+ ciascuno dei due deve chiudere i file che non gli servono una volta che la
+ \func{fork} è stata eseguita, per evitare ogni forma di interferenza.
+\end{enumerate}
+
+Oltre ai file aperti i processi figli ereditano dal padre una serie di altre
+proprietà; la lista dettagliata delle proprietà che padre e figlio hanno in
+comune dopo l'esecuzione di una \func{fork} è la seguente:
+\begin{itemize*}
+\item i file aperti e gli eventuali flag di \textit{close-on-exec} se settati.
+\item gli identificatori per il controllo di accesso: il \textit{real user
+ id}, il \textit{real group id}, l'\textit{effective user id},
+ l'\textit{effective group id} e i \textit{supplementary group id} (vedi
+ \secref{sec:proc_user_group}).
+\item gli identificatori per il controllo di sessione: il \textit{process
+ group id} e il \textit{session id} e il terminale di controllo (vedi
+ \secref{sec:sess_xxx} e \secref{sec:sess_xxx}).
+\item i flag di \acr{suid} e \acr{sgid} (vedi \secref{sec:file_suid_sgid}).
+\item la directory di lavoro e la directory radice (vedi
+ \secref{sec:file_work_dir}).
+\item la maschera dei permessi di creazione (vedi \secref{sec:file_umask}).
+\item la maschera dei segnali bloccati e le azioni installate.
+\item i segmenti di memoria condivisa agganciati al processo.
+\item i limiti sulle risorse.
+\item le variabili di ambiente (vedi \secref{sec:proc_environ}).
+\end{itemize*}
+le differenze fra padre e figlio dopo la \func{fork} invece sono:
+\begin{itemize*}
+\item il valore di ritorno di \func{fork}.
+\item il \textit{process id}.
+\item il \textit{parent process id} (quello del figlio viene settato al
+ \acr{pid} del padre).
+\item i valori dei tempi di esecuzione (\var{tms\_utime}, \var{tms\_stime},
+ \var{tms\_cutime}, \var{tms\_uetime}) che nel figlio sono posti a zero.
+\item i \textit{file lock}, che non vengono ereditati dal figlio.
+\item gli allarmi ed i segnali pendenti, che per il figlio vengono cancellati.
+\end{itemize*}
+
+
+\subsection{La funzione \func{vfork}}
+\label{sec:proc_vfork}
+
+La funzione \func{vfork} è esattamente identica a \func{fork} ed ha la stessa
+semantica e gli stessi errori; la sola differenza è che non viene creata la
+tabella delle pagine né la struttura dei task per il nuovo processo. Il
+processo padre è posto in attesa fintanto che il figlio non ha eseguito una
+\func{execve} o non è uscito con una \func{\_exit}. Il figlio condivide la
+memoria del padre (e modifiche possono avere effetti imprevedibili) e non deve
+ritornare o uscire con \func{exit} ma usare esplicitamente \func{\_exit}.
+
+Questa funzione è un rimasuglio dei vecchi tempi in cui eseguire una
+\func{fork} comportava anche la copia completa del segmento dati del processo
+padre, che costituiva un inutile appesantimento in tutti quei casi in cui la
+\func{fork} veniva fatto solo per poi eseguire una \func{exec}. La funzione
+venne introdotta in BSD per migliorare le prestazioni.
+
+Dato che Linux supporta il \textit{copy on write} la perdita di prestazioni è
+assolutamente trascurabile, e l'uso di questa funzione (che resta un caso
+speciale della funzione \func{clone}), è deprecato, per questo eviteremo di
+trattarla ulteriormente.
+
+
+\subsection{La conclusione di un processo.}
+\label{sec:proc_termination}
+
+In \secref{sec:proc_conclusion} abbiamo già affrontato le modalità con cui
+concludere un programma, ma dal punto di vista del programma stesso; avendo a
+che fare con un sistema multitasking occorre adesso affrontare l'argomento dal
+punto di vista generale di come il sistema gestisce la conclusione dei
+processi.
+
+Abbiamo già visto in \secref{sec:proc_conclusion} le tre modalità con cui un
+programma viene terminato in maniera normale: la chiamata di \func{exit} (che
+esegue le funzioni registrate per l'uscita e chiude gli stream), il ritorno
+dalla funzione \func{main} (equivalente alla chiamata di \func{exit}), e la
+chiamata ad \func{\_exit} (che passa direttamente alle operazioni di
+terminazione del processo da parte del kernel).
+
+Ma oltre alla conclusione normale abbiamo accennato che esistono anche delle
+modalità di conclusione anomala; queste sono in sostanza due: il programma può
+chiamare la funzione \func{abort} per invocare una chiusura anomala, o essere
+terminato da un segnale. In realtà anche la prima modalità si riconduce alla
+seconda, dato che \func{abort} si limita a generare il segnale
+\macro{SIGABRT}.
+
+Qualunque sia la modalità di conclusione di un processo, il kernel esegue
+comunque una serie di operazioni: chiude tutti i file aperti, rilascia la
+memoria che stava usando, e così via; l'elenco completo delle operazioni
+eseguite alla chiusura di un processo è il seguente:
+\begin{itemize*}
+\item tutti i descrittori dei file sono chiusi.
+\item viene memorizzato lo stato di terminazione del processo.
+\item ad ogni processo figlio viene assegnato un nuovo padre.
+\item viene inviato il segnale \macro{SIGCHLD} al processo padre.
+\item se il processo è un leader di sessione viene mandato un segnale di
+ \macro{SIGHUP} a tutti i processi in background e il terminale di controllo
+ viene disconnesso.
+\item se la conclusione di un processo rende orfano un \textit{process group}
+ ciascun membro del gruppo viene bloccato, e poi gli vengono inviati in
+ successione i segnali \macro{SIGHUP} e \macro{SIGCONT}.
+\end{itemize*}
+ma al di la di queste operazioni è necessario poter disporre di un meccanismo
+ulteriore che consenta di sapere come questa terminazione è avvenuta; dato che
+in un sistema unix-like tutto viene gestito attraverso i processi il
+meccanismo scelto consiste nel riportare lo stato di terminazione
+(\textit{termination status}) di cui sopra al processo padre.
+
+Nel caso di conclusione normale, lo stato di uscita del processo viene
+caratterizzato tramite il valore del cosiddetto \textit{exit status}, cioè il
+valore passato alle funzioni \func{exit} o \func{\_exit} (o dal valore di
+ritorno per \func{main}). Ma se il processo viene concluso in maniera anomala
+il programma non può specificare nessun \textit{exit status}, ed è il kernel
+che deve generare autonomamente il \textit{termination status} per indicare le
+ragioni della conclusione anomala.
+
+Si noti la distinzione fra \textit{exit status} e \textit{termination status}:
+quello che contraddistingue lo stato di chiusura del processo e viene
+riportato attraverso le funzioni \func{wait} o \func{waitpid} (vedi
+\secref{sec:proc_wait}) è sempre quest'ultimo; in caso di conclusione normale
+il kernel usa il primo (nel codice eseguito da \func{\_exit}) per produrre il
+secondo.
+
+La scelta di riportare al padre lo stato di terminazione dei figli, pur
+essendo l'unica possibile, comporta comunque alcune complicazioni: infatti se
+alla sua creazione è scontato che ogni nuovo processo ha un padre, non è detto
+che sia così alla sua conclusione, dato che il padre potrebbe essere già
+terminato (si potrebbe avere cioè quello che si chiama un processo
+\textsl{orfano}).
+
+Questa complicazione viene superata facendo in modo che il processo figlio
+venga \textsl{adottato} da \cmd{init}: come già accennato quando un processo
+termina il kernel controlla se è il padre di altri processi in esecuzione: in
+caso positivo allora il \acr{ppid} di tutti questi processi viene sostituito
+con il \acr{pid} di \cmd{init} (e cioè con 1); in questo modo ogni processo
+avrà sempre un padre (nel caso \textsl{adottivo}) cui riportare il suo stato
+di terminazione. Come verifica di questo comportamento possiamo eseguire il
+comando \cmd{forktest} imponendo a ciascun processo figlio due
+secondi di attesa prima di uscire, il risultato è:
+
+\footnotesize
+\begin{verbatim}
+[piccardi@selidor sources]$ ./forktest -c2 3
+Process 1972: forking 3 child
+Spawned 1 child, pid 1973
+Child 1 successfully executing
+Go to next child
+Spawned 2 child, pid 1974
+Child 2 successfully executing
+Go to next child
+Child 3 successfully executing
+Spawned 3 child, pid 1975
+Go to next child
+[piccardi@selidor sources]$ Child 3, parent 1, exiting
+Child 2, parent 1, exiting
+Child 1, parent 1, exiting
+\end{verbatim}
+\normalsize
+come si può notare in questo caso il processo padre si conclude prima dei
+figli, tornando alla shell, che stampa il prompt sul terminale: circa due
+secondi dopo viene stampato a video anche l'output dei tre figli che
+terminano, e come si può notare in questo caso, al contrario di quanto visto
+in precedenza, essi riportano 1 come \acr{ppid}.
+
+Altrettanto rilevante è il caso in cui il figlio termina prima del padre,
+perché non è detto che il padre possa ricevere immediatamente lo stato di
+terminazione, quindi il kernel deve comunque conservare una certa quantità di
+informazioni riguardo ai processi che sta terminando.
+
+Questo viene fatto mantenendo attiva la voce nella tabella dei processi, e
+memorizzando alcuni dati essenziali, come il \acr{pid}, i tempi di CPU usati
+dal processo (vedi \secref{sec:intro_unix_time}) e lo stato di terminazione
+\footnote{NdA verificare esattamente cosa c'è!}, mentre la memoria in uso ed i
+file aperti vengono rilasciati immediatamente. I processi che sono terminati,
+ma il cui stato di terminazione non è stato ancora ricevuto dal padre sono
+chiamati \textit{zombie}, essi restano presenti nella tabella dei processi ed
+in genere possono essere identificati dall'output di \cmd{ps} per la presenza
+di una \cmd{Z} nella colonna che ne indica lo stato. Quando il padre
+effettuerà la lettura dello stato di uscita anche questa informazione, non più
+necessaria, verrà scartata e la terminazione potrà dirsi completamente
+conclusa.
+
+Possiamo utilizzare il nostro programma di prova per analizzare anche questa
+condizione: lanciamo il comando \cmd{forktest} in background, indicando al
+processo padre di aspettare 10 secondi prima di uscire; in questo caso, usando
+\cmd{ps} sullo stesso terminale (prima dello scadere dei 10 secondi)
+otterremo:
+
+\footnotesize
+\begin{verbatim}
+[piccardi@selidor sources]$ ps T
+ PID TTY STAT TIME COMMAND
+ 419 pts/0 S 0:00 bash
+ 568 pts/0 S 0:00 ./forktest -e10 3
+ 569 pts/0 Z 0:00 [forktest <defunct>]
+ 570 pts/0 Z 0:00 [forktest <defunct>]
+ 571 pts/0 Z 0:00 [forktest <defunct>]
+ 572 pts/0 R 0:00 ps T
+\end{verbatim} %$
+\normalsize
+e come si vede, dato che non si è fatto nulla per riceverne lo stato di
+terminazione, i tre processi figli sono ancora presenti pur essendosi
+conclusi, con lo stato di zombie e l'indicazione che sono stati terminati.
+
+La possibilità di avere degli zombie deve essere tenuta sempre presente quando
+si scrive un programma che deve essere mantenuto in esecuzione a lungo e
+creare molti figli. In questo caso si deve sempre avere cura di far leggere
+l'eventuale stato di uscita di tutti i figli (in genere questo si fa
+attraverso un apposito \textit{signal handler}, che chiama la funzione
+\func{wait}, vedi \secref{sec:sig_xxx} e \secref{sec:proc_wait}). Questa
+operazione è necessaria perché anche se gli \textit{zombie} non consumano
+risorse di memoria o processore, occupano comunque una voce nella tabella dei
+processi, che a lungo andare potrebbe esaurirsi.
+
+Si noti che quando un processo adottato da \cmd{init} termina, esso non
+diviene uno \textit{zombie}; questo perché una delle funzioni di \cmd{init} è
+appunto quella di chiamare la funzione \func{wait} per i processi cui fa da
+padre, completandone la terminazione. Questo è quanto avviene anche quando,
+come nel caso del precedente esempio con \cmd{forktest}, il padre termina con
+dei figli in stato di zombie: alla sua terminazione infatti tutti i suoi figli
+vengono ereditati (compresi gli zombie) verranno adottati da \cmd{init}, il
+quale provvederà a completarne la terminazione.
+
+Si tenga presente infine che siccome gli zombie sono processi già usciti, non
+c'è modo di eliminarli con il comando \cmd{kill}; l'unica possibilità è quella
+di terminare il processo che li ha generati, in modo che \cmd{init} possa
+adottarli e provvedere a concludere la terminazione.
+
+
+\subsection{Le funzioni \func{wait} e \func{waitpid}}