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Le \textit{pipe} nascono sostanzialmente con Unix, e sono il primo, e tuttora
uno dei più usati, meccanismi di comunicazione fra processi. Si tratta in
-sostanza di una una coppia di file descriptor\footnote{si tenga presente che
+sostanza di una coppia di file descriptor\footnote{si tenga presente che
le pipe sono oggetti creati dal kernel e non risiedono su disco.} connessi
fra di loro in modo che se quanto scrive su di uno si può rileggere
dall'altro. Si viene così a costituire un canale di comunicazione tramite i
nel file descriptor aperto in lettura. I file descriptor infatti non sono
connessi a nessun file reale, ma ad un buffer nel kernel, la cui dimensione è
specificata dal parametro di sistema \const{PIPE\_BUF}, (vedi
-\secref{sec:sys_file_limits}). Lo schema di funzionamento di una pipe è
-illustrato in \figref{fig:ipc_pipe_singular}, in cui sono illustrati i due
+sez.~\ref{sec:sys_file_limits}). Lo schema di funzionamento di una pipe è
+illustrato in fig.~\ref{fig:ipc_pipe_singular}, in cui sono illustrati i due
capi della pipe, associati a ciascun file descriptor, con le frecce che
indicano la direzione del flusso dei dati.
\end{figure}
Chiaramente creare una pipe all'interno di un singolo processo non serve a
-niente; se però ricordiamo quanto esposto in \secref{sec:file_sharing}
+niente; se però ricordiamo quanto esposto in sez.~\ref{sec:file_sharing}
riguardo al comportamento dei file descriptor nei processi figli, è immediato
capire come una pipe possa diventare un meccanismo di intercomunicazione. Un
processo figlio infatti condivide gli stessi file descriptor del padre,
compresi quelli associati ad una pipe (secondo la situazione illustrata in
-\figref{fig:ipc_pipe_fork}). In questo modo se uno dei processi scrive su un
+fig.~\ref{fig:ipc_pipe_fork}). In questo modo se uno dei processi scrive su un
capo della pipe, l'altro può leggere.
\begin{figure}[htb]
pipe il cui capo in scrittura è stato chiuso, si avrà la ricezione di un EOF
(vale a dire che la funzione \func{read} ritornerà restituendo 0). Se invece
si esegue una scrittura su una pipe il cui capo in lettura non è aperto il
-processo riceverà il segnale \errcode{EPIPE}, e la funzione di scrittura
+processo riceverà il segnale \const{SIGPIPE}, e la funzione di scrittura
restituirà un errore di \errcode{EPIPE} (al ritorno del gestore, o qualora il
segnale sia ignorato o bloccato).
codici a barre corrispondenti ad una qualunque stringa, mentre il secondo
serve per poter effettuare la conversione della stessa immagine in formato
JPEG. Usando una pipe potremo inviare l'output del primo sull'input del
-secondo, secondo lo schema mostrato in \figref{fig:ipc_pipe_use}, in cui la
+secondo, secondo lo schema mostrato in fig.~\ref{fig:ipc_pipe_use}, in cui la
direzione del flusso dei dati è data dalle frecce continue.
\begin{figure}[htb]
\centering
\includegraphics[height=5cm]{img/pipeuse}
\caption{Schema dell'uso di una pipe come mezzo di comunicazione fra
- due processi attraverso attraverso l'esecuzione una \func{fork} e la
- chiusura dei capi non utilizzati.}
+ due processi attraverso l'esecuzione una \func{fork} e la chiusura dei
+ capi non utilizzati.}
\label{fig:ipc_pipe_use}
\end{figure}
Si potrebbe obiettare che sarebbe molto più semplice salvare il risultato
intermedio su un file temporaneo. Questo però non tiene conto del fatto che un
\textit{CGI} deve poter gestire più richieste in concorrenza, e si avrebbe una
-evidente race condition\index{race condition} in caso di accesso simultaneo a
-detto file.\footnote{il problema potrebbe essere superato determinando in
- anticipo un nome appropriato per il file temporaneo, che verrebbe utilizzato
- dai vari sotto-processi, e cancellato alla fine della loro esecuzione; ma a
- questo le cose non sarebbero più tanto semplici.} L'uso di una pipe invece
-permette di risolvere il problema in maniera semplice ed elegante, oltre ad
-essere molto più efficiente, dato che non si deve scrivere su disco.
+evidente \textit{race condition}\index{\textit{race~condition}} in caso di
+accesso simultaneo a detto file.\footnote{il problema potrebbe essere superato
+ determinando in anticipo un nome appropriato per il file temporaneo, che
+ verrebbe utilizzato dai vari sotto-processi, e cancellato alla fine della
+ loro esecuzione; ma a questo le cose non sarebbero più tanto semplici.}
+L'uso di una pipe invece permette di risolvere il problema in maniera semplice
+ed elegante, oltre ad essere molto più efficiente, dato che non si deve
+scrivere su disco.
Il programma ci servirà anche come esempio dell'uso delle funzioni di
duplicazione dei file descriptor che abbiamo trattato in
-\secref{sec:file_dup}, in particolare di \func{dup2}. È attraverso queste
+sez.~\ref{sec:file_dup}, in particolare di \func{dup2}. È attraverso queste
funzioni infatti che è possibile dirottare gli stream standard dei processi
-(che abbiamo visto in \secref{sec:file_std_descr} e
-\secref{sec:file_std_stream}) sulla pipe. In \figref{fig:ipc_barcodepage_code}
-abbiamo riportato il corpo del programma, il cui codice completo è disponibile
-nel file \file{BarCodePage.c} che si trova nella directory dei sorgenti.
+(che abbiamo visto in sez.~\ref{sec:file_std_descr} e
+sez.~\ref{sec:file_std_stream}) sulla pipe. In
+fig.~\ref{fig:ipc_barcodepage_code} abbiamo riportato il corpo del programma,
+il cui codice completo è disponibile nel file \file{BarCodePage.c} che si
+trova nella directory dei sorgenti.
\begin{figure}[!htb]
per produrre il codice a barre; si ha cura di controllare la riuscita della
chiamata, inviando in caso di errore un messaggio invece dell'immagine
richiesta.\footnote{la funzione \func{WriteMess} non è riportata in
- \secref{fig:ipc_barcodepage_code}; essa si incarica semplicemente di
+ fig.~\ref{fig:ipc_barcodepage_code}; essa si incarica semplicemente di
formattare l'uscita alla maniera dei CGI, aggiungendo l'opportuno
\textit{mime type}, e formattando il messaggio in HTML, in modo che
quest'ultimo possa essere visualizzato correttamente da un browser.}
quindi associato allo standard input) in caso di \code{"w"}.
Lo stream restituito da \func{popen} è identico a tutti gli effetti ai file
-stream visti in \capref{cha:files_std_interface}, anche se è collegato ad una
-pipe e non ad un file, e viene sempre aperto in modalità
-\textit{fully-buffered} (vedi \secref{sec:file_buffering}); l'unica differenza
-con gli usuali stream è che dovrà essere chiuso dalla seconda delle due nuove
-funzioni, \funcd{pclose}, il cui prototipo è:
+stream visti in cap.~\ref{cha:files_std_interface}, anche se è collegato ad
+una pipe e non ad un file, e viene sempre aperto in modalità
+\textit{fully-buffered} (vedi sez.~\ref{sec:file_buffering}); l'unica
+differenza con gli usuali stream è che dovrà essere chiuso dalla seconda delle
+due nuove funzioni, \funcd{pclose}, il cui prototipo è:
\begin{prototype}{stdio.h}
{int pclose(FILE *stream)}
\func{popen}.
Per illustrare l'uso di queste due funzioni riprendiamo il problema
-precedente: il programma mostrato in \figref{fig:ipc_barcodepage_code} per
+precedente: il programma mostrato in fig.~\ref{fig:ipc_barcodepage_code} per
quanto funzionante, è (volutamente) codificato in maniera piuttosto complessa,
inoltre nella pratica sconta un problema di \cmd{gs} che non è in
grado\footnote{nella versione GNU Ghostscript 6.53 (2002-02-13).} di
Nel nostro caso, dato che ciascun processo deve scrivere il suo output sullo
standard input del successivo, occorrerà usare \func{popen} aprendo la pipe in
scrittura. Il codice del nuovo programma è riportato in
-\figref{fig:ipc_barcode_code}. Come si può notare l'ordine di invocazione dei
-programmi è l'inverso di quello in cui ci si aspetta che vengano
+fig.~\ref{fig:ipc_barcode_code}. Come si può notare l'ordine di invocazione
+dei programmi è l'inverso di quello in cui ci si aspetta che vengano
effettivamente eseguiti. Questo non comporta nessun problema dato che la
lettura su una pipe è bloccante, per cui ciascun processo, per quanto lanciato
per primo, si bloccherà in attesa di ricevere sullo standard input il
-risultato dell'elaborazione del precedente, benchè quest'ultimo venga
-invocato dopo.
+risultato dell'elaborazione del precedente, benchè quest'ultimo venga invocato
+dopo.
\begin{figure}[!htb]
\footnotesize \centering
\subsection{Le \textit{pipe} con nome, o \textit{fifo}}
\label{sec:ipc_named_pipe}
-Come accennato in \secref{sec:ipc_pipes} il problema delle \textit{pipe} è che
-esse possono essere utilizzate solo da processi con un progenitore comune o
-nella relazione padre/figlio; per superare questo problema lo standard POSIX.1
-ha definito dei nuovi oggetti, le \textit{fifo}, che hanno le stesse
+Come accennato in sez.~\ref{sec:ipc_pipes} il problema delle \textit{pipe} è
+che esse possono essere utilizzate solo da processi con un progenitore comune
+o nella relazione padre/figlio; per superare questo problema lo standard
+POSIX.1 ha definito dei nuovi oggetti, le \textit{fifo}, che hanno le stesse
caratteristiche delle pipe, ma che invece di essere strutture interne del
kernel, visibili solo attraverso un file descriptor, sono accessibili
attraverso un inode\index{inode} che risiede sul filesystem, così che i
l'inode\index{inode} allocato sul filesystem serve infatti solo a fornire un
punto di riferimento per i processi, che permetta loro di accedere alla stessa
fifo; il comportamento delle funzioni di lettura e scrittura è identico a
-quello illustrato per le pipe in \secref{sec:ipc_pipes}.
+quello illustrato per le pipe in sez.~\ref{sec:ipc_pipes}.
-Abbiamo già visto in \secref{sec:file_mknod} le funzioni \func{mknod} e
+Abbiamo già visto in sez.~\ref{sec:file_mknod} le funzioni \func{mknod} e
\func{mkfifo} che permettono di creare una fifo; per utilizzarne una un
processo non avrà che da aprire il relativo file speciale o in lettura o
scrittura; nel primo caso sarà collegato al capo di uscita della fifo, e dovrà
lettura; è possibile anche usare la fifo all'interno di un solo processo, nel
qual caso però occorre stare molto attenti alla possibili situazioni di
stallo.\footnote{se si cerca di leggere da una fifo che non contiene dati si
- avrà un deadlock\index{deadlock} immediato, dato che il processo si blocca e
- non potrà quindi mai eseguire le funzioni di scrittura.}
+ avrà un deadlock\index{\textit{deadlock}} immediato, dato che il processo si
+ blocca e non potrà quindi mai eseguire le funzioni di scrittura.}
Per la loro caratteristica di essere accessibili attraverso il filesystem, è
piuttosto frequente l'utilizzo di una fifo come canale di comunicazione nelle
fondamentale che le operazioni di scrittura siano atomiche; per questo si deve
sempre tenere presente che questo è vero soltanto fintanto che non si supera
il limite delle dimensioni di \const{PIPE\_BUF} (si ricordi quanto detto in
-\secref{sec:ipc_pipes}).
+sez.~\ref{sec:ipc_pipes}).
A parte il caso precedente, che resta probabilmente il più comune, Stevens
riporta in \cite{APUE} altre due casistiche principali per l'uso delle fifo:
sull'input di parecchi altri (attraverso l'uso del comando \cmd{tee}).
\item Come canale di comunicazione fra client ed server (il modello
- \textit{client-server} è illustrato in \secref{sec:net_cliserv}).
+ \textit{client-server} è illustrato in sez.~\ref{sec:net_cliserv}).
\end{itemize}
Nel primo caso quello che si fa è creare tante fifo, da usare come standard
leggerli, quando i dati inviati sono destinati a loro.
Per risolvere questo problema, si può usare un'architettura come quella
-illustrata in \figref{fig:ipc_fifo_server_arch} in cui i client inviano le
+illustrata in fig.~\ref{fig:ipc_fifo_server_arch} in cui i client inviano le
richieste al server su una fifo nota mentre le risposte vengono reinviate dal
server a ciascuno di essi su una fifo temporanea creata per l'occasione.
un detto a caso estratto da un insieme di frasi; sia il numero delle frasi
dell'insieme, che i file da cui esse vengono lette all'avvio, sono importabili
da riga di comando. Il corpo principale del server è riportato in
-\figref{fig:ipc_fifo_server}, dove si è tralasciata la parte che tratta la
+fig.~\ref{fig:ipc_fifo_server}, dove si è tralasciata la parte che tratta la
gestione delle opzioni a riga di comando, che effettua il settaggio delle
variabili \var{fortunefilename}, che indica il file da cui leggere le frasi,
ed \var{n}, che indica il numero di frasi tenute in memoria, ad un valore
presenza di un valore nullo provoca l'uscita dal programma attraverso la
routine (non riportata) che ne stampa le modalità d'uso. Dopo di che installa
(\texttt{\small 13--15}) la funzione che gestisce i segnali di interruzione
-(anche questa non è riportata in \figref{fig:ipc_fifo_server}) che si limita a
-rimuovere dal filesystem la fifo usata dal server per comunicare.
+(anche questa non è riportata in fig.~\ref{fig:ipc_fifo_server}) che si limita
+a rimuovere dal filesystem la fifo usata dal server per comunicare.
Terminata l'inizializzazione (\texttt{\small 16}) si effettua la chiamata alla
funzione \code{FortuneParse} che legge dal file specificato in
sarà scritta. Infine (\texttt{\small 49}) si chiude la fifo di risposta che
non serve più.
-Il codice del client è invece riportato in \figref{fig:ipc_fifo_client}, anche
-in questo caso si è omessa la gestione delle opzioni e la funzione che stampa
-a video le informazioni di utilizzo ed esce, riportando solo la sezione
+Il codice del client è invece riportato in fig.~\ref{fig:ipc_fifo_client},
+anche in questo caso si è omessa la gestione delle opzioni e la funzione che
+stampa a video le informazioni di utilizzo ed esce, riportando solo la sezione
principale del programma e le definizioni delle variabili. Il codice completo
è nel file \file{FortuneClient.c} dei sorgenti allegati.
occorrerà definire la speciale variabile di ambiente \code{LD\_LIBRARY\_PATH}
in modo che il linker dinamico possa accedervi.
-In generale questa variabile indica il pathname della directory contenente la
+In generale questa variabile indica il
+\index{\textit{pathname}}\textit{pathname} della directory contenente la
libreria. Nell'ipotesi (che daremo sempre per verificata) che si facciano le
prove direttamente nella directory dei sorgenti (dove di norma vengono creati
sia i programmi che la libreria), il comando da dare sarà \code{export
Avendo usato \func{daemon} per eseguire il server in background il comando
ritornerà immediatamente, ma potremo verificare con \cmd{ps} che in effetti il
programma resta un esecuzione in background, e senza avere associato un
-terminale di controllo (si ricordi quanto detto in \secref{sec:sess_daemon}):
+terminale di controllo (si ricordi quanto detto in sez.~\ref{sec:sess_daemon}):
\begin{verbatim}
[piccardi@gont sources]$ ps aux
...
fifo non è adatta a risolvere questo tipo di problemi, che possono essere
affrontati in maniera più semplice ed efficace o usando i
\textit{socket}\index{socket} (che tratteremo in dettaglio a partire da
-\capref{cha:socket_intro}) o ricorrendo a meccanismi di comunicazione diversi,
-come quelli che esamineremo in seguito.
+cap.~\ref{cha:socket_intro}) o ricorrendo a meccanismi di comunicazione
+diversi, come quelli che esamineremo in seguito.
Un meccanismo di comunicazione molto simile alle pipe, ma che non presenta il
problema della unidirezionalità del flusso dei dati, è quello dei cosiddetti
\textsl{socket locali} (o \textit{Unix domain socket}). Tratteremo l'argomento
-dei \textit{socket}\index{socket} in \capref{cha:socket_intro},\footnote{si
+dei \textit{socket}\index{socket} in cap.~\ref{cha:socket_intro},\footnote{si
tratta comunque di oggetti di comunicazione che, come le pipe, sono
utilizzati attraverso dei file descriptor.} nell'ambito dell'interfaccia
generale che essi forniscono per la programmazione di rete; e vedremo anche
-(in~\secref{sec:sock_sa_local}) come si possono definire dei file speciali (di
-tipo \textit{socket}, analoghi a quello associati alle fifo) cui si accede
+(in~sez.~\ref{sec:sock_sa_local}) come si possono definire dei file speciali
+(di tipo \textit{socket}, analoghi a quello associati alle fifo) cui si accede
però attraverso quella medesima interfaccia; vale però la pena esaminare qui
una modalità di uso dei socket locali\footnote{la funzione \func{socketpair} è
stata introdotta in BSD4.4, ma è supportata in genere da qualunque sistema
linea non solo dei dati, ma anche dei file descriptor: si può cioè passare da
un processo ad un altro un file descriptor, con una sorta di duplicazione
dello stesso non all'interno di uno stesso processo, ma fra processi distinti
-(torneremo su questa funzionalità in \secref{sec:xxx_fd_passing}).
+(torneremo su questa funzionalità in sez.~\ref{sec:xxx_fd_passing}).
-\section{La comunicazione fra processi di System V}
+\section{Il sistema di comunicazione fra processi di System V}
\label{sec:ipc_sysv}
Benché le pipe e le fifo siano ancora ampiamente usate, esse scontano il
oggetti per la comunicazione fra processi ed una nuova interfaccia di
programmazione, che fossero in grado di garantire una maggiore flessibilità.
In questa sezione esamineremo come Linux supporta quello che viene chiamato il
-\textsl{Sistema di comunicazione inter-processo} di System V, cui da qui in
+\textsl{Sistema di comunicazione fra processi} di System V, cui da qui in
avanti faremo riferimento come \textit{SysV IPC} (dove IPC è la sigla di
\textit{Inter-Process Comunication}).
specificando il relativo \textsl{identificatore}. Questo è un numero
progressivo (un po' come il \acr{pid} dei processi) che il kernel assegna a
ciascuno di essi quanto vengono creati (sul procedimento di assegnazione
-torneremo in \secref{sec:ipc_sysv_id_use}). L'identificatore viene restituito
+torneremo in sez.~\ref{sec:ipc_sysv_id_use}). L'identificatore viene restituito
dalle funzioni che creano l'oggetto, ed è quindi locale al processo che le ha
eseguite. Dato che l'identificatore viene assegnato dinamicamente dal kernel
non è possibile prevedere quale sarà, né utilizzare un qualche valore statico,
si sposta il problema dell'accesso dalla classificazione in base
all'identificatore alla classificazione in base alla chiave, una delle tante
complicazioni inutili presenti nel \textit{SysV IPC}.} Oltre la chiave, la
-struttura, la cui definizione è riportata in \figref{fig:ipc_ipc_perm},
+struttura, la cui definizione è riportata in fig.~\ref{fig:ipc_ipc_perm},
mantiene varie proprietà ed informazioni associate all'oggetto.
\begin{figure}[!htb]
\end{functions}
La funzione determina un valore della chiave sulla base di \param{pathname},
-che deve specificare il pathname di un file effettivamente esistente e di un
-numero di progetto \param{proj\_id)}, che di norma viene specificato come
-carattere, dato che ne vengono utilizzati solo gli 8 bit meno
-significativi.\footnote{nelle libc4 e libc5, come avviene in SunOS,
- l'argomento \param{proj\_id} è dichiarato tipo \ctyp{char}, le \acr{glibc}
- usano il prototipo specificato da XPG4, ma vengono lo stesso utilizzati gli
- 8 bit meno significativi.}
+che deve specificare il \index{\textit{pathname}}\textit{pathname} di un file
+effettivamente esistente e di un numero di progetto \param{proj\_id)}, che di
+norma viene specificato come carattere, dato che ne vengono utilizzati solo
+gli 8 bit meno significativi.\footnote{nelle libc4 e libc5, come avviene in
+ SunOS, l'argomento \param{proj\_id} è dichiarato tipo \ctyp{char}, le
+ \acr{glibc} usano il prototipo specificato da XPG4, ma vengono lo stesso
+ utilizzati gli 8 bit meno significativi.}
Il problema è che anche così non c'è la sicurezza che il valore della chiave
sia univoco, infatti esso è costruito combinando il byte di \param{proj\_id)}
identificare un oggetto, come sarebbe stato se lo si fosse associato ad in
file, e tutta l'interfaccia è inutilmente complessa. Per questo ne è stata
effettuata una revisione completa nello standard POSIX.1b, che tratteremo in
-\secref{sec:ipc_posix}.
+sez.~\ref{sec:ipc_posix}.
\subsection{Il controllo di accesso}
(nei campi \var{cuid} e \var{cgid}) e del proprietario (nei campi \var{uid} e
\var{gid}) dello stesso, e un insieme di permessi (nel campo \var{mode}). In
questo modo è possibile definire un controllo di accesso sugli oggetti di IPC,
-simile a quello che si ha per i file (vedi \secref{sec:file_perm_overview}).
+simile a quello che si ha per i file (vedi sez.~\ref{sec:file_perm_overview}).
Benché questo controllo di accesso sia molto simile a quello dei file, restano
delle importanti differenze. La prima è che il permesso di esecuzione non
permessi di lettura e scrittura (nel caso dei semafori poi quest'ultimo è più
propriamente un permesso di modifica). I valori di \var{mode} sono gli stessi
ed hanno lo stesso significato di quelli riportati in
-\secref{tab:file_mode_flags}\footnote{se però si vogliono usare le costanti
+tab.~\ref{tab:file_mode_flags}\footnote{se però si vogliono usare le costanti
simboliche ivi definite occorrerà includere il file \file{sys/stat.h},
alcuni sistemi definiscono le costanti \const{MSG\_R} (\texttt{0400}) e
\const{MSG\_W} (\texttt{0200}) per indicare i permessi base di lettura e
passi elencati non comporta il fallimento dell'accesso. Un'ulteriore
differenza rispetto a quanto avviene per i file è che per gli oggetti di IPC
il valore di \var{umask} (si ricordi quanto esposto in
-\secref{sec:file_umask}) non ha alcun significato.
+sez.~\ref{sec:file_umask}) non ha alcun significato.
\subsection{Gli identificatori ed il loro utilizzo}
\label{sec:ipc_sysv_id_use}
L'unico campo di \struct{ipc\_perm} del quale non abbiamo ancora parlato è
-\var{seq}, che in \figref{fig:ipc_ipc_perm} è qualificato con un criptico
+\var{seq}, che in fig.~\ref{fig:ipc_ipc_perm} è qualificato con un criptico
``\textsl{numero di sequenza}'', ne parliamo adesso dato che esso è
strettamente attinente alle modalità con cui il kernel assegna gli
identificatori degli oggetti del sistema di IPC.
\label{fig:ipc_sysv_idtest}
\end{figure}
-In \figref{fig:ipc_sysv_idtest} è riportato il codice di un semplice programma
-di test che si limita a creare un oggetto (specificato a riga di comando),
-stamparne il numero di identificatore e cancellarlo per un numero specificato
-di volte. Al solito non si è riportato il codice della gestione delle opzioni
-a riga di comando, che permette di specificare quante volte effettuare il
-ciclo \var{n}, e su quale tipo di oggetto eseguirlo.
+In fig.~\ref{fig:ipc_sysv_idtest} è riportato il codice di un semplice
+programma di test che si limita a creare un oggetto (specificato a riga di
+comando), stamparne il numero di identificatore e cancellarlo per un numero
+specificato di volte. Al solito non si è riportato il codice della gestione
+delle opzioni a riga di comando, che permette di specificare quante volte
+effettuare il ciclo \var{n}, e su quale tipo di oggetto eseguirlo.
La figura non riporta il codice di selezione delle opzioni, che permette di
inizializzare i valori delle variabili \var{type} al tipo di oggetto voluto, e
essere nullo e deve essere fornito come maschera binaria, impostando il bit
corrispondente al valore \const{IPC\_CREAT}. In questo caso i nove bit meno
significativi di \param{flag} saranno usati come permessi per il nuovo
-oggetto, secondo quanto illustrato in \secref{sec:ipc_sysv_access_control}.
+oggetto, secondo quanto illustrato in sez.~\ref{sec:ipc_sysv_access_control}.
Se si imposta anche il bit corrispondente a \const{IPC\_EXCL} la funzione avrà
successo solo se l'oggetto non esiste già, fallendo con un errore di
\errcode{EEXIST} altrimenti.
Le code di messaggi sono caratterizzate da tre limiti fondamentali, definiti
negli header e corrispondenti alle prime tre costanti riportate in
-\tabref{tab:ipc_msg_limits}, come accennato però in Linux è possibile
+tab.~\ref{tab:ipc_msg_limits}, come accennato però in Linux è possibile
modificare questi limiti attraverso l'uso di \func{sysctl} o scrivendo nei
file \file{msgmax}, \file{msgmnb} e \file{msgmni} di \file{/proc/sys/kernel/}.
aggiornare un puntatore), e relativamente veloce da attraversare in ordine
sequenziale (seguendo i puntatori), è invece relativamente lenta
nell'accesso casuale e nella ricerca.} i nuovi messaggi vengono inseriti in
-coda alla lista e vengono letti dalla cima, in \figref{fig:ipc_mq_schema} si è
-riportato lo schema con cui queste strutture vengono mantenute dal
-kernel.\footnote{lo schema illustrato in \figref{fig:ipc_mq_schema} è in
+coda alla lista e vengono letti dalla cima, in fig.~\ref{fig:ipc_mq_schema} si
+è riportato lo schema con cui queste strutture vengono mantenute dal
+kernel.\footnote{lo schema illustrato in fig.~\ref{fig:ipc_mq_schema} è in
realtà una semplificazione di quello usato effettivamente fino ai kernel
della serie 2.2.x, nei kernel della serie 2.4.x la gestione delle code di
messaggi è stata modificata ed è effettuata in maniera diversa; abbiamo
\end{figure}
A ciascuna coda è associata una struttura \struct{msgid\_ds}, la cui
-definizione, è riportata in \secref{fig:ipc_msqid_ds}. In questa struttura il
+definizione, è riportata in fig.~\ref{fig:ipc_msqid_ds}. In questa struttura il
kernel mantiene le principali informazioni riguardo lo stato corrente della
coda.\footnote{come accennato questo vale fino ai kernel della serie 2.2.x,
essa viene usata nei kernel della serie 2.4.x solo per compatibilità in
quanto è quella restituita dalle funzioni dell'interfaccia. Si noti come ci
sia una differenza con i campi mostrati nello schema di
- \figref{fig:ipc_mq_schema} che sono presi dalla definizione di
+ fig.~\ref{fig:ipc_mq_schema} che sono presi dalla definizione di
\file{linux/msg.h}, e fanno riferimento alla definizione della omonima
- struttura usata nel kernel.} In \figref{fig:ipc_msqid_ds} sono elencati i
+ struttura usata nel kernel.} In fig.~\ref{fig:ipc_msqid_ds} sono elencati i
campi significativi definiti in \file{sys/msg.h}, a cui si sono aggiunti gli
ultimi tre campi che sono previsti dalla implementazione originale di System
V, ma non dallo standard Unix98.
Quando si crea una nuova coda con \func{msgget} questa struttura viene
inizializzata, in particolare il campo \var{msg\_perm} viene inizializzato
-come illustrato in \secref{sec:ipc_sysv_access_control}, per quanto riguarda
+come illustrato in sez.~\ref{sec:ipc_sysv_access_control}, per quanto riguarda
gli altri campi invece:
\begin{itemize*}
\item il campo \var{msg\_qnum}, che esprime il numero di messaggi presenti
\item[\const{IPC\_RMID}] Rimuove la coda, cancellando tutti i dati, con
effetto immediato. Tutti i processi che cercheranno di accedere alla coda
riceveranno un errore di \errcode{EIDRM}, e tutti processi in attesa su
- funzioni di di lettura o di scrittura sulla coda saranno svegliati ricevendo
+ funzioni di lettura o di scrittura sulla coda saranno svegliati ricevendo
il medesimo errore. Questo comando può essere eseguito solo da un processo
con user-ID effettivo corrispondente al creatore o al proprietario della
coda, o all'amministratore.
messaggio ha lunghezza specificata da \param{msgsz} ed è passato attraverso il
l'argomento \param{msgp}. Quest'ultimo deve venire passato sempre come
puntatore ad una struttura \struct{msgbuf} analoga a quella riportata in
-\figref{fig:ipc_msbuf} che è quella che deve contenere effettivamente il
+fig.~\ref{fig:ipc_msbuf} che è quella che deve contenere effettivamente il
messaggio. La dimensione massima per il testo di un messaggio non può
comunque superare il limite \const{MSGMAX}.
-La struttura di \figref{fig:ipc_msbuf} è comunque solo un modello, tanto che
+La struttura di fig.~\ref{fig:ipc_msbuf} è comunque solo un modello, tanto che
la definizione contenuta in \file{sys/msg.h} usa esplicitamente per il secondo
campo il valore \code{mtext[1]}, che non è di nessuna utilità ai fini pratici.
La sola cosa che conta è che la struttura abbia come primo membro un campo
dimensione, e serve a contenere il testo del messaggio.
In generale pertanto per inviare un messaggio con \func{msgsnd} si usa
-ridefinire una struttura simile a quella di \figref{fig:ipc_msbuf}, adattando
+ridefinire una struttura simile a quella di fig.~\ref{fig:ipc_msbuf}, adattando
alle proprie esigenze il campo \var{mtype}, (o ridefinendo come si vuole il
corpo del messaggio, anche con più campi o con strutture più complesse) avendo
però la cura di mantenere nel primo campo un valore di tipo \ctyp{long} che ne
argomento è solo quella del messaggio, non quella di tutta la struttura, se
cioè \var{message} è una propria struttura che si passa alla funzione,
\param{msgsz} dovrà essere uguale a \code{sizeof(message)-sizeof(long)}, (se
-consideriamo il caso dell'esempio in \figref{fig:ipc_msbuf}, \param{msgsz}
+consideriamo il caso dell'esempio in fig.~\ref{fig:ipc_msbuf}, \param{msgsz}
dovrà essere pari a \const{LENGTH}).
\begin{figure}[!htb]
Per capire meglio il funzionamento della funzione riprendiamo in
considerazione la struttura della coda illustrata in
-\figref{fig:ipc_mq_schema}. Alla chiamata di \func{msgsnd} il nuovo messaggio
+fig.~\ref{fig:ipc_mq_schema}. Alla chiamata di \func{msgsnd} il nuovo messaggio
sarà aggiunto in fondo alla lista inserendo una nuova struttura \struct{msg},
il puntatore \var{msg\_last} di \struct{msqid\_ds} verrà aggiornato, come pure
il puntatore al messaggio successivo per quello che era il precedente ultimo
La funzione legge un messaggio dalla coda specificata, scrivendolo sulla
struttura puntata da \param{msgp}, che dovrà avere un formato analogo a quello
-di \figref{fig:ipc_msbuf}. Una volta estratto, il messaggio sarà rimosso dalla
-coda. L'argomento \param{msgsz} indica la lunghezza massima del testo del
-messaggio (equivalente al valore del parametro \const{LENGTH} nell'esempio di
-\figref{fig:ipc_msbuf}).
+di fig.~\ref{fig:ipc_msbuf}. Una volta estratto, il messaggio sarà rimosso
+dalla coda. L'argomento \param{msgsz} indica la lunghezza massima del testo
+del messaggio (equivalente al valore del parametro \const{LENGTH} nell'esempio
+di fig.~\ref{fig:ipc_msbuf}).
Se il testo del messaggio ha lunghezza inferiore a \param{msgsz} esso viene
rimosso dalla coda; in caso contrario, se \param{msgflg} è impostato a
L'argomento \param{msgtyp} permette di restringere la ricerca ad un
sottoinsieme dei messaggi presenti sulla coda; la ricerca infatti è fatta con
-una scansione della struttura mostrata in \figref{fig:ipc_mq_schema},
+una scansione della struttura mostrata in fig.~\ref{fig:ipc_mq_schema},
restituendo il primo messaggio incontrato che corrisponde ai criteri
specificati (che quindi, visto come i messaggi vengono sempre inseriti dalla
coda, è quello meno recente); in particolare:
\begin{itemize}
\item se \param{msgtyp} è 0 viene estratto il messaggio in cima alla coda, cioè
- quello fra i presenti che è stato inserito inserito per primo.
+ quello fra i presenti che è stato inserito per primo.
\item se \param{msgtyp} è positivo viene estratto il primo messaggio il cui
tipo (il valore del campo \var{mtype}) corrisponde al valore di
\param{msgtyp}.
utilizzava termina. Questo comporta che in caso di errori si può saturare il
sistema, e che devono comunque essere esplicitamente previste delle funzioni
di rimozione in caso di interruzioni o uscite dal programma (come vedremo in
-\figref{fig:ipc_mq_fortune_server}).
+fig.~\ref{fig:ipc_mq_fortune_server}).
L'altro problema è non facendo uso di file descriptor le tecniche di
-\textit{I/O multiplexing} descritte in \secref{sec:file_multiplexing} non
+\textit{I/O multiplexing} descritte in sez.~\ref{sec:file_multiplexing} non
possono essere utilizzate, e non si ha a disposizione niente di analogo alle
funzioni \func{select} e \func{poll}. Questo rende molto scomodo usare più di
una di queste strutture alla volta; ad esempio non si può scrivere un server
che aspetti un messaggio su più di una coda senza fare ricorso ad una tecnica
-di \textit{polling}\index{polling} che esegua un ciclo di attesa su ciascuna
-di esse.
+di \textit{polling}\index{\textit{polling}} che esegua un ciclo di attesa su
+ciascuna di esse.
Come esempio dell'uso delle code di messaggi possiamo riscrivere il nostro
server di \textit{fortunes} usando queste al posto delle fifo. In questo caso
\label{fig:ipc_mq_fortune_server}
\end{figure}
-In \figref{fig:ipc_mq_fortune_server} si è riportato un estratto delle parti
+In fig.~\ref{fig:ipc_mq_fortune_server} si è riportato un estratto delle parti
principali del codice del nuovo server (il codice completo è nel file
\file{MQFortuneServer.c} nei sorgenti allegati). Il programma è basato su un
uso accorto della caratteristica di poter associate un ``tipo'' ai messaggi
\label{fig:ipc_mq_fortune_client}
\end{figure}
-In \figref{fig:ipc_mq_fortune_client} si è riportato un estratto il codice del
-programma client. Al solito il codice completo è con i sorgenti allegati, nel
-file \file{MQFortuneClient.c}. Come sempre si sono rimosse le parti relative
-alla gestione delle opzioni, ed in questo caso, anche la dichiarazione delle
-variabili, che, per la parte relative alle strutture usate per la
-comunicazione tramite le code, sono le stesse viste in
-\figref{fig:ipc_mq_fortune_server}.
+In fig.~\ref{fig:ipc_mq_fortune_client} si è riportato un estratto il codice
+del programma client. Al solito il codice completo è con i sorgenti allegati,
+nel file \file{MQFortuneClient.c}. Come sempre si sono rimosse le parti
+relative alla gestione delle opzioni, ed in questo caso, anche la
+dichiarazione delle variabili, che, per la parte relative alle strutture usate
+per la comunicazione tramite le code, sono le stesse viste in
+fig.~\ref{fig:ipc_mq_fortune_server}.
Il client in questo caso è molto semplice; la prima parte del programma
(\texttt{\small 4--9}) si occupa di accedere alla coda di messaggi, ed è
I semafori non sono meccanismi di intercomunicazione diretta come quelli
(pipe, fifo e code di messaggi) visti finora, e non consentono di scambiare
dati fra processi, ma servono piuttosto come meccanismi di sincronizzazione o
-di protezione per le \textsl{sezioni critiche}\index{sezioni critiche} del
-codice (si ricordi quanto detto in \secref{sec:proc_race_cond}).
+di protezione per le \textsl{sezioni critiche}\index{sezioni~critiche} del
+codice (si ricordi quanto detto in sez.~\ref{sec:proc_race_cond}).
Un semaforo è uno speciale contatore, mantenuto nel kernel, che permette, a
seconda del suo valore, di consentire o meno la prosecuzione dell'esecuzione
La funzione è del tutto analoga a \func{msgget}, solo che in questo caso
restituisce l'identificatore di un insieme di semafori, in particolare è
identico l'uso degli argomenti \param{key} e \param{flag}, per cui non
-ripeteremo quanto detto al proposito in \secref{sec:ipc_sysv_mq}. L'argomento
+ripeteremo quanto detto al proposito in sez.~\ref{sec:ipc_sysv_mq}. L'argomento
\param{nsems} permette di specificare quanti semafori deve contenere l'insieme
quando se ne richieda la creazione, e deve essere nullo quando si effettua una
richiesta dell'identificatore di un insieme già esistente.
\end{figure}
A ciascun insieme di semafori è associata una struttura \struct{semid\_ds},
-riportata in \figref{fig:ipc_semid_ds}.\footnote{non si sono riportati i campi
- ad uso interno del kernel, che vedremo in \figref{fig:ipc_sem_schema}, che
- dipendono dall'implementazione.} Come nel caso delle code di messaggi quando
-si crea un nuovo insieme di semafori con \func{semget} questa struttura viene
-inizializzata, in particolare il campo \var{sem\_perm} viene inizializzato
-come illustrato in \secref{sec:ipc_sysv_access_control} (si ricordi che in
-questo caso il permesso di scrittura è in realtà permesso di alterare il
-semaforo), per quanto riguarda gli altri campi invece:
+riportata in fig.~\ref{fig:ipc_semid_ds}.\footnote{non si sono riportati i
+ campi ad uso interno del kernel, che vedremo in
+ fig.~\ref{fig:ipc_sem_schema}, che dipendono dall'implementazione.} Come nel
+caso delle code di messaggi quando si crea un nuovo insieme di semafori con
+\func{semget} questa struttura viene inizializzata, in particolare il campo
+\var{sem\_perm} viene inizializzato come illustrato in
+sez.~\ref{sec:ipc_sysv_access_control} (si ricordi che in questo caso il
+permesso di scrittura è in realtà permesso di alterare il semaforo), per
+quanto riguarda gli altri campi invece:
\begin{itemize*}
\item il campo \var{sem\_nsems}, che esprime il numero di semafori
nell'insieme, viene inizializzato al valore di \param{nsems}.
ormai è ridotta ai soli due primi membri, e gli altri vengono calcolati
dinamicamente. La si è utilizzata a scopo di esempio, perché indica tutti i
valori associati ad un semaforo, restituiti dalle funzioni di controllo, e
- citati dalle pagine di manuale.} è riportata in \figref{fig:ipc_sem}. Questa
-struttura, non è accessibile in user space, ma i valori in essa specificati
-possono essere letti in maniera indiretta, attraverso l'uso delle funzioni di
-controllo.
+ citati dalle pagine di manuale.} è riportata in fig.~\ref{fig:ipc_sem}.
+Questa struttura, non è accessibile in user space, ma i valori in essa
+specificati possono essere letti in maniera indiretta, attraverso l'uso delle
+funzioni di controllo.
\begin{figure}[!htb]
\footnotesize \centering
\label{fig:ipc_sem}
\end{figure}
-I dati mantenuti nella struttura, ed elencati in \figref{fig:ipc_sem},
+I dati mantenuti nella struttura, ed elencati in fig.~\ref{fig:ipc_sem},
indicano rispettivamente:
\begin{description*}
\item[\var{semval}] il valore numerico del semaforo.
Come per le code di messaggi anche per gli insiemi di semafori esistono una
serie di limiti, i cui valori sono associati ad altrettante costanti, che si
-sono riportate in \tabref{tab:ipc_sem_limits}. Alcuni di questi limiti sono al
-solito accessibili e modificabili attraverso \func{sysctl} o scrivendo
+sono riportate in tab.~\ref{tab:ipc_sem_limits}. Alcuni di questi limiti sono
+al solito accessibili e modificabili attraverso \func{sysctl} o scrivendo
direttamente nel file \file{/proc/sys/kernel/sem}.
La funzione che permette di effettuare le varie operazioni di controllo sui
generico, che conterrà un dato diverso a seconda dell'azione richiesta; per
unificare l'argomento esso deve essere passato come una \struct{semun}, la cui
definizione, con i possibili valori che può assumere, è riportata in
-\figref{fig:ipc_semun}.
+fig.~\ref{fig:ipc_semun}.
Come già accennato sia il comportamento della funzione che il numero di
parametri con cui deve essere invocata, dipendono dal valore dell'argomento
Il valore di ritorno della funzione in caso di successo dipende
dall'operazione richiesta; per tutte le operazioni che richiedono quattro
argomenti esso è sempre nullo, per le altre operazioni, elencate in
-\tabref{tab:ipc_semctl_returns} viene invece restituito il valore richiesto,
+tab.~\ref{tab:ipc_semctl_returns} viene invece restituito il valore richiesto,
corrispondente al campo della struttura \struct{sem} indicato nella seconda
colonna della tabella.
Il contenuto di ciascuna operazione deve essere specificato attraverso una
opportuna struttura \struct{sembuf} (la cui definizione è riportata in
-\figref{fig:ipc_sembuf}) che il programma chiamante deve avere cura di
+fig.~\ref{fig:ipc_sembuf}) che il programma chiamante deve avere cura di
allocare in un opportuno vettore. La struttura permette di indicare il
semaforo su cui operare, il tipo di operazione, ed un flag di controllo.
Il campo \var{sem\_num} serve per indicare a quale semaforo dell'insieme fa
Tutto questo però ha un problema di fondo. Per capire di cosa si tratta
occorre fare riferimento all'implementazione usata in Linux, che è riportata
-in maniera semplificata nello schema di \figref{fig:ipc_sem_schema}. Si è
+in maniera semplificata nello schema di fig.~\ref{fig:ipc_sem_schema}. Si è
presa come riferimento l'architettura usata fino al kernel 2.2.x che è più
semplice (ed illustrata in dettaglio in \cite{tlk}); nel kernel 2.4.x la
struttura del \textit{SysV IPC} è stata modificata, ma le definizioni relative
referenziata tramite i campi \var{sem\_pending} e \var{sem\_pending\_last}
di \struct{semid\_ds}.}. Nella struttura viene memorizzato il riferimento
alle operazioni richieste (nel campo \var{sops}, che è un puntatore ad una
-struttura \struct{sembuf}) e al processo corrente (nel campo \var{sleeper}) poi
-quest'ultimo viene messo stato di attesa e viene invocato lo
-scheduler\index{scheduler} per passare all'esecuzione di un altro processo.
+struttura \struct{sembuf}) e al processo corrente (nel campo \var{sleeper})
+poi quest'ultimo viene messo stato di attesa e viene invocato lo
+scheduler\index{\textit{scheduler}} per passare all'esecuzione di un altro
+processo.
Se invece tutte le operazioni possono avere successo queste vengono eseguite
immediatamente, dopo di che il kernel esegue una scansione della coda di
Come esempio di uso dell'interfaccia dei semafori vediamo come implementare
con essa dei semplici \textit{mutex} (cioè semafori binari), tutto il codice
in questione, contenuto nel file \file{Mutex.c} allegato ai sorgenti, è
-riportato in \figref{fig:ipc_mutex_create}. Utilizzeremo l'interfaccia per
+riportato in fig.~\ref{fig:ipc_mutex_create}. Utilizzeremo l'interfaccia per
creare un insieme contenente un singolo semaforo, per il quale poi useremo un
valore unitario per segnalare la disponibilità della risorsa, ed un valore
nullo per segnalarne l'indisponibilità.
considerata libera). Infine si tenga presente che usare \func{MutexRead} per
controllare il valore dei mutex prima di proseguire in una operazione di
sblocco non servirebbe comunque, dato che l'operazione non sarebbe atomica.
-Vedremo in \secref{sec:ipc_lock_file} come sia possibile ottenere
+Vedremo in sez.~\ref{sec:ipc_lock_file} come sia possibile ottenere
un'interfaccia analoga a quella appena illustrata, senza incorrere in questi
problemi, usando il file locking\index{file!locking}.
La funzione, come \func{semget}, è del tutto analoga a \func{msgget}, ed
identico è l'uso degli argomenti \param{key} e \param{flag} per cui non
-ripeteremo quanto detto al proposito in \secref{sec:ipc_sysv_mq}. L'argomento
+ripeteremo quanto detto al proposito in sez.~\ref{sec:ipc_sysv_mq}. L'argomento
\param{size} specifica invece la dimensione, in byte, del segmento, che viene
comunque arrotondata al multiplo superiore di \const{PAGE\_SIZE}.
\end{figure}
A ciascun segmento di memoria condivisa è associata una struttura
-\struct{shmid\_ds}, riportata in \figref{fig:ipc_shmid_ds}. Come nel caso
+\struct{shmid\_ds}, riportata in fig.~\ref{fig:ipc_shmid_ds}. Come nel caso
delle code di messaggi quando si crea un nuovo segmento di memoria condivisa
con \func{shmget} questa struttura viene inizializzata, in particolare il
campo \var{shm\_perm} viene inizializzato come illustrato in
-\secref{sec:ipc_sysv_access_control}, e valgono le considerazioni ivi fatte
+sez.~\ref{sec:ipc_sysv_access_control}, e valgono le considerazioni ivi fatte
relativamente ai permessi di accesso; per quanto riguarda gli altri campi
invece:
\begin{itemize}
\func{sysctl} o scrivendo direttamente nei rispettivi file di
\file{/proc/sys/kernel/}.
-In \tabref{tab:ipc_shm_limits} si sono riportate le
+In tab.~\ref{tab:ipc_shm_limits} si sono riportate le
costanti simboliche associate a ciascuno di essi, il loro significato, i
valori preimpostati, e, quando presente, il file in \file{/proc/sys/kernel/}
che permettono di cambiarne il valore.
\var{shm\_perm.uid} e \var{shm\_perm.gid} occorre essere il proprietario o
il creatore del segmento, oppure l'amministratore. Compiuta l'operazione
aggiorna anche il valore del campo \var{shm\_ctime}.
-\item[\const{SHM\_LOCK}] Abilita il
- \textit{memory locking}\index{memory locking}\footnote{impedisce cioè che la
+\item[\const{SHM\_LOCK}] Abilita il \textit{memory
+ locking}\index{\textit{memory~locking}}\footnote{impedisce cioè che la
memoria usata per il segmento venga salvata su disco dal meccanismo della
- memoria virtuale\index{memoria virtuale}; si ricordi quanto trattato in
- \secref{sec:proc_mem_lock}.} sul segmento di memoria condivisa. Solo
+ memoria virtuale\index{memoria~virtuale}; si ricordi quanto trattato in
+ sez.~\ref{sec:proc_mem_lock}.} sul segmento di memoria condivisa. Solo
l'amministratore può utilizzare questo comando.
-\item[\const{SHM\_UNLOCK}] Disabilita il \textit{memory locking} sul segmento
- di memoria condivisa. Solo l'amministratore può utilizzare questo comando.
+\item[\const{SHM\_UNLOCK}] Disabilita il \textit{memory
+ locking}\index{\textit{memory~locking}} sul segmento di memoria condivisa.
+ Solo l'amministratore può utilizzare questo comando.
\end{basedescript}
i primi tre comandi sono gli stessi già visti anche per le code di messaggi e
gli insiemi di semafori, gli ultimi due sono delle estensioni specifiche
previste da Linux, che permettono di abilitare e disabilitare il meccanismo
-della memoria virtuale\index{memoria virtuale} per il segmento.
+della memoria virtuale\index{memoria~virtuale} per il segmento.
L'argomento \param{buf} viene utilizzato solo con i comandi \const{IPC\_STAT}
e \const{IPC\_SET} nel qual caso esso dovrà puntare ad una struttura
La funzione inserisce un segmento di memoria condivisa all'interno dello
spazio di indirizzi del processo, in modo che questo possa accedervi
direttamente, la situazione dopo l'esecuzione di \func{shmat} è illustrata in
-\figref{fig:ipc_shmem_layout} (per la comprensione del resto dello schema si
-ricordi quanto illustrato al proposito in \secref{sec:proc_mem_layout}). In
+fig.~\ref{fig:ipc_shmem_layout} (per la comprensione del resto dello schema si
+ricordi quanto illustrato al proposito in sez.~\ref{sec:proc_mem_layout}). In
particolare l'indirizzo finale del segmento dati (quello impostato da
-\func{brk}, vedi \secref{sec:proc_mem_sbrk}) non viene influenzato. Si tenga
+\func{brk}, vedi sez.~\ref{sec:proc_mem_sbrk}) non viene influenzato. Si tenga
presente infine che la funzione ha successo anche se il segmento è stato
marcato per la cancellazione.
aumentato di uno.
\end{itemize*}
-Come accennato in \secref{sec:proc_fork} un segmento di memoria condivisa
+Come accennato in sez.~\ref{sec:proc_fork} un segmento di memoria condivisa
agganciato ad un processo viene ereditato da un figlio attraverso una
\func{fork}, dato che quest'ultimo riceve una copia dello spazio degli
indirizzi del padre. Invece, dato che attraverso una \func{exec} viene
Come esempio di uso di queste funzioni vediamo come implementare una serie di
funzioni di libreria che ne semplifichino l'uso, automatizzando le operazioni
più comuni; il codice, contenuto nel file \file{SharedMem.c}, è riportato in
-\figref{fig:ipc_sysv_shm_func}.
+fig.~\ref{fig:ipc_sysv_shm_func}.
La prima funzione (\texttt{\small 3--16}) è \func{ShmCreate} che, data una
chiave, crea il segmento di memoria condivisa restituendo il puntatore allo
sequenziale, altri meccanismi come le pipe, le fifo o i socket, che non
necessitano di sincronizzazione esplicita, sono da preferire. Essa diventa
l'unico meccanismo possibile quando la comunicazione non è
-sequenziale\footnote{come accennato in \secref{sec:ipc_sysv_mq} per la
+sequenziale\footnote{come accennato in sez.~\ref{sec:ipc_sysv_mq} per la
comunicazione non sequenziale si possono usare le code di messaggi,
attraverso l'uso del campo \var{mtype}, ma solo se quest'ultima può essere
effettuata in forma di messaggio.} o quando non può avvenire secondo una
segmento di memoria condivisa cui altri processi potranno accedere per
ricavare la parte di informazione che interessa.
-In \figref{fig:ipc_dirmonitor_main} si è riportata la sezione principale del
+In fig.~\ref{fig:ipc_dirmonitor_main} si è riportata la sezione principale del
corpo del programma server, insieme alle definizioni delle altre funzioni
usate nel programma e delle variabili globali, omettendo tutto quello che
riguarda la gestione delle opzioni e la stampa delle istruzioni di uso a
la directory di lavoro del programma nella directory da tenere sotto
controllo, in vista del successivo uso della funzione
\func{daemon}.\footnote{si noti come si è potuta fare questa scelta,
- nonostante le indicazioni illustrate in \secref{sec:sess_daemon}, per il
+ nonostante le indicazioni illustrate in sez.~\ref{sec:sess_daemon}, per il
particolare scopo del programma, che necessita comunque di restare
all'interno di una directory.} Infine (\texttt{\small 27--29}) si installano
i gestori per i vari segnali di terminazione che, avendo a che fare con un
accedere alla memoria condivisa, che, per come abbiamo lo abbiamo definito,
sarà vista nella forma data da \struct{DirProp}. Infine (\texttt{\small
36--39}) utilizzando sempre la stessa chiave, si crea, tramite le funzioni
-di interfaccia già descritte in \secref{sec:ipc_sysv_sem}, anche un mutex, che
-utilizzeremo per regolare l'accesso alla memoria condivisa.
+di interfaccia già descritte in sez.~\ref{sec:ipc_sysv_sem}, anche un mutex,
+che utilizzeremo per regolare l'accesso alla memoria condivisa.
\begin{figure}[!htb]
\footnotesize \centering
Si noti come per il calcolo dei valori da mantenere nella memoria condivisa si
sia usata ancora una volta la funzione \func{DirScan}, già utilizzata (e
-descritta in dettaglio) in \secref{sec:file_dir_read}, che ci permette di
+descritta in dettaglio) in sez.~\ref{sec:file_dir_read}, che ci permette di
effettuare la scansione delle voci della directory, chiamando per ciascuna di
esse la funzione \func{ComputeValues}, che esegue tutti i calcoli necessari.
-Il codice di quest'ultima è riportato in \figref{fig:ipc_dirmonitor_sub}. Come
-si vede la funzione (\texttt{\small 2--16}) è molto semplice e si limita a
-chiamare (\texttt{\small 5}) la funzione \func{stat} sul file indicato da
+Il codice di quest'ultima è riportato in fig.~\ref{fig:ipc_dirmonitor_sub}.
+Come si vede la funzione (\texttt{\small 2--16}) è molto semplice e si limita
+a chiamare (\texttt{\small 5}) la funzione \func{stat} sul file indicato da
ciascuna voce, per ottenerne i dati, che poi utilizza per incrementare i vari
contatori nella memoria condivisa, cui accede grazie alla variabile globale
\var{shmptr}.
condivisa usando \var{shmptr} per riempire i campi della struttura
\struct{DirProp}; così prima (\texttt{\small 6--7}) si sommano le dimensioni
dei file ed il loro numero, poi, utilizzando le macro di
-\tabref{tab:file_type_macro}, si contano (\texttt{\small 8--14}) quanti ce ne
-sono per ciascun tipo.
-
-In \figref{fig:ipc_dirmonitor_sub} è riportato anche il codice (\texttt{\small
- 17--23}) del gestore dei segnali di terminazione, usato per chiudere il
-programma. Esso, oltre a provocare l'uscita del programma, si incarica anche
-di cancellare tutti gli oggetti di intercomunicazione non più necessari. Per
-questo anzitutto (\texttt{\small 19}) acquisisce il mutex con
+tab.~\ref{tab:file_type_macro}, si contano (\texttt{\small 8--14}) quanti ce
+ne sono per ciascun tipo.
+
+In fig.~\ref{fig:ipc_dirmonitor_sub} è riportato anche il codice
+(\texttt{\small 17--23}) del gestore dei segnali di terminazione, usato per
+chiudere il programma. Esso, oltre a provocare l'uscita del programma, si
+incarica anche di cancellare tutti gli oggetti di intercomunicazione non più
+necessari. Per questo anzitutto (\texttt{\small 19}) acquisisce il mutex con
\func{MutexLock}, per evitare di operare mentre un client sta ancora leggendo
i dati, dopo di che (\texttt{\small 20}) distacca e rimuove il segmento di
memoria condivisa usando \func{ShmRemove}. Infine (\texttt{\small 21})
\end{figure}
Il codice del client usato per leggere le informazioni mantenute nella memoria
-condivisa è riportato in \figref{fig:ipc_dirmonitor_client}. Al solito si è
+condivisa è riportato in fig.~\ref{fig:ipc_dirmonitor_client}. Al solito si è
omessa la sezione di gestione delle opzioni e la funzione che stampa a video
le istruzioni; il codice completo è nei sorgenti allegati, nel file
\file{ReadMonitor.c}.
%% Per capire meglio il funzionamento delle funzioni facciamo ancora una volta
%% riferimento alle strutture con cui il kernel implementa i segmenti di memoria
%% condivisa; uno schema semplificato della struttura è illustrato in
-%% \figref{fig:ipc_shm_struct}.
+%% fig.~\ref{fig:ipc_shm_struct}.
%% \begin{figure}[htb]
%% \centering
\section{Tecniche alternative}
\label{sec:ipc_alternatives}
-Come abbiamo detto in \secref{sec:ipc_sysv_generic}, e ripreso nella
+Come abbiamo detto in sez.~\ref{sec:ipc_sysv_generic}, e ripreso nella
descrizione dei singoli oggetti che ne fan parte, il \textit{SysV IPC}
presenta numerosi problemi; in \cite{APUE}\footnote{in particolare nel
capitolo 14.} Stevens ne effettua una accurata analisi (alcuni dei concetti
Le code di messaggi sono probabilmente il meno usato degli oggetti del
\textit{SysV IPC}; esse infatti nacquero principalmente come meccanismo di
comunicazione bidirezionale quando ancora le pipe erano unidirezionali; con la
-disponibilità di \func{socketpair} (vedi \secref{sec:ipc_socketpair}) o
+disponibilità di \func{socketpair} (vedi sez.~\ref{sec:ipc_socketpair}) o
utilizzando una coppia di pipe, si può ottenere questo risultato senza
incorrere nelle complicazioni introdotte dal \textit{SysV IPC}.
\label{sec:ipc_file_lock}
\index{file!di lock|(}
-Come illustrato in \secref{sec:ipc_sysv_sem} i semafori del \textit{SysV IPC}
+Come illustrato in sez.~\ref{sec:ipc_sysv_sem} i semafori del \textit{SysV IPC}
presentano una interfaccia inutilmente complessa e con alcuni difetti
strutturali, per questo quando si ha una semplice esigenza di sincronizzazione
per la quale basterebbe un semaforo binario (quello che abbiamo definito come
dei \textsl{file di lock} (per i quali esiste anche una opportuna directory,
\file{/var/lock}, nel filesystem standard). Per questo si usa la
caratteristica della funzione \func{open} (illustrata in
-\secref{sec:file_open}) che prevede\footnote{questo è quanto dettato dallo
+sez.~\ref{sec:file_open}) che prevede\footnote{questo è quanto dettato dallo
standard POSIX.1, ciò non toglie che in alcune implementazioni questa
tecnica possa non funzionare; in particolare per Linux, nel caso di NFS, si
- è comunque soggetti alla possibilità di una race
- condition\index{race condition}.} che essa ritorni un errore quando usata
-con i flag di \const{O\_CREAT} e \const{O\_EXCL}. In tal modo la creazione di
-un \textsl{file di lock} può essere eseguita atomicamente, il processo che
-crea il file con successo si può considerare come titolare del lock (e della
-risorsa ad esso associata) mentre il rilascio si può eseguire con una chiamata
-ad \func{unlink}.
+ è comunque soggetti alla possibilità di una race
+ condition\index{\textit{race~condition}}.} che essa ritorni un errore quando
+usata con i flag di \const{O\_CREAT} e \const{O\_EXCL}. In tal modo la
+creazione di un \textsl{file di lock} può essere eseguita atomicamente, il
+processo che crea il file con successo si può considerare come titolare del
+lock (e della risorsa ad esso associata) mentre il rilascio si può eseguire
+con una chiamata ad \func{unlink}.
Un esempio dell'uso di questa funzione è mostrato dalle funzioni
-\func{LockFile} ed \func{UnlockFile} riportate in \figref{fig:ipc_file_lock}
+\func{LockFile} ed \func{UnlockFile} riportate in fig.~\ref{fig:ipc_file_lock}
(sono contenute in \file{LockFile.c}, un'altro dei sorgenti allegati alla
guida) che permettono rispettivamente di creare e rimuovere un \textsl{file di
lock}. Come si può notare entrambe le funzioni sono elementari; la prima
\end{figure}
Uno dei limiti di questa tecnica è che, come abbiamo già accennato in
-\secref{sec:file_open}, questo comportamento di \func{open} può non funzionare
-(la funzione viene eseguita, ma non è garantita l'atomicità dell'operazione)
-se il filesystem su cui si va ad operare è su NFS; in tal caso si può adottare
-una tecnica alternativa che prevede l'uso della \func{link} per creare come
-\textsl{file di lock} un hard link ad un file esistente; se il link esiste già
-e la funzione fallisce, significa che la risorsa è bloccata e potrà essere
-sbloccata solo con un \func{unlink}, altrimenti il link è creato ed il lock
-acquisito; il controllo e l'eventuale acquisizione sono atomici; la soluzione
-funziona anche su NFS, ma ha un'altro difetto è che è quello di poterla usare
-solo se si opera all'interno di uno stesso filesystem.
+sez.~\ref{sec:file_open}, questo comportamento di \func{open} può non
+funzionare (la funzione viene eseguita, ma non è garantita l'atomicità
+dell'operazione) se il filesystem su cui si va ad operare è su NFS; in tal
+caso si può adottare una tecnica alternativa che prevede l'uso della
+\func{link} per creare come \textsl{file di lock} un hard link ad un file
+esistente; se il link esiste già e la funzione fallisce, significa che la
+risorsa è bloccata e potrà essere sbloccata solo con un \func{unlink},
+altrimenti il link è creato ed il lock acquisito; il controllo e l'eventuale
+acquisizione sono atomici; la soluzione funziona anche su NFS, ma ha un'altro
+difetto è che è quello di poterla usare solo se si opera all'interno di uno
+stesso filesystem.
Un generale comunque l'uso di un \textsl{file di lock} presenta parecchi
problemi, che non lo rendono una alternativa praticabile per la
sincronizzazione: anzitutto in caso di terminazione imprevista del processo,
si lascia allocata la risorsa (il \textsl{file di lock}) e questa deve essere
sempre cancellata esplicitamente. Inoltre il controllo della disponibilità
-può essere eseguito solo con una tecnica di \textit{polling}\index{polling},
-ed è quindi molto inefficiente.
+può essere eseguito solo con una tecnica di
+\textit{polling}\index{\textit{polling}}, ed è quindi molto inefficiente.
La tecnica dei file di lock ha comunque una sua utilità, e può essere usata
con successo quando l'esigenza è solo quella di segnalare l'occupazione di una
Dato che i file di lock\index{file!di lock} presentano gli inconvenienti
illustrati in precedenza, la tecnica alternativa di sincronizzazione più
comune è quella di fare ricorso al \textit{file locking}\index{file!locking}
-(trattato in \secref{sec:file_locking}) usando \func{fcntl} su un file creato
-per l'occasione per ottenere un write lock. In questo modo potremo usare il
-lock come un \textit{mutex}: per bloccare la risorsa basterà acquisire il
-lock, per sbloccarla basterà rilasciare il lock. Una richiesta fatta con un
-write lock metterà automaticamente il processo in stato di attesa, senza
-necessità di ricorrere al \textit{polling}\index{polling} per determinare la
-disponibilità della risorsa, e al rilascio della stessa da parte del processo
-che la occupava si otterrà il nuovo lock atomicamente.
+(trattato in sez.~\ref{sec:file_locking}) usando \func{fcntl} su un file
+creato per l'occasione per ottenere un write lock. In questo modo potremo
+usare il lock come un \textit{mutex}: per bloccare la risorsa basterà
+acquisire il lock, per sbloccarla basterà rilasciare il lock. Una richiesta
+fatta con un write lock metterà automaticamente il processo in stato di
+attesa, senza necessità di ricorrere al
+\textit{polling}\index{\textit{polling}} per determinare la disponibilità
+della risorsa, e al rilascio della stessa da parte del processo che la
+occupava si otterrà il nuovo lock atomicamente.
Questo approccio presenta il notevole vantaggio che alla terminazione di un
processo tutti i lock acquisiti vengono rilasciati automaticamente (alla
\end{figure}
Il codice delle varie funzioni usate per implementare un mutex utilizzando il
-file locking\index{file!locking} è riportato in \figref{fig:ipc_flock_mutex};
+file locking\index{file!locking} è riportato in fig.~\ref{fig:ipc_flock_mutex};
si è mantenuta volutamente una struttura analoga alle precedenti funzioni che
usano i semafori, anche se le due interfacce non possono essere completamente
equivalenti, specie per quanto riguarda la rimozione del mutex.
caso si inizializza (\texttt{\small 28--31}) la struttura \var{lock} per il
rilascio del lock, che viene effettuato (\texttt{\small 33}) con la opportuna
chiamata a \func{fcntl}. Avendo usato il file locking in semantica POSIX (si
-riveda quanto detto \secref{sec:file_posix_lock}) solo il processo che ha
+riveda quanto detto sez.~\ref{sec:file_posix_lock}) solo il processo che ha
precedentemente eseguito il lock può sbloccare il mutex.
La quinta funzione (\texttt{\small 36--39}) è \func{RemoveMutex} e serve a
Basandosi sulla semantica dei file lock POSIX valgono tutte le considerazioni
relative al comportamento di questi ultimi fatte in
-\secref{sec:file_posix_lock}; questo significa ad esempio che, al contrario di
-quanto avveniva con l'interfaccia basata sui semafori, chiamate multiple a
+sez.~\ref{sec:file_posix_lock}; questo significa ad esempio che, al contrario
+di quanto avveniva con l'interfaccia basata sui semafori, chiamate multiple a
\func{UnlockMutex} o \func{LockMutex} non si cumulano e non danno perciò
nessun inconveniente.
evitare l'uso di una memoria condivisa facendo ricorso al cosiddetto
\textit{memory mapping} anonimo.
-In \secref{sec:file_memory_map} abbiamo visto come sia possibile mappare il
+In sez.~\ref{sec:file_memory_map} abbiamo visto come sia possibile mappare il
contenuto di un file nella memoria di un processo, e che, quando viene usato
il flag \const{MAP\_SHARED}, le modifiche effettuate al contenuto del file
vengono viste da tutti i processi che lo hanno mappato. Utilizzare questa
restano in memoria e possono essere riletti secondo le stesse modalità usate
nel \textit{memory mapping} anonimo.} Vedremo come utilizzare questa tecnica
più avanti, quando realizzeremo una nuova versione del monitor visto in
-\secref{sec:ipc_sysv_shm} che possa restituisca i risultati via rete.
+sez.~\ref{sec:ipc_sysv_shm} che possa restituisca i risultati via rete.
-\section{La comunicazione fra processi di POSIX}
+\section{Il sistema di comunicazione fra processi di POSIX}
\label{sec:ipc_posix}
Per superare i numerosi problemi del \textit{SysV IPC}, evidenziati per i suoi
-aspetti generali in coda a \secref{sec:ipc_sysv_generic} e per i singoli
+aspetti generali in coda a sez.~\ref{sec:ipc_sysv_generic} e per i singoli
oggetti nei paragrafi successivi, lo standard POSIX.1b ha introdotto dei nuovi
meccanismi di comunicazione, che vanno sotto il nome di POSIX IPC, definendo
una interfaccia completamente nuova, che tratteremo in questa sezione.
La caratteristica fondamentale dell'interfaccia POSIX è l'abbandono dell'uso
degli identificatori e delle chiavi visti nel SysV IPC, per passare ai
-\textit{Posix IPC names}\index{Posix IPC names}, che sono sostanzialmente
-equivalenti ai nomi dei file. Tutte le funzioni che creano un oggetto di IPC
-Posix prendono come primo argomento una stringa che indica uno di questi nomi;
-lo standard è molto generico riguardo l'implementazione, ed i nomi stessi
-possono avere o meno una corrispondenza sul filesystem; tutto quello che è
-richiesto è che:
+\textit{Posix IPC names}\index{\textit{Posix~IPC~names}}, che sono
+sostanzialmente equivalenti ai nomi dei file. Tutte le funzioni che creano un
+oggetto di IPC Posix prendono come primo argomento una stringa che indica uno
+di questi nomi; lo standard è molto generico riguardo l'implementazione, ed i
+nomi stessi possono avere o meno una corrispondenza sul filesystem; tutto
+quello che è richiesto è che:
\begin{itemize}
\item i nomi devono essere conformi alle regole che caratterizzano i
- \textit{pathname}, in particolare non essere più lunghi di \const{PATH\_MAX}
- byte e terminati da un carattere nullo.
+ \index{\textit{pathname}}\textit{pathname}, in particolare non essere più
+ lunghi di \const{PATH\_MAX} byte e terminati da un carattere nullo.
\item se il nome inizia per una \texttt{/} chiamate differenti allo stesso
nome fanno riferimento allo stesso oggetto, altrimenti l'interpretazione del
nome dipende dall'implementazione.
quanto riguarda la memoria condivisa, che per quanto riguarda le code di
messaggi, tutto viene creato usando come radici delle opportune directory
(rispettivamente \file{/dev/shm} e \file{/dev/mqueue}, per i dettagli si
-faccia riferimento a \secref{sec:ipc_posix_shm} e \secref{sec:ipc_posix_mq})
-ed i nomi specificati nelle relative funzioni sono considerati come un
-pathname assoluto (comprendente eventuali sottodirectory) rispetto a queste
-radici.
+faccia riferimento a sez.~\ref{sec:ipc_posix_shm} e
+sez.~\ref{sec:ipc_posix_mq}) ed i nomi specificati nelle relative funzioni
+sono considerati come un \index{\textit{pathname}!assoluto}\textit{pathname}
+assoluto (comprendente eventuali sottodirectory) rispetto a queste radici.
Il vantaggio degli oggetti di IPC POSIX è comunque che essi vengono inseriti
nell'albero dei file, e possono essere maneggiati con le usuali funzioni e
In particolare i permessi associati agli oggetti di IPC POSIX sono identici ai
permessi dei file, e il controllo di accesso segue esattamente la stessa
-semantica (quella illustrata in \secref{sec:file_access_control}), invece di
+semantica (quella illustrata in sez.~\ref{sec:file_access_control}), invece di
quella particolare (si ricordi quanto visto in
-\secref{sec:ipc_sysv_access_control}) usata per gli oggetti del SysV IPC. Per
+sez.~\ref{sec:ipc_sysv_access_control}) usata per gli oggetti del SysV IPC. Per
quanto riguarda l'attribuzione dell'utente e del gruppo proprietari
dell'oggetto alla creazione di quest'ultimo essa viene effettuata secondo la
semantica SysV (essi corrispondono cioè a userid e groupid effettivi del
Le code di messaggi non sono ancora supportate nel kernel ufficiale, esiste
però una implementazione sperimentale di Michal Wronski e Krzysztof
Benedyczak,\footnote{i patch al kernel e la relativa libreria possono essere
-trovati su
-\href{http://www.mat.uni.torun.pl/~wrona/posix_ipc}
-{http://www.mat.uni.torun.pl/\tild{}wrona/posix\_ipc}.}.
-In generale, come le corrispettive del SysV IPC, le code di messaggi sono poco
+ trovati su \href{http://www.mat.uni.torun.pl/~wrona/posix_ipc}
+ {http://www.mat.uni.torun.pl/\tild{}wrona/posix\_ipc}, questi sono stati
+ inseriti nel kernel ufficiale a partire dalla versione 2.6.6-rc1.}. In
+generale, come le corrispettive del SysV IPC, le code di messaggi sono poco
usate, dato che i socket\index{socket}, nei casi in cui sono sufficienti, sono
più comodi, e che in casi più complessi la comunicazione può essere gestita
direttamente con mutex e memoria condivisa con tutta la flessibilità che
siano stati opportunamente applicati i relativi patch, occorre utilizzare la
libreria \file{mqueue}\footnote{i programmi che usano le code di messaggi cioè
devono essere compilati aggiungendo l'opzione \code{-lmqueue} al comando
- \cmd{gcc}, dato che le funzioni non fanno parte della libreria standard.}
-che contiene le funzioni dell'interfaccia POSIX.\footnote{in realtà
- l'implementazione è realizzata tramite delle speciali chiamate ad
- \func{ioctl} sui file del filesystem speciale su cui vengono mantenuti
- questi oggetti di IPC.}
+ \cmd{gcc}, dato che le funzioni non fanno parte della libreria standard, in
+ corrispondenza all'inclusione del supporto nel kernel ufficiale, anche le
+ relative funzioni sono state inserite nelle \acr{glibc} a partire dalla
+ versione 2.3.4.} che contiene le funzioni dell'interfaccia
+POSIX.\footnote{in realtà l'implementazione è realizzata tramite delle
+ speciali chiamate ad \func{ioctl} sui file del filesystem speciale su cui
+ vengono mantenuti questi oggetti di IPC.}
La libreria inoltre richiede la presenza dell'apposito filesystem di tipo
La funzione è del tutto analoga ad \func{open} ed analoghi sono i valori che
possono essere specificati per \param{oflag}, che deve essere specificato come
maschera binaria; i valori possibili per i vari bit sono quelli visti in
-\tabref{tab:file_open_flags} dei quali però \func{mq\_open} riconosce solo i
+tab.~\ref{tab:file_open_flags} dei quali però \func{mq\_open} riconosce solo i
seguenti:
\begin{basedescript}{\desclabelwidth{2cm}\desclabelstyle{\nextlinelabel}}
\item[\const{O\_RDONLY}] Apre la coda solo per la ricezione di messaggi. Il
essere specificati anche gli attributi specifici della coda tramite
l'argomento \param{attr}; quest'ultimo è un puntatore ad una apposita
struttura \struct{mq\_attr}, la cui definizione è riportata in
-\figref{fig:ipc_mq_attr}.
+fig.~\ref{fig:ipc_mq_attr}.
\begin{figure}[!htb]
\footnotesize \centering
Il comportamento di \func{mq\_notify} dipende dal valore dell'argomento
\param{notification}, che è un puntatore ad una apposita struttura
-\struct{sigevent}, (definita in \figref{fig:file_sigevent}) introdotta dallo
+\struct{sigevent}, (definita in fig.~\ref{fig:file_sigevent}) introdotta dallo
standard POSIX.1b per gestire la notifica di eventi; per altri dettagli si può
-vedere quanto detto in \secref{sec:file_asyncronous_io} a proposito dell'uso
+vedere quanto detto in sez.~\ref{sec:file_asyncronous_io} a proposito dell'uso
della stessa struttura per l'invio dei segnali usati per l'I/O asincrono.
Attraverso questa struttura si possono impostare le modalità con cui viene
implementato.} ed il campo \var{sigev\_signo} deve indicare il valore del
segnale che sarà inviato al processo. Inoltre il campo \var{sigev\_value} è il
puntatore ad una struttura \struct{sigval\_t} (definita in
-\figref{fig:sig_sigval}) che permette di restituire al gestore del segnale un
+fig.~\ref{fig:sig_sigval}) che permette di restituire al gestore del segnale un
valore numerico o un indirizzo,\footnote{per il suo uso si riveda la
- trattazione fatta in \secref{sec:sig_real_time} a proposito dei segnali
+ trattazione fatta in sez.~\ref{sec:sig_real_time} a proposito dei segnali
real-time.} posto che questo sia installato nella forma estesa vista in
-\secref{sec:sig_sigaction}.
+sez.~\ref{sec:sig_sigaction}.
La funzione registra il processo chiamante per la notifica se
\param{notification} punta ad una struttura \struct{sigevent} opportunamente
L'invio del segnale di notifica avvalora alcuni campi di informazione
restituiti al gestore attraverso la struttura \struct{siginfo\_t} (definita in
-\figref{fig:sig_siginfo_t}). In particolare \var{si\_pid} viene impostato al
+fig.~\ref{fig:sig_siginfo_t}). In particolare \var{si\_pid} viene impostato al
valore del \acr{pid} del processo che ha emesso il segnale, \var{si\_uid}
all'userid effettivo, \var{si\_code} a \const{SI\_MESGQ}, e \var{si\_errno} a
0. Questo ci dice che, se si effettua la ricezione dei messaggi usando
esclusivamente il meccanismo di notifica, è possibile ottenere le informazioni
sul processo che ha inserito un messaggio usando un gestore per il segnale in
forma estesa\footnote{di nuovo si faccia riferimento a quanto detto al
- proposito in \secref{sec:sig_sigaction} e \secref{sec:sig_real_time}.}
+ proposito in sez.~\ref{sec:sig_sigaction} e sez.~\ref{sec:sig_real_time}.}
sincronizzazione fra processi diversi.} Esiste però anche una libreria
realizzata da Konstantin Knizhnik, che reimplementa l'interfaccia POSIX usando
i semafori di SysV IPC, e che non vale comunque la pena di usare visto che i
-problemi sottolineati in \secref{sec:ipc_sysv_sem} rimangono, anche se
+problemi sottolineati in sez.~\ref{sec:ipc_sysv_sem} rimangono, anche se
mascherati.
In realtà a partire dal kernel 2.5.7 è stato introdotto un meccanismo di
utilizzabile anche per la memoria condivisa; esso infatti non ha dimensione
fissa, ed usa direttamente la cache interna del kernel (che viene usata
anche per la shared memory in stile SysV). In più i suoi contenuti, essendo
- trattati direttamente dalla memoria virtuale\index{memoria virtuale} possono
+ trattati direttamente dalla memoria virtuale\index{memoria~virtuale} possono
essere salvati sullo swap automaticamente.} che viene attivato abilitando
l'opzione \texttt{CONFIG\_TMPFS} in fase di compilazione del kernel.
\end{prototype}
La funzione apre un segmento di memoria condivisa identificato dal nome
-\param{name}. Come già spiegato in \secref{sec:ipc_posix_generic} questo nome
+\param{name}. Come già spiegato in sez.~\ref{sec:ipc_posix_generic} questo nome
può essere specificato in forma standard solo facendolo iniziare per \file{/}
e senza ulteriori \file{/}, Linux supporta comunque nomi generici, che
verranno intepretati prendendo come radice \file{/dev/shm}.\footnote{occorre
possono essere specificati per \param{oflag}, che deve essere specificato come
maschera binaria comprendente almeno uno dei due valori \const{O\_RDONLY} e
\const{O\_RDWR}; i valori possibili per i vari bit sono quelli visti in
-\tabref{tab:file_open_flags} dei quali però \func{shm\_open} riconosce solo i
-seguenti:
+tab.~\ref{tab:file_open_flags} dei quali però \func{shm\_open} riconosce solo
+i seguenti:
\begin{basedescript}{\desclabelwidth{2.0cm}\desclabelstyle{\nextlinelabel}}
\item[\const{O\_RDONLY}] Apre il file descriptor associato al segmento di
memoria condivisa per l'accesso in sola lettura.
segmento di memoria condiviso con le stesse modalità di
\func{open}\footnote{in realtà, come accennato, \func{shm\_open} è un semplice
wrapper per \func{open}, usare direttamente quest'ultima avrebbe lo stesso
- effetto.} viste in \secref{sec:file_open}; in particolare viene impostato
+ effetto.} viste in sez.~\ref{sec:file_open}; in particolare viene impostato
il flag \const{FD\_CLOEXEC}. Chiamate effettuate da diversi processi usando
lo stesso nome, restituiranno file descriptor associati allo stesso segmento
(così come, nel caso di file di dati, essi sono associati allo stesso inode).
\const{O\_CREAT}; in tal caso il segmento avrà (così come i nuovi file)
lunghezza nulla. Dato che un segmento di lunghezza nulla è di scarsa utilità,
per impostarne la dimensione si deve usare \func{ftruncate} (vedi
-\secref{sec:file_file_size}), prima di mapparlo in memoria con \func{mmap}. Si
-tenga presente che una volta chiamata \func{mmap} si può chiudere il file
+sez.~\ref{sec:file_file_size}), prima di mapparlo in memoria con \func{mmap}.
+Si tenga presente che una volta chiamata \func{mmap} si può chiudere il file
descriptor (con \func{close}), senza che la mappatura ne risenta.
Come esempio per l'uso di queste funzioni vediamo come è possibile riscrivere
una interfaccia semplificata analoga a quella vista in
-\secref{fig:ipc_sysv_shm_func} per la memoria condivisa in stile SysV. Il
-codice, riportato in \figref{fig:ipc_posix_shmmem}, è sempre contenuto nel
+fig.~\ref{fig:ipc_sysv_shm_func} per la memoria condivisa in stile SysV. Il
+codice, riportato in fig.~\ref{fig:ipc_posix_shmmem}, è sempre contenuto nel
file \file{SharedMem.c} dei sorgenti allegati.
La prima funzione (\texttt{\small 1--24}) è \func{CreateShm} che, dato un nome