fornire una base di comprensione mirata a sottolineare le peculiarità del
sistema che sono più rilevanti per quello che riguarda la programmazione.
-Dopo un introduzione sulle caratteristiche principali di un sistema di tipo
-unix passeremo ad illustrare alcuni dei concetti basi dell'architettura di
+Dopo una introduzione sulle caratteristiche principali di un sistema di tipo
+unix passeremo ad illustrare alcuni dei concetti base dell'architettura di
GNU/Linux (che sono comunque comuni a tutti i sistemi \textit{unix-like}) ed
introdurremo alcuni degli standard principali a cui viene fatto riferimento.
-\section{Una panoramica sulla struttura}
+\section{Una panoramica}
\label{sec:intro_unix_struct}
-In questa prima sezione faremo una panoramica sulla struttura di un sistema
-\textit{unix-like} come GNU/Linux. Chi avesse già una conoscenza di questa
-materia può tranquillamente saltare questa sezione.
+In questa prima sezione faremo una breve panoramica sull'architettura del
+sistema. Chi avesse già una conoscenza di questa materia può tranquillamente
+saltare questa sezione.
Il concetto base di un sistema unix-like è quello di un nucleo del sistema (il
cosiddetto \textit{kernel}) a cui si demanda la gestione delle risorse
Fin dall'inizio uno unix si presenta come un sistema operativo
\textit{multitasking}, cioè in grado di eseguire contemporaneamente più
-programmi, e multiutente, in cui é possibile che più utenti siano connessi ad
+programmi, e multiutente, in cui è possibile che più utenti siano connessi ad
una macchina eseguendo più programmi ``in contemporanea'' (in realtà, almeno
per macchine a processore singolo, i programmi vengono eseguiti singolarmente
a rotazione).
caratteristiche dei processori moderni come la gestione hardware della memoria
e la modalità protetta. In sostanza con i processori moderni si può
disabilitare temporaneamente l'uso di certe istruzioni e l'accesso a certe
-zone di memoria fisica. Quello che succede é che il kernel é il solo
+zone di memoria fisica. Quello che succede è che il kernel è il solo
programma ad essere eseguito in modalità privilegiata, con il completo accesso
all'hardware, mentre i programmi normali vengono eseguiti in modalità protetta
(e non possono accedere direttamente alle zone di memoria riservate o alle
soltanto attraverso delle opportune chiamate al sistema che restituiranno il
controllo al kernel.
-La memoria viene sempre gestita del kernel attraverso il meccanismo della
+La memoria viene sempre gestita dal kernel attraverso il meccanismo della
\textsl{memoria virtuale}, che consente di assegnare a ciascun processo uno
spazio di indirizzi ``virtuale'' (vedi \secref{sec:proc_memory}) che il kernel
stesso, con l'ausilio della unità di gestione della memoria, si incaricherà di
\section{User space e kernel space}
\label{sec:intro_user_kernel_space}
-Uno dei concetti fondamentale su cui si basa l'architettura dei sistemi unix è
+Uno dei concetti fondamentali su cui si basa l'architettura dei sistemi unix è
quello della distinzione fra il cosiddetto \textit{user space}, che
contraddistingue l'ambiente in cui vengono eseguiti i programmi, e il
-\textit{kernel space} che é l'ambiente in cui viene eseguito il kernel. Ogni
+\textit{kernel space}, che è l'ambiente in cui viene eseguito il kernel. Ogni
programma vede se stesso come se avesse la piena disponibilità della CPU e
della memoria ed è, salvo i meccanismi di comunicazione previsti
dall'architettura, completamente ignaro del fatto che altri programmi possono
Per capire meglio la distinzione fra kernel space e user space si può prendere
in esame la procedura di avvio di un sistema unix; all'avvio il BIOS (o in
generale il software di avvio posto nelle EPROM) eseguirà la procedura di
-avvio del sistema (il cosiddetto \textit{boot}) incaricandosi di caricare il
+avvio del sistema (il cosiddetto \textit{boot}), incaricandosi di caricare il
kernel in memoria e di farne partire l'esecuzione; quest'ultimo, dopo aver
-inizializzato le periferiche farà partire il primo processo, \cmd{init} che è
-quello che a sua volta farà partire tutti i processi successivi,fra i quali
-c'è pure quello che si occupa di dialogare con la tastiera e lo schermo della
-console, e quello che mette a disposizione dell'utente che si vuole collegare
-un terminale e la stessa \textit{shell} da cui inviare i comandi.
+inizializzato le periferiche, farà partire il primo processo, \cmd{init}, che
+è quello che a sua volta farà partire tutti i processi successivi. Fra questi
+ci sarà pure quello che si occupa di dialogare con la tastiera e lo schermo
+della console, e quello che mette a disposizione dell'utente che si vuole
+collegare, un terminale e la \textit{shell} da cui inviare i comandi.
E' da rimarcare come tutto ciò, che usualmente viene visto come parte del
sistema, non abbia in realtà niente a che fare con il kernel, ma sia
effettuato da opportuni programmi che vengono eseguiti, allo stesso modo di un
qualunque programma di scrittura o di disegno, in user space.
-Questo significa ad esempio che il sistema di per sé non dispone di primitive
-per tutta una serie di operazioni (come la copia di un file) che altri sistemi
-(come Windows) hanno invece al loro interno. Pertanto buona parte delle
-operazioni di normale amministrazione di un sistema, come quella in esempio,
-sono implementate come normali programmi.
+Questo significa, ad esempio, che il sistema di per sé non dispone di
+primitive per tutta una serie di operazioni (come la copia di un file) che
+altri sistemi (come Windows) hanno invece al loro interno. Pertanto buona
+parte delle operazioni di normale amministrazione di un sistema, come quella
+in esempio, sono implementate come normali programmi.
%Una delle caratteristiche base di unix \`e perci\`o che \`e possibile
%realizzare un sistema di permessi e controlli che evitano che i programmi
%eseguano accessi non autorizzati.
-Per questo motivo è più corretto parlare di sistema GNU/Linux, in quanto da
-solo il kernel è assolutamente inutile, quello che costruisce un sistema
+Per questo motivo è più corretto parlare di un sistema GNU/Linux, in quanto da
+solo il kernel è assolutamente inutile; quello che costruisce un sistema
operativo utilizzabile è la presenza di tutta una serie di librerie e
programmi di utilità che permettono di eseguire le normali operazioni che ci
si aspetta da un sistema operativo.
Come accennato le interfacce con cui i programmi possono accedere all'hardware
vanno sotto il nome di chiamate al sistema (le cosiddette \textit{system
call}), si tratta di un insieme di funzioni, che un programma può chiamare,
-per le quali viene generata una interruzione processo e il controllo è passato
+per le quali viene generata una interruzione processo ed il controllo passa
dal programma al kernel. Sarà poi quest'ultimo che (oltre a compiere una serie
-di operazioni interne come la gestione del multitasking e il l'allocazione
-della memoria) eseguirà la funzione richiesta in kernel space restituendo i
+di operazioni interne come la gestione del multitasking e l'allocazione della
+memoria) eseguirà la funzione richiesta in \textit{kernel space} restituendo i
risultati al chiamante.
Ogni versione unix ha storicamente sempre avuto un certo numero di queste
chiamate, che sono riportate nella seconda sezione del \textsl{Manuale della
- programmazione di unix} (quella che si accede con il comando \cmd{man 2
- nome}) e GNU/Linux non fa eccezione. Queste sono poi state codificate da vari
-standard, che esamineremo brevemente in \secref{sec:intro_standard}.
+ programmazione di unix} (quella cui si accede con il comando \cmd{man 2
+ nome}) e GNU/Linux non fa eccezione. Queste sono poi state codificate da
+vari standard, che esamineremo brevemente in \secref{sec:intro_standard}.
Normalmente ciascuna di queste chiamate al sistema viene rimappata in
opportune funzioni con lo stesso nome definite dentro la Libreria Standard del
-C, che oltre alle interfacce alle system call contiene anche tutta una serie
-di ulteriori funzioni usate comunemente nella programmazione.
+C, che, oltre alle interfacce alle system call, contiene anche tutta una serie
+di ulteriori funzioni, comunemente usate nella programmazione.
Questo è importante da capire perché programmare in Linux significa anzitutto
-essere in grado di usare la Libreria Standard del C, in quanto né il kernel né
-il linguaggio C implementano direttamente operazioni comuni come la
+essere in grado di usare la Libreria Standard del C, in quanto né il kernel,
+né il linguaggio C, implementano direttamente operazioni comuni come la
allocazione dinamica della memoria, l'input/output bufferizzato o la
-manipolazione delle stringhe presenti in qualunque programma.
+manipolazione delle stringhe, presenti in qualunque programma.
Anche per questo in Linux è in effetti GNU/Linux, in quanto una parte
essenziale del sistema (senza la quale niente può funzionare) è la
realizzazione fatta dalla Free Software Foundation della suddetta libreria (la
-GNU Standard C Library, in breve \textit{glibc}), in cui sono state
+GNU Standard C Library, detta in breve \textit{glibc}), in cui sono state
implementate tutte le funzioni essenziali definite negli standard POSIX e ANSI
C, che vengono utilizzate da qualunque programma.
Le funzioni di questa libreria sono quelle riportate dalla terza sezione del
-Manuale di Programmazione di Unix (cioè accessibili con il comando \cmd{man 2
- nome}), e sono costruite sulla base delle chiamate al sistema del kernel; è
+Manuale di Programmazione di Unix (cioè accessibili con il comando \cmd{man 3
+ nome}) e sono costruite sulla base delle chiamate al sistema del kernel; è
importante avere presente questa distinzione, fondamentale dal punto di vista
-dell'implementazione, anche se poi nella realizzazione di normali programmi
+dell'implementazione, anche se poi, nella realizzazione di normali programmi,
non si hanno differenze pratiche fra l'uso di una funzione di libreria e
quello di una chiamata al sistema.
Linux, come gli altri unix, nasce fin dall'inizio come sistema multiutente,
cioè in grado di fare lavorare più persone in contemporanea. Per questo
-esistono una serie di meccanismi di sicurezza che non sono previsti in sistemi
-operativi monoutente e che occorre tenere presente.
+esistono una serie di meccanismi di sicurezza, che non sono previsti in
+sistemi operativi monoutente, e che occorre tenere presente.
-Il concetto base è quello di utente (\textit{user}) del sistema, utente che ha
-dei ben definiti limiti e capacità rispetto a quello che può fare. Sono così
-previsti una serie di meccanismi per identificare i singoli utenti ed una
-serie di permessi e protezioni per impedire che utenti diversi possano
+Il concetto base è quello di utente (\textit{user}) del sistema, le cui
+capacità rispetto a quello che può fare sono sottoposte a ben precisi limiti.
+Sono così previsti una serie di meccanismi per identificare i singoli utenti
+ed una serie di permessi e protezioni per impedire che utenti diversi possano
danneggiarsi a vicenda o danneggiare il sistema.
Ad ogni utente è dato un nome \textit{username}, che è quello che viene
richiesto all'ingresso nel sistema dalla procedura di \textit{login}. Questa
-procedura si incarica di verificare la identità dell'utente (in genere
+procedura si incarica di verificare la identità dell'utente, in genere
attraverso la richiesta di una parola d'ordine, anche se sono possibili
meccanismi diversi\footnote{Ad esempio usando la libreria PAM
(\textit{Pluggable Autentication Methods}) è possibile astrarre
definendo gruppi di lavoro, di accesso a determinate risorse, etc.
L'utente e il gruppo sono identificati da due numeri (la cui corrispondenza ad
-un nome in espresso in caratteri è inserita nei due files \file{/etc/passwd}
-e \file{/etc/groups}). Questi numeri sono l'\textit{user identifier}, detto
-in breve \acr{uid} e il \textit{group identifier}, detto in breve \acr{gid}
-che sono quelli che poi vengono usati dal kernel per riconoscere l'utente.
+un nome espresso in caratteri è inserita nei due files \file{/etc/passwd} e
+\file{/etc/groups}). Questi numeri sono l'\textit{user identifier}, detto in
+breve \acr{uid}, e il \textit{group identifier}, detto in breve \acr{gid}, che
+sono quelli che poi vengono usati dal kernel per identificare l'utente.
In questo modo il sistema è in grado di tenere traccia per ogni processo
dell'utente a cui appartiene ed impedire ad altri utenti di interferire con
\secref{sec:file_access_control}) è regolato da questo meccanismo di
identificazione.
-Infine in ogni unix è presente un utente speciale privilegiato, di norma
-chiamato \textit{root}, il cui \acr{uid} è zero. Esso identifica
-l'amministratore del sistema, che deve essere in grado di fare qualunque
-operazione; per l'utente \textit{root} infatti i meccanismi di controllo
-descritti in precedenza sono disattivati\footnote{i controlli infatti vengono
- sempre eseguiti da un codice del tipo \texttt{if (uid) \{ ... \}}}.
+Infine in ogni unix è presente un utente speciale privilegiato, il cosiddetto
+\textit{superuser}, il cui username è di norma \textit{root}, ed il cui
+\acr{uid} è zero. Esso identifica l'amministratore del sistema, che deve
+essere in grado di fare qualunque operazione; per l'utente \textit{root}
+infatti i meccanismi di controllo descritti in precedenza sono
+disattivati\footnote{i controlli infatti vengono sempre eseguiti da un codice
+ del tipo \texttt{if (uid) \{ ... \}}}.
\section{Gli standard di unix e GNU/Linux}
\subsection{Prototipi e puntatori}
\label{sec:intro_function}
-\subsection{La misura del tempo in unix}
-\label{sec:intro_unix_time}
-
-Storicamente i sistemi unix-like hanno sempre mantenuto due distinti valori
-per i tempi all'interno del sistema, essi sono rispettivamente chiamati
-\textit{calendar time} e \textit{process time}, secondo le definizioni:
-\begin{itemize}
-\item \textit{calendar time}: è il numero di secondi dalla mezzanotte del
- primo gennaio 1970, in tempo universale coordinato (o UTC), data che viene
- usualmente indicata con 00:00:00 Jan, 1 1970 (UTC) e chiamata \textit{the
- Epoch}. Questo tempo viene anche chiamato anche GMT (Greenwich Mean Time)
- dato che l'UTC corrisponde all'ora locale di Greenwich. È il tempo su cui
- viene mantenuto l'orologio del calcolatore, e viene usato ad esempio per
- indicare le date di modifica dei file o quelle di avvio dei processi. Per
- memorizzare questo tempo è stato riservato il tipo primitivo \func{time\_t}.
-\item \textit{process time}: talvolta anche detto tempo di CPU. Viene misurato
- in \textit{clock tick}, corrispondenti al numero di interruzioni effettuate
- dal timer di sistema, e che per Linux avvengono ogni centesimo di
- secondo\footnote{eccetto per la piattaforma alpha dove avvengono ogni
- millesimo di secondo}. Il dato primitivo usato per questo tempo è
- \func{clock\_t}, inoltre la costante \macro{HZ} restituisce la frequenza di
- operazione del timer, e corrisponde dunque al numero di tick al secondo. Lo
- standard POSIX definisce allo stesso modo la costante \macro{CLK\_TCK});
- questo valore può comunque essere ottenuto con \func{sysconf} (vedi
- \secref{sec:intro_limits}).
-\end{itemize}
-
-In genere si usa il \textit{calendar time} per tenere le date dei file e le
-informazioni analoghe che riguardano i tempi di ``orologio'', usati ad esempio
-per i demoni che compiono lavori amministrativi ad ore definite, come
-\cmd{cron}. Di solito questo vene convertito automaticamente dal valore in UTC
-al tempo locale, utilizzando le opportune informazioni di localizzazione
-(specificate in \file{/etc/timezone}). E da tenere presente che questo tempo è
-mantenuto dal sistema e non corrisponde all'orologio hardware del calcolatore.
-
-Il \textit{process time} di solito si esprime in secondi e viene usato appunto
-per tenere conto dei tempi di esecuzione dei processi. Per ciascun processo il
-kernel tiene tre di questi tempi:
-\begin{itemize*}
-\item \textit{clock time}
-\item \textit{user time}
-\item \textit{system time}
-\end{itemize*}
-il primo è il tempo ``reale'' (viene anche chiamato \textit{wall clock time})
-dall'avvio del processo, e misura il tempo trascorso fino alla sua
-conclusione; chiaramente un tale tempo dipende anche dal carico del sistema e
-da quanti altri processi stavano girando nello stesso periodo. Il secondo
-tempo è quello che la CPU ha speso nell'esecuzione delle istruzioni del
-processo in user space. Il terzo è il tempo impiegato dal kernel per eseguire
-delle system call per conto del processo medesimo (tipo quello usato per
-eseguire una \func{write} su un file). In genere la somma di user e system
-time viene chiamato \textit{CPU time}.
\subsection{Lo standard ANSI C}
\label{sec:intro_ansiC}
+Lo standard ANSI C è stato definito nel 1989 dall'\textit{American National
+ Standard Institute}, come standard del linguaggio C ed è stato
+successivamente adottatto dalla \textit{International Standard Organisation}
+come standard internazionale con la sigla ISO/IEC 9899:1990.
+
+Scopo dello standard è quello di garantire la portabilità dei programmi C fra
+sistemi operativi diversi, ma oltre alla sintassi e alla semantica del
+linguaggio C (operatori, parole chiave, tipi di dati) lo standard prevede
+anche una libreria di funzioni che devono poter essere implementate su
+qualunque sistema operativo.
+
+Linux, come molti unix moderni, provvede la compatibilità con questo standard,
+fornendo le funzioni di libreria da esso previste; queste sono dichiarate in
+quindici header files, uno per ciascuna delle quindici aree in cui è stata
+suddivisa la libreria. In \ntab\ si sono riportati questi header, insieme a
+quelli definiti negli altri standard descritti nelle sezioni successive.
+
\subsection{Lo standard POSIX}
\label{sec:intro_posix}
-\subsection{Valori e limiti del sistema}
-\label{sec:intro_limits}
+In realtà POSIX è una famiglia di standard diversi, il nome, suggerito da
+Richard Stallman, sta per \textit{Portable Operating System Interface}, ma la
+X finale denuncia la sua stretta relazione con i sistemi unix. Esso nasce dal
+lavoro dell'IEEE (\textit{Institute of Electrical and Electronics Engeneers})
+che ne ha prodotto una prima versione, nota come IEEE 1003.1-1988, mirante a
+standardizzare l'interfaccia con il sistema operativo.
+Ma gli standard POSIX non si limitano alla standardizzazione delle funzioni di
+libreria, e in seguito sono stati prodotti anche altri standard per la shell e
+le utilities di sistema (1003.2), per le estensioni realtime e per i thread
+(1003.1d e 1003.1c) e vari altri.
+
+Benché lo standard POSIX sia basato sui sistemi unix esso definisce comunque
+una interfaccia e non fa riferimento ad una specifica implementazione (ad
+esempio esiste anche una implementazione di questo standard pure sotto Windows
+NT). Lo standard si è evoluto nel tempo ed una versione più aggiornata (quella
+che viene normalmente denominata POSIX.1) è stata rilasciata come standard
+internazionale con la sigla ISO/IEC 9945-1:1990.
-\subsection{Tipi di dati primitivi}
-\label{sec:intro_data_types}
+\subsection{Lo standard X/Open -- XPG3}
+\label{sec:intro_xopen}
+Il consorzio X/Open nacque come consorzio di venditori di sistemi unix, che
+nel 1989 produsse una voluminosa guida chiamata \textit{X/Open Portability
+ Guide, Issue 3} al cui interno definiva una ulteriore standardizzazione
+dell'interfaccia ad un sistema unix.
+Questo standard, detto anche XPG3 dal nome della suddetta guida, è sempre
+basato sullo standard POSIX.1, ma prevede una serie di funzionalità
+aggiuntive.
+
+Il consorzio
+
+
+\subsection{Tipi di dati primitivi}
+\label{sec:intro_data_types}
-\section{La gestione degli errori}
-\label{sec:intro_errors}
-
-La gestione degli errori è in genere una materia complessa. Inoltre il modello
-utilizzato dai sistema unix-like è basato sull'architettura a processi, e
-presenta una serie di problemi nel caso lo si debba usare con i thread.
-Esamineremo in questa sezione le sue caratteristiche principali.
-
-
-\subsection{La variabile \func{errno}}
-\label{sec:intro_errno}
-
-Quasi tutte le funzioni delle librerie del C sono in grado di individuare e
-riportare condizioni di errore, ed è una buona norma di programmazione
-controllare sempre che le funzioni chiamate si siano concluse correttamente.
-
-In genere le funzioni di libreria usano un valore speciale per indicare che
-c'è stato un errore. Di solito questo valore è -1 o un puntatore nullo o la
-costante \macro{EOF} (a seconda della funzione); ma questo valore segnala solo
-che c'è stato un errore, non il tipo di errore.
-
-Per riportare il tipo di errore il sistema usa la variabile globale
-\var{errno}\footnote{L'uso di una variabile globale può comportare alcuni
- problemi (ad esempio nel caso dei thread) ma lo standard ISO C consente
- anche di definire \var{errno} come un \textit{modifiable lvalue}, quindi si
- può anche usare una macro, e questo è infatti il modo usato da Linux per
- renderla locale ai singoli thread }, definita nell'header \file{errno.h}, la
-variabile è in genere definita come \var{volatile} dato che può essere
-cambiata in modo asincrono da un segnale (per una descrizione dei segnali si
-veda \secref{cha:signals}), ma dato che un manipolatore di segnale scritto
-bene salva e ripristina il valore della variabile, di questo non è necessario
-preoccuparsi nella programmazione normale.
-
-I valori che può assumere \var{errno} sono riportati in \capref{cha:errors},
-nell'header \file{errno.h} sono anche definiti i nomi simbolici per le
-costanti numeriche che identificano i vari errori; essi iniziano tutti per
-\macro{E} e si possono considerare come nomi riservati. In seguito faremo
-sempre rifermento a tali valori, quando descriveremo i possibili errori
-restituiti dalle funzioni. Il programma di esempio \cmd{errcode} stampa il
-codice relativo ad un valore numerico con l'opzione \cmd{-l}.
-
-Il valore di \var{errno} viene sempre settato a zero all'avvio di un
-programma, gran parte delle funzioni di libreria settano \var{errno} ad un
-valore diverso da zero in caso di errore. Il valore è invece indefinito in
-caso di successo, perché anche se una funzione ha successo, può chiamarne
-altre al suo interno che falliscono, modificando così \var{errno}.
-
-Pertanto un valore non nullo di \var{errno} non è sintomo di errore (potrebbe
-essere il risultato di un errore precedente) e non lo si può usare per
-determinare quando o se una chiamata a funzione è fallita. La procedura da
-seguire è sempre quella di controllare \var{errno} immediatamente dopo aver
-verificato il fallimento della funzione attraverso il suo codice di ritorno.
-
-
-\subsection{Le funzioni \func{strerror} e \func{perror}}
-\label{sec:intro_strerror}
-
-Benché gli errori siano identificati univocamente dal valore numerico di
-\var{errno} le librerie provvedono alcune funzioni e variabili utili per
-riportare in opportuni messaggi le condizioni di errore verificatesi. La
-prima funzione che si può usare per ricavare i messaggi di errore è
-\func{strerror}, il cui prototipo è:
-\begin{prototype}{string.h}{char * strerror(int errnum)}
- La funzione ritorna una stringa (statica) che descrive l'errore il cui
- codice è passato come parametro.
-\end{prototype}
-
-In generale \func{strerror} viene usata passando \var{errno} come parametro;
-nel caso si specifichi un codice sbagliato verrà restituito un messaggio di
-errore sconosciuto. La funzione utilizza una stringa statica che non deve
-essere modificata dal programma e che è utilizzabile solo fino ad una chiamata
-successiva a \func{strerror}; nel caso si usino i thread è
-provvista\footnote{questa funzione è una estensione GNU, non fa parte dello
- standard POSIX} una versione apposita:
-\begin{prototype}{string.h}
-{char * strerror\_r(int errnum, char * buff, size\_t size)}
- La funzione è analoga a \func{strerror} ma ritorna il messaggio in un buffer
- specificato da \var{buff} di lunghezza massima (compreso il terminatore)
- \var{size}.
-\end{prototype}
-che utilizza un buffer che il singolo thread deve allocare, per evitare i
-problemi connessi alla condivisione del buffer statico. Infine, per completare
-la caratterizzazione dell'errore, si può usare anche la variabile
-globale\footnote{anche questa è una estensione GNU}
-\var{program\_invocation\_short\_name} che riporta il nome del programma
-attualmente in esecuzione.
-
-Una seconda funzione usata per riportare i codici di errore in maniera
-automatizzata sullo standard error (vedi \secref{sec:file_stdfiles}) è
-\func{perror}, il cui prototipo è:
-\begin{prototype}{stdio.h}{void perror (const char *message)}
- La funzione stampa il messaggio di errore relativo al valore corrente di
- \var{errno} sullo standard error; preceduto dalla stringa \var{message}.
-\end{prototype}
-i messaggi di errore stampati sono gli stessi di \func{strerror}, (riportati
-in \capref{cha:errors}), e, usando il valore corrente di \var{errno}, si
-riferiscono all'ultimo errore avvenuto. La stringa specificata con
-\var{message} viene stampato prime del messaggio d'errore, seguita dai due
-punti e da uno spazio, il messaggio è terminato con un a capo.
-
-Il messaggio può essere riportato anche usando altre variabili globali
-dichiarate in \file{errno.h}:
-\begin{verbatim}
- const char *sys_errlist[];
- int sys_nerr;
-\end{verbatim}
-la prima contiene i puntatori alle stringhe di errore indicizzati da
-\var{errno}; la seconda esprime il valore più alto per un codice di errore,
-l'utilizzo di questa stringa è sostanzialmente equivalente a quello di
-\func{strerror}.
-
-In \nfig\ è riportata la sezione attinente del codice del programma
-\cmd{errcode}, che può essere usato per stampare i messaggi di errore e le
-costanti usate per identificare i singoli errori; il sorgente completo del
-programma è allegato nel file \file{ErrCode.c} e contiene pure la gestione
-delle opzioni e tutte le definizioni necessarie ad associare il valore
-numerico alla costante simbolica. In particolare si è riportata la sezione che
-converte la stringa passata come parametro in un intero (\texttt{\small
- 1--2}), controllando con i valori di ritorno di \func{strtol} che la
-conversione sia avvenuta correttamente (\texttt{\small 4--10}), e poi stampa,
-a seconda dell'opzione scelta il messaggio di errore (\texttt{\small 11--14})
-o la macro (\texttt{\small 15--17}) associate a quel codice.
-
-\begin{figure}[!htb]
- \footnotesize
- \begin{lstlisting}{}
- /* convert string to number */
- err = strtol(argv[optind], NULL, 10);
- /* testing error condition on conversion */
- if (err==LONG_MIN) {
- perror("Underflow on error code");
- return 1;
- } else if (err==LONG_MIN) {
- perror("Overflow on error code");
- return 1;
- }
- /* conversion is fine */
- if (message) {
- printf("Error message for %d is %s\n", err, strerror(err));
- }
- if (label) {
- printf("Error label for %d is %s\n", err, err_code[err]);
- }
- \end{lstlisting}
- \caption{Codice per la stampa del messaggio di errore standard.}
- \label{fig:intro_err_mess}
-\end{figure}