+Benché le pipe e le fifo siano ancora ampiamente usate, esse scontano il
+limite fondamentale che il meccanismo di comunicazione che forniscono è
+rigidamente sequenziale: una situazione in cui un processo scrive qualcosa che
+molti altri devono poter leggere non può essere implementata con una pipe.
+
+Per questo nello sviluppo di System V vennero introdotti una serie di nuovi
+oggetti per la comunicazione fra processi ed una nuova interfaccia di
+programmazione, che fossero in grado di garantire una maggiore flessibilità.
+In questa sezione esamineremo come Linux supporta quello che viene ormai
+chiamato il \textsl{Sistema di comunicazione inter-processo} di System V, o
+\textit{System V IPC (Inter-Process Comunication)}.
+
+
+
+\subsection{Considerazioni generali}
+\label{sec:ipc_sysv_generic}
+
+La principale caratteristica del sistema di IPC di System V è quella di essere
+basato su oggetti permanenti che risiedono nel kernel. Questi, a differenza di
+quanto avviene per i file descriptor, non mantengono un contatore dei
+riferimenti, e non vengono cancellati dal sistema una volta che non sono più
+in uso.
+
+Questo comporta due problemi: il primo è che, al contrario di quanto avviene
+per pipe e fifo, la memoria allocata per questi oggetti non viene rilasciata
+automaticamente quando nessuno li vuole più utilizzare, ed essi devono essere
+cancellati esplicitamente, se non si vuole che restino attivi fino al riavvio
+del sistema. Il secondo è che, dato che non c'è un contatore di riferimenti,
+essi possono essere cancellati anche se ci sono dei processi che li stanno
+utilizzando, con tutte le conseguenze (negative) del caso.
+
+Gli oggetti usati nel System V IPC vengono creati direttamente dal kernel, e
+sono accessibili solo specificando il relativo \textsl{identificatore}. Questo
+è un numero progressivo (un po' come il \acr{pid} dei processi) che il kernel
+assegna a ciascuno di essi quanto vengono creati (sul prodedimento di
+assegnazione torneremo in \secref{sec:ipc_sysv_id_use}). L'identificatore
+viene restituito dalle funzioni che creano l'oggetto, ed è quindi locale al
+processo che le ha eseguite. Dato che l'identificatore viene assegnato
+dinamicamente dal kernel non è possibile prevedere quale sarà, ne utilizzare
+un qualche valore statico, si pone perciò il problema di come processi diversi
+possono accedere allo stesso oggetto.
+
+Per risolvere il problema il kernel associa a ciascun oggetto una struttura
+\var{ipc\_perm}; questa contiene una \textsl{chiave}, identificata da una
+variabile del tipo primitivo \type{key\_t}, che viene specificata in fase di
+creazione e tramite la quale è possibile ricavare l'identificatore. La
+struttura, la cui definizione è riportata in \figref{fig:ipc_ipc_perm},
+contiene anche le varie proprietà associate all'oggetto.
+
+\begin{figure}[!htb]
+ \footnotesize \centering
+ \begin{minipage}[c]{15cm}
+ \begin{lstlisting}[labelstep=0]{}%,frame=,indent=1cm ]{}
+struct ipc_perm
+{
+ key_t key; /* Key. */
+ uid_t uid; /* Owner's user ID. */
+ gid_t gid; /* Owner's group ID. */
+ uid_t cuid; /* Creator's user ID. */
+ gid_t cgid; /* Creator's group ID. */
+ unsigned short int mode; /* Read/write permission. */
+ unsigned short int seq; /* Sequence number. */
+};
+ \end{lstlisting}
+ \end{minipage}
+ \normalsize
+ \caption{La struttura \var{ipc\_perm}, come definita in \file{sys/ipc.h}.}
+ \label{fig:ipc_ipc_perm}
+\end{figure}
+
+Usando la stessa chiave due processi diversi possono ricavare l'identificatore
+associato ad un oggetto ed accedervi. Il problema che sorge a questo punto è
+come devono fare per accordarsi sull'uso di una stessa chiave. Se i processi
+sono \textsl{parenti} la soluzione è relativamente semplice, in tal caso
+infatti si può usare il valore speciale \texttt{IPC\_PRIVATE} per creare un
+nuovo oggetto nel processo padre, l'idenficatore così ottenuto sarà
+disponibile in tutti i figli, e potrà essere passato come parametro attraverso
+una \func{exec}.
+
+Però quando i processi non sono \textsl{parenti} (come capita tutte le volte
+che si ha a che fare con un sistema client-server) tutto questo non è
+possibile; si potebbe comunque salvare l'identificatore su un file noto, ma
+questo ovviamente comporta lo svantaggio di doverselo andare a rileggere. Una
+alternativa più efficace è quella che i programmi usino un valore comune per
+la chiave (che ad esempio può essere dichiarato in un header comune), ma c'è
+sempre il rischio che questa chiave possa essere stata già utilizzata da
+qualcun altro. Dato che non esiste una convenzione su come assegnare queste
+chiavi in maniera univoca l'interfaccia mette a disposizione una funzione,
+\func{ftok}, che permette di ottenere una chiave specificando il nome di un
+file ed un numero di versione; il suo prototipo è:
+\begin{functions}
+ \headdecl{sys/types.h}
+ \headdecl{sys/ipc.h}
+
+ \funcdecl{key\_t ftok(const char *pathname, int proj\_id)}
+
+ Restituisce una chiave per identificare un oggetto del System V IPC.
+
+ \bodydesc{La funzione restituisce la chiave in caso di successo e -1
+ altrimenti, nel qual caso \var{errno} viene settata ad uno dei possibili
+ codici di errore di \func{stat}.}
+\end{functions}
+
+La funzione determina un valore della chiave sulla base di \param{pathname},
+che deve specificare il pathname di un file effettivamente esistente e di un
+numero di progetto \param{proj\_id)}, che di norma viene specificato come
+carattere, dato che ne vengono utilizzati solo gli 8 bit meno
+significativi.\footnote{nelle libc4 e libc5, come avviene in SunOS,
+ l'argomento \param{proj\_id)} è dichiarato tipo \ctyp{char}, le \acr{glibc}
+ han modificato il prototipo, ma vengono lo stesso utilizzati gli 8 bit meno
+ significativi.}
+
+Il problema è che anche così non c'è la sicurezza che il valore della chiave
+sia univoco, infatti esso è costruito combinando il byte di \param{proj\_id)}
+con i 16 bit meno significativi dell'inode del file \param{pathname} (che
+vengono ottenuti attraverso \func{stat}, da cui derivano i possibili errori),
+e gli 8 bit meno significativi del numero del device su cui è il file. Diventa
+perciò relativamente facile ottenere delle collisioni, specie se i file sono
+su dispositivi con lo stesso \textit{minor number}, come \file{/dev/hda1} e
+\file{/dev/sda1}.
+
+In genere quello che si fa è utilizzare un file comune usato dai programmi che
+devono comunicare (ad esempio un haeder, o uno dei programmi che devono usare
+l'oggetto in questione), utilizzando il numero di progetto per ottere le
+chiavi che interessano. In ogni caso occorre sempre controllare, prima di
+creare un oggetto, che la chiave non sia già stata utilizzata. Se questo va
+bene in fase di creazione, le cose possono complicarsi per i programmi che
+devono solo accedere, in quanto, a parte gli eventuali controlli sugli altri
+attributi di \var{ipc\_perm}, non esiste una modalità semplice per essere
+sicuri della validità di una certa chiave.
+
+Questo è, insieme al fatto che gli oggetti sono permanenti e non mantengono un
+contatore di riferimenti per la cancellazione automatica, il principale
+problema del sistema di IPC di System V. Non esiste infatti una modalità
+chiara per identificare un oggetto, come sarebbe stato se lo si fosse
+associato ad in file, e tutta l'interfaccia è inutilmente complessa. Per
+questo ne è stata effettuata una revisione completa nello standard POSIX.1b,
+che tratteremo in \secref{sec:ipc_posix}.
+
+
+\subsection{Il controllo di accesso}
+\label{sec:ipc_sysv_access_control}
+
+Oltre alle chiavi, abbiamo visto che ad ogni oggetto sono associate in
+\var{ipc\_perm} ulteriori informazioni, come gli identificatori del creatore
+(nei campi \var{cuid} e \var{cgid}) e del proprietario (nei campi \var{uid} e
+\var{gid}) dello stesso, e un insieme di permessi (nel campo \var{mode}). In
+questo modo è possibile definire un controllo di accesso sugli oggetti, simile
+a quello che si ha per i file (vedi \secref{sec:file_perm_overview}).
+
+Benché il controllo di accesso relativo agli oggetti di intercomunicazione sia
+molto simile a quello dei file, restano delle importanti differenze. La prima
+è che il permesso di esecuzione non esiste (e viene ignorato), per cui si può
+parlare solo di permessi di lettura e scrittura (nel caso dei semafori poi
+quest'ultimo è più propriamente il permesso di modificarne lo stato). I valori
+di \var{mode} sono gli stessi ed hanno lo stesso significato di quelli
+riportati in \secref{tab:file_mode_flags}\footnote{se però si vogliono usare
+ le costanti simboliche ivi definite occorrerà includere il file
+ \file{sys/stat.h}, alcuni sistemi definiscono le costanti \macro{MSG\_R}
+ (\texttt{0400}) e \macro{MSG\_W} (\texttt{0200}) per indicare i permessi
+ base di lettura e scrittura per il proprietario, da utilizzare, con gli
+ opportuni shift, pure per il gruppo e gli altri, in Linux, visto la loro
+ scarsa utilità, queste costanti non sono definite.} e come per i file
+definiscono gli accessi per il proprietario, il suo gruppo e tutti gli altri.
+
+Si tenga presente che per gli oggetti di IPC han senso solo i permessi di
+lettura e scrittura, quelli di esecuzione vengono ignorati. Quando l'oggetto
+viene creato i campi \var{cuid} e \var{uid} di \var{ipc\_perm} ed i campi
+\var{cgid} e \var{gid} vengono settati rispettivamente al valore dell'userid e
+del groupid effettivo del processo che ha chiamato la funzione, ma mentre i
+campi \var{uid} e \var{gid} possono essere cambiati, \var{cuid} e \var{cgid}
+restano sempre gli stessi.
+
+Il controllo di accesso è effettuato a due livelli. Il primo è nelle funzioni
+che richiedono l'identificatore di un oggetto data la chiave, che specificano
+tutte un argomento \param{flag}. In tal caso quando viene effettuata la
+ricerca di una chiave, se \param{flag} specifica dei permessi, questi vengono
+controllati e l'identificatore viene restituito solo se essi corrispondono a
+quelli dell'oggetto. Se sono presenti dei permessi non presenti in \var{mode}
+l'accesso sarà invece negato. Questo però è di utilità indicativa, dato che è
+sempre possibile specificare un valore nullo per \param{flag}, nel qual caso
+il controllo avrà sempre successo.
+
+Il secondo livello è quello delle varie funzioni che accedono (in lettura o
+scrittura) all'oggetto. In tal caso lo schema dei controlli è simile a quello
+dei file, ed avviene secondo questa sequenza:
+\begin{itemize}
+\item se il processo ha i privilegi di amministatore l'accesso è sempre
+ consentito.
+\item se l'userid effettivo del processo corrisponde o al valore del campo
+ \var{cuid} o a quello del campo \var{uid} ed il permesso per il proprietario
+ in \var{mode} è appropriato\footnote{per appropriato si intende che è
+ settato il permesso di scrittura per le operazioni di scrittura e quello
+ di lettura per le operazioni di lettura.} l'accesso è consentito.
+\item se il groupid effettivo del processo corrisponde o al
+ valore del campo \var{cgid} o a quello del campo \var{gid} ed il permesso
+ per il gruppo in \var{mode} è appropriato l'accesso è consentito.
+\item se il permesso per gli altri è appropriato l'accesso è consentito.
+\end{itemize}
+solo se tutti i controlli elencati falliscono l'accesso è negato. Si noti che
+a differenza di quanto avviene per i permessi dei file, fallire in uno dei
+passi elencati non comporta il fallimento dell'accesso. Un'altra differenza è
+che per gli oggetti di IPC il valore di \var{umask} (si ricordi quanto esposto
+in \secref{sec:file_umask}) non ha alcun effetto.
+
+
+\subsection{Gli identificatori ed il loro utilizzo}
+\label{sec:ipc_sysv_id_use}
+
+L'unico campo di \var{ipc\_perm} del quale non abbiamo ancora parlato è
+\var{seq}, che in \figref{fig:ipc_ipc_perm} è qualificato con un criptico
+``\textit{numero di sequenza}'', ne parliamo adesso dato che esso è
+strettamente attinente alle modalità con cui il kernel assegna gli
+identificatori degli oggetti del sistema di IPC.
+
+Quando il sistema si avvia, alla creazione di ogni nuovo oggetto di IPC viene
+assegnato un numero progressivo, pari al numero di oggetti di quel tipo
+esistenti. Se il comportamente fosse sempre questo sarebbe identico a quello
+usato nell'assegnazione dei file descriptor nei processi, ed i valori degli
+identificatori tenderebbero ad essere riutilizzati spesso e restare di piccole
+dimensioni ed inferiori al numero massimo di oggetti diponibili.
+
+Questo va benissimo nel caso dei file descriptor, che sono locali ad un
+processo, ma qui il comportamento varrebbe per tutto il sistema, e per
+processi del tutto scorrelati fra loro. Così si potrebbero avere situazioni
+come quella in cui un server esce e cancella le sue code di messaggi, ed il
+relativo identificatore viene immediatamente assegnato a quelle di un altro
+server partito subito dopo, con la possibilità che i client del primo non
+facciano in tempo ad accorgersi dell'avvenuto, e finiscano con l'interagire
+con gli oggetti del secondo, con conseguenze imprevedibili.
+
+Proprio per evitare questo tipo di situazioni il sistema usa il valore di
+\var{req} per provvedere un meccanismo che porti gli identificatori ad
+assumere tutti i valori possibili, rendendo molto più lungo il periodo in cui
+un identificatore può venire riutilizzato.
+
+Il sistema dispone sempre di un numero fisso di oggetti di IPC,\footnote{fino
+ al kernel 2.2.x questi valori, definiti dalle costanti \macro{MSGMNI},
+ \macro{SEMMNI} e \macro{SHMMNI}, potevano essere cambiati (come tutti gli
+ altri limiti relativi al \textit{System V IPC}) solo con una ricompilazione
+ del kernel, andando a modificarne la definizione nei relativi haeder file.
+ A partire dal kernel 2.4.x è possibile cambiare questi valori a sistema
+ attivo scrivendo sui file \file{shmmni}, \file{msgmni} e \file{sem} di
+ \file{/proc/sys/kernel} o con l'uso di \texttt{syscntl}.} e per ciascuno di
+essi viene mantenuto in \var{seq} un numero di sequenza progressivo che viene
+incrementato di uno ogni volta che l'oggetto viene cancellato. Quando
+l'oggetto viene creato usando uno spazio che era già stato utilizzato in
+precedenza per restituire l'identificatore al numero di oggetti presenti viene
+sommato il valore di \var{seq} moltiplicato per il numero massimo di oggetti
+di quel tipo,\footnote{questo vale fino ai kernel della serie 2.2.x, dalla
+ serie 2.4.x viene usato lo stesso fattore per tutti gli oggetti, esso è dato
+ dalla costante \macro{IPCMNI}, definita in \file{include/linux/ipc.h}, che
+ indica il limite massimo per il numero di oggetti di IPC, ed il cui valore è
+ 32768.} si evita così il riutilizzo degli stessi numeri, e si fa sì che
+l'identificatore assuma tutti i valori possibili.
+
+In \figref{fig:ipc_sysv_idtest} è riportato il codice di un semplice programma
+di test che si limita a creare un oggetto (specificato a riga di comando),
+stamparne il numero di identificatore e cancellarlo per un numero specificato
+di volte.
+
+\begin{figure}[!htb]
+ \footnotesize \centering
+ \begin{minipage}[c]{15cm}
+ \begin{lstlisting}{}
+int main(int argc, char *argv[])
+{
+ ...
+ switch (type) {
+ case 'q': /* Message Queue */
+ debug("Message Queue Try\n");
+ for (i=0; i<n; i++) {
+ id = msgget(IPC_PRIVATE, IPC_CREAT|0666);
+ printf("Identifier Value %d \n", id);
+ msgctl(id, IPC_RMID, NULL);
+ }
+ break;
+ case 's': /* Semaphore */
+ debug("Semaphore\n");
+ for (i=0; i<n; i++) {
+ id = semget(IPC_PRIVATE, 1, IPC_CREAT|0666);
+ printf("Identifier Value %d \n", id);
+ semctl(id, 0, IPC_RMID);
+ }
+ break;
+ case 'm': /* Shared Memory */
+ debug("Shared Memory\n");
+ for (i=0; i<n; i++) {
+ id = shmget(IPC_PRIVATE, 1000, IPC_CREAT|0666);
+ printf("Identifier Value %d \n", id);
+ shmctl(id, IPC_RMID, NULL);
+ }
+ break;
+ default: /* should not reached */
+ return -1;
+ }
+ return 0;
+}
+ \end{lstlisting}
+ \end{minipage}
+ \normalsize
+ \caption{Sezione principale del programma di test per l'assegnazione degli
+ identificatori degli oggetti di IPC \file{IPCTestId.c}.}
+ \label{fig:ipc_sysv_idtest}
+\end{figure}
+
+La figura non riporta il codice di selezione delle opzioni, che permette di
+inizializzare i valori delle variabili \var{type} al tipo di oggetto voluto, e
+\var{n} al numero di volte che si vuole effettuare il ciclo di creazione,
+stampa, cancellazione. I valori di default sono per l'uso delle code di
+messaggi e un ciclo di 10 volte. Se si lancia il comando si otterrà qualcosa
+del tipo:
+\begin{verbatim}
+piccardi@gont sources]$ ./ipctestid
+Identifier Value 0
+Identifier Value 32768
+Identifier Value 65536
+Identifier Value 98304
+Identifier Value 131072
+Identifier Value 163840
+Identifier Value 196608
+Identifier Value 229376
+Identifier Value 262144
+Identifier Value 294912
+\end{verbatim}%$
+il che ci mostra che abbiamo un kernel della serie 2.4.x nel quale non avevamo
+ancora usato nessuna coda di messaggi. Se ripetiamo il comando otterremo
+ancora:
+\begin{verbatim}
+[piccardi@gont sources]$ ./ipctestid
+Identifier Value 327680
+Identifier Value 360448
+Identifier Value 393216
+Identifier Value 425984
+Identifier Value 458752
+Identifier Value 491520
+Identifier Value 524288
+Identifier Value 557056
+Identifier Value 589824
+Identifier Value 622592
+\end{verbatim}%$
+che ci mostra come il valore di \var{seq} sia in effetti una quantità
+mantenuta staticamente all'interno del sistema.
+