che esclude vettori, puntatori a funzioni e interi di tipo
1343 \ctyp{char} o \ctyp{short} (con segno o meno). Una restrizione ulteriore di
1344 alcuni compilatori è di non dichiarare l'ultimo argomento fisso come
1347 Una volta dichiarata la funzione il secondo passo è accedere ai vari argomenti
1348 quando la si va a definire. Gli argomenti fissi infatti hanno un loro nome, ma
1349 quelli variabili vengono indicati in maniera generica dalla \textit{ellipsis}.
1351 L'unica modalità in cui essi possono essere recuperati è pertanto quella
1352 sequenziale; essi verranno estratti dallo stack secondo l'ordine in cui sono
1353 stati scritti. Per fare questo in \file{stdarg.h} sono definite delle apposite
1354 macro; la procedura da seguire è la seguente:
1356 \item Inizializzare un puntatore alla lista degli argomenti di tipo
1357 \macro{va\_list} attraverso la macro \macro{va\_start}.
1358 \item Accedere ai vari argomenti opzionali con chiamate successive alla macro
1359 \macro{va\_arg}, la prima chiamata restituirà il primo argomento, la seconda
1360 il secondo e così via.
1361 \item Dichiarare la conclusione dell'estrazione degli argomenti invocando la
1362 macro \macro{va\_end}.
1364 In generale è perfettamente legittimo richiedere meno argomenti di quelli che
1365 potrebbero essere stati effettivamente forniti, e nella esecuzione delle
1366 \macro{va\_arg} ci si può fermare in qualunque momento ed i restanti argomenti
1367 saranno ignorati; se invece si richiedono più argomenti di quelli forniti si
1368 otterranno dei valori indefiniti. Nel caso del \cmd{gcc} l'uso della macro
1369 \macro{va\_end} è inutile, ma si consiglia di usarlo ugualmente per
1372 Le definizioni delle tre macro sono le seguenti:
1376 \funcdecl{void va\_start(va\_list ap, last)} Inizializza il puntatore alla
1377 lista di argomenti \param{ap}; il parametro \param{last} \emph{deve} essere
1378 l'ultimo degli argomenti fissi.
1380 \funcdecl{type va\_arg(va\_list ap, type)} Restituisce il valore del
1381 successivo argomento opzionale, modificando opportunamente \param{ap}; la
1382 macro richiede che si specifichi il tipo dell'argomento attraverso il
1383 parametro \param{type} che deve essere il nome del tipo dell'argomento in
1384 questione. Il tipo deve essere \textit{self-promoting}.
1386 \funcdecl{void va\_end(va\_list ap)} Conclude l'uso di \param{ap}.
1389 In generale si possono avere più puntatori alla lista degli argomenti,
1390 ciascuno andrà inizializzato con \macro{va\_start} e letto con \macro{va\_arg}
1391 e ciascuno potrà scandire la lista degli argomenti per conto suo.
1393 Dopo l'uso di \macro{va\_end} la variabile \param{ap} diventa indefinita e
1394 successive chiamate a \macro{va\_arg} non funzioneranno. Si avranno risultati
1395 indefiniti anche chiamando \macro{va\_arg} specificando un tipo che non
1396 corrisponde a quello dell'argomento.
1398 Un altro limite delle macro è che i passi 1) e 3) devono essere eseguiti nel
1399 corpo principale della funzione, il passo 2) invece può essere eseguito anche
1400 in una subroutine passandole il puntatore alla lista di argomenti; in questo
1401 caso però si richiede che al ritorno della funzione il puntatore non venga più
1402 usato (lo standard richiederebbe la chiamata esplicita di \macro{va\_end}),
1403 dato che il valore di \param{ap} risulterebbe indefinito.
1405 Esistono dei casi in cui è necessario eseguire più volte la scansione degli
1406 argomenti e poter memorizzare una posizione durante la stessa. La cosa più
1407 naturale in questo caso sembrerebbe quella di copiarsi il puntatore alla lista
1408 degli argomenti con una semplice assegnazione. Dato che una delle
1409 realizzazioni più comuni di \macro{va\_list} è quella di un puntatore nello
1410 stack all'indirizzo dove sono stati salvati gli argomenti, è assolutamente
1411 normale pensare di poter effettuare questa operazione.
1413 In generale però possono esistere anche realizzazioni diverse, per questo
1414 motivo \macro{va\_list} è definito come \textsl{tipo opaco}\index{tipo!opaco}
1415 e non può essere assegnato direttamente ad un'altra variabile dello stesso
1416 tipo. Per risolvere questo problema lo standard ISO C99\footnote{alcuni
1417 sistemi che non hanno questa macro provvedono al suo posto
1418 \macro{\_\_va\_copy} che era il nome proposto in una bozza dello standard.}
1419 ha previsto una macro ulteriore che permette di eseguire la copia di un
1420 puntatore alla lista degli argomenti:
1421 \begin{prototype}{stdarg.h}{void va\_copy(va\_list dest, va\_list src)}
1422 Copia l'attuale valore \param{src} del puntatore alla lista degli argomenti
1425 \noindent anche in questo caso è buona norma chiudere ogni esecuzione di una
1426 \macro{va\_copy} con una corrispondente \macro{va\_end} sul nuovo puntatore
1427 alla lista degli argomenti.
1429 La chiamata di una funzione con un numero variabile di argomenti, posto che la
1430 si sia dichiarata e definita come tale, non prevede nulla di particolare;
1431 l'invocazione è identica alle altre, con gli argomenti, sia quelli fissi che
1432 quelli opzionali, separati da virgole. Quello che però è necessario tenere
1433 presente è come verranno convertiti gli argomenti variabili.
1435 In Linux gli argomenti dello stesso tipo sono passati allo stesso modo, sia
1436 che siano fissi sia che siano opzionali (alcuni sistemi trattano diversamente
1437 gli opzionali), ma dato che il prototipo non può specificare il tipo degli
1438 argomenti opzionali, questi verranno sempre promossi, pertanto nella ricezione
1439 dei medesimi occorrerà tenerne conto (ad esempio un \ctyp{char} verrà visto da
1440 \macro{va\_arg} come \ctyp{int}).
1442 Uno dei problemi che si devono affrontare con le funzioni con un numero
1443 variabile di argomenti è che non esiste un modo generico che permetta di
1444 stabilire quanti sono gli argomenti passati effettivamente in una chiamata.
1446 Esistono varie modalità per affrontare questo problema; una delle più
1447 immediate è quella di specificare il numero degli argomenti opzionali come uno
1448 degli argomenti fissi. Una variazione di questo metodo è l'uso di un argomento
1449 per specificare anche il tipo degli argomenti (come fa la stringa di formato
1452 Una modalità diversa, che può essere applicata solo quando il tipo degli
1453 argomenti lo rende possibile, è quella che prevede di usare un valore speciale
1454 come ultimo argomento (come fa ad esempio \func{execl} che usa un puntatore
1455 \val{NULL} per indicare la fine della lista degli argomenti).
1458 \subsection{Potenziali problemi con le variabili automatiche}
1459 \label{sec:proc_auto_var}
1461 Uno dei possibili problemi che si possono avere con le subroutine è quello di
1462 restituire alla funzione chiamante dei dati che sono contenuti in una
1463 variabile automatica. Ovviamente quando la subroutine ritorna la sezione
1464 dello stack che conteneva la variabile automatica potrà essere riutilizzata da
1465 una nuova funzione, con le immaginabili conseguenze di sovrapposizione e
1466 sovrascrittura dei dati.
1468 Per questo una delle regole fondamentali della programmazione in C è che
1469 all'uscita di una funzione non deve restare nessun riferimento alle variabili
1470 locali; qualora sia necessario utilizzare variabili che possano essere viste
1471 anche dalla funzione chiamante queste devono essere allocate esplicitamente, o
1472 in maniera statica (usando variabili di tipo \ctyp{static} o \ctyp{extern}), o
1473 dinamicamente con una delle funzioni della famiglia \func{malloc}.
1476 \subsection{Il controllo di flusso non locale}
1477 \label{sec:proc_longjmp}
1479 Il controllo del flusso di un programma in genere viene effettuato con le
1480 varie istruzioni del linguaggio C; fra queste la più bistrattata è il
1481 \code{goto}, che viene deprecato in favore dei costrutti della programmazione
1482 strutturata, che rendono il codice più leggibile e mantenibile. Esiste però un
1483 caso in cui l'uso di questa istruzione porta all'implementazione più
1484 efficiente e più chiara anche dal punto di vista della struttura del
1485 programma: quello dell'uscita in caso di errore.
1487 \index{salto~non-locale|(}
1489 Il C però non consente di effettuare un salto ad una etichetta definita in
1490 un'altra funzione, per cui se l'errore avviene in una funzione, e la sua
1491 gestione ordinaria è in un'altra, occorre usare quello che viene chiamato un
1492 \textsl{salto non-locale}. Il caso classico in cui si ha questa necessità,
1493 citato sia in \cite{APUE} che in \cite{glibc}, è quello di un programma nel
1494 cui corpo principale vengono letti dei dati in ingresso sui quali viene
1495 eseguita, tramite una serie di funzioni di analisi, una scansione dei
1496 contenuti, da cui si ottengono le indicazioni per l'esecuzione di opportune
1499 Dato che l'analisi può risultare molto complessa, ed opportunamente suddivisa
1500 in fasi diverse, la rilevazione di un errore nei dati in ingresso può accadere
1501 all'interno di funzioni profondamente annidate l'una nell'altra. In questo
1502 caso si dovrebbe gestire, per ciascuna fase, tutta la casistica del passaggio
1503 all'indietro di tutti gli errori rilevabili dalle funzioni usate nelle fasi
1504 successive. Questo comporterebbe una notevole complessità, mentre sarebbe
1505 molto più comodo poter tornare direttamente al ciclo di lettura principale,
1506 scartando l'input come errato.\footnote{a meno che, come precisa \cite{glibc},
1507 alla chiusura di ciascuna fase non siano associate operazioni di pulizia
1508 specifiche (come deallocazioni, chiusure di file, ecc.), che non potrebbero
1509 essere eseguite con un salto non-locale.}
1511 Tutto ciò può essere realizzato proprio con un salto non-locale; questo di
1512 norma viene realizzato salvando il contesto dello stack nel punto in cui si
1513 vuole tornare in caso di errore, e ripristinandolo, in modo da tornare nella
1514 funzione da cui si era partiti, quando serve. La funzione che permette di
1515 salvare il contesto dello stack è \funcd{setjmp}, il cui prototipo è:
1518 \funcdecl{int setjmp(jmp\_buf env)}
1520 Salva il contesto dello stack.
1522 \bodydesc{La funzione ritorna zero quando è chiamata direttamente e un
1523 valore diverso da zero quando ritorna da una chiamata di \func{longjmp}
1524 che usa il contesto salvato in precedenza.}
1527 Quando si esegue la funzione il contesto corrente dello stack viene salvato
1528 nell'argomento \param{env}, una variabile di tipo
1529 \type{jmp\_buf}\footnote{questo è un classico esempio di variabile di
1530 \textsl{tipo opaco}\index{tipo!opaco}. Si definiscono così strutture ed
1531 altri oggetti usati da una libreria, la cui struttura interna non deve
1532 essere vista dal programma chiamante (da cui il nome) che li devono
1533 utilizzare solo attraverso dalle opportune funzioni di gestione.} che deve
1534 essere stata definita in precedenza. In genere le variabili di tipo
1535 \type{jmp\_buf} vengono definite come variabili globali in modo da poter
1536 essere viste in tutte le funzioni del programma.
1538 Quando viene eseguita direttamente la funzione ritorna sempre zero, un valore
1539 diverso da zero viene restituito solo quando il ritorno è dovuto ad una
1540 chiamata di \func{longjmp} in un'altra parte del programma che ripristina lo
1541 stack effettuando il salto non-locale. Si tenga conto che il contesto salvato
1542 in \param{env} viene invalidato se la routine che ha chiamato \func{setjmp}
1543 ritorna, nel qual caso un successivo uso di \func{longjmp} può comportare
1544 conseguenze imprevedibili (e di norma fatali) per il processo.
1546 Come accennato per effettuare un salto non-locale ad
1547 un punto precedentemente stabilito con \func{setjmp} si usa la funzione
1548 \funcd{longjmp}; il suo prototipo è:
1551 \funcdecl{void longjmp(jmp\_buf env, int val)}
1553 Ripristina il contesto dello stack.
1555 \bodydesc{La funzione non ritorna.}
1558 La funzione ripristina il contesto dello stack salvato da una chiamata a
1559 \func{setjmp} nell'argomento \param{env}. Dopo l'esecuzione della funzione il
1560 programma prosegue nel codice successivo al ritorno della \func{setjmp} con
1561 cui si era salvato \param{env}, che restituirà il valore \param{val} invece di
1562 zero. Il valore di \param{val} specificato nella chiamata deve essere diverso
1563 da zero, se si è specificato 0 sarà comunque restituito 1 al suo posto.
1565 In sostanza un \func{longjmp} è analogo ad un \code{return}, solo che invece
1566 di ritornare alla riga successiva della funzione chiamante, il programma
1567 ritorna alla posizione della relativa \func{setjmp}, l'altra differenza è che
1568 il ritorno può essere effettuato anche attraverso diversi livelli di funzioni
1571 L'implementazione di queste funzioni comporta alcune restrizioni dato che esse
1572 interagiscono direttamente con la gestione dello stack ed il funzionamento del
1573 compilatore stesso. In particolare \func{setjmp} è implementata con una macro,
1574 pertanto non si può cercare di ottenerne l'indirizzo, ed inoltre delle
1575 chiamate a questa funzione sono sicure solo in uno dei seguenti casi:
1577 \item come espressione di controllo in un comando condizionale, di selezione
1578 o di iterazione (come \code{if}, \code{switch} o \code{while});
1579 \item come operando per un operatore di uguaglianza o confronto in una
1580 espressione di controllo di un comando condizionale, di selezione o di
1582 \item come operando per l'operatore di negazione (\code{!}) in una espressione
1583 di controllo di un comando condizionale, di selezione o di iterazione;
1584 \item come espressione a sé stante.
1587 In generale, dato che l'unica differenza fra la chiamata diretta e quella
1588 ottenuta da un \func{longjmp} è costituita dal valore di ritorno di
1589 \func{setjmp}, essa è usualmente chiamata all'interno di un comando \code{if}.
1591 Uno dei punti critici dei salti non-locali è quello del valore delle
1592 variabili, ed in particolare quello delle variabili automatiche della funzione
1593 a cui si ritorna. In generale le variabili globali e statiche mantengono i
1594 valori che avevano al momento della chiamata di \func{longjmp}, ma quelli
1595 delle variabili automatiche (o di quelle dichiarate
1596 \direct{register}\footnote{la direttiva \direct{register} del compilatore
1597 chiede che la variabile dichiarata tale sia mantenuta, nei limiti del
1598 possibile, all'interno di un registro del processore. Questa direttiva è
1599 originaria dell'epoca dai primi compilatori, quando stava al programmatore
1600 scrivere codice ottimizzato, riservando esplicitamente alle variabili più
1601 usate l'uso dei registri del processore. Oggi questa direttiva è in disuso
1602 dato che tutti i compilatori sono normalmente in grado di valutare con
1603 maggior efficacia degli stessi programmatori quando sia il caso di eseguire
1604 questa ottimizzazione.}) sono in genere indeterminati.
1606 Quello che succede infatti è che i valori delle variabili che sono tenute in
1607 memoria manterranno il valore avuto al momento della chiamata di
1608 \func{longjmp}, mentre quelli tenuti nei registri del processore (che nella
1609 chiamata ad un'altra funzione vengono salvati nel contesto nello stack)
1610 torneranno al valore avuto al momento della chiamata di \func{setjmp}; per
1611 questo quando si vuole avere un comportamento coerente si può bloccare
1612 l'ottimizzazione che porta le variabili nei registri dichiarandole tutte come
1613 \direct{volatile}\footnote{la direttiva \direct{volatile} informa il
1614 compilatore che la variabile che è dichiarata può essere modificata, durante
1615 l'esecuzione del nostro, da altri programmi. Per questo motivo occorre dire
1616 al compilatore che non deve essere mai utilizzata l'ottimizzazione per cui
1617 quanto opportuno essa viene mantenuta in un registro, poiché in questo modo
1618 si perderebbero le eventuali modifiche fatte dagli altri programmi (che
1619 avvengono solo in una copia posta in memoria).}.
1621 \index{salto~non-locale|)}
1623 %%% Local Variables:
1625 %%% TeX-master: "gapil"