+\textit{parent process ID}). Questi due identificativi possono essere
+ottenuti usando le due funzioni \funcd{getpid} e \funcd{getppid}, i cui
+prototipi sono:
+\begin{functions}
+ \headdecl{sys/types.h}
+ \headdecl{unistd.h}
+ \funcdecl{pid\_t getpid(void)}
+
+ Restituisce il \acr{pid} del processo corrente.
+
+ \funcdecl{pid\_t getppid(void)}
+
+ Restituisce il \acr{pid} del padre del processo corrente.
+
+\bodydesc{Entrambe le funzioni non riportano condizioni di errore.}
+\end{functions}
+\noindent esempi dell'uso di queste funzioni sono riportati in
+\figref{fig:proc_fork_code}, nel programma \file{ForkTest.c}.
+
+Il fatto che il \acr{pid} sia un numero univoco per il sistema lo rende un
+candidato per generare ulteriori indicatori associati al processo di cui
+diventa possibile garantire l'unicità: ad esempio in alcune implementazioni la
+funzione \func{tmpname} (si veda \secref{sec:file_temp_file}) usa il \acr{pid}
+per generare un pathname univoco, che non potrà essere replicato da un altro
+processo che usi la stessa funzione.
+
+Tutti i processi figli dello stesso processo padre sono detti
+\textit{sibling}, questa è una delle relazioni usate nel \textsl{controllo di
+ sessione}, in cui si raggruppano i processi creati su uno stesso terminale,
+o relativi allo stesso login. Torneremo su questo argomento in dettaglio in
+\secref{cha:session}, dove esamineremo gli altri identificativi associati ad
+un processo e le varie relazioni fra processi utilizzate per definire una
+sessione.
+
+Oltre al \acr{pid} e al \acr{ppid}, (e a quelli che vedremo in
+\secref{sec:sess_proc_group}, relativi al controllo di sessione), ad ogni
+processo vengono associati degli altri identificatori che vengono usati per il
+controllo di accesso. Questi servono per determinare se un processo può
+eseguire o meno le operazioni richieste, a seconda dei privilegi e
+dell'identità di chi lo ha posto in esecuzione; l'argomento è complesso e sarà
+affrontato in dettaglio in \secref{sec:proc_perms}.
+
+
+\subsection{La funzione \func{fork}}
+\label{sec:proc_fork}
+
+La funzione \funcd{fork} è la funzione fondamentale della gestione dei
+processi: come si è detto l'unico modo di creare un nuovo processo è
+attraverso l'uso di questa funzione, essa quindi riveste un ruolo centrale
+tutte le volte che si devono scrivere programmi che usano il multitasking. Il
+prototipo della funzione è:
+\begin{functions}
+ \headdecl{sys/types.h}
+ \headdecl{unistd.h}
+ \funcdecl{pid\_t fork(void)}
+ Crea un nuovo processo.
+
+ \bodydesc{In caso di successo restituisce il \acr{pid} del figlio al padre e
+ zero al figlio; ritorna -1 al padre (senza creare il figlio) in caso di
+ errore; \var{errno} può assumere i valori:
+ \begin{errlist}
+ \item[\errcode{EAGAIN}] non ci sono risorse sufficienti per creare un altro
+ processo (per allocare la tabella delle pagine e le strutture del task) o
+ si è esaurito il numero di processi disponibili.
+ \item[\errcode{ENOMEM}] non è stato possibile allocare la memoria per le
+ strutture necessarie al kernel per creare il nuovo processo.
+ \end{errlist}}
+\end{functions}
+
+Dopo il successo dell'esecuzione di una \func{fork} sia il processo padre che
+il processo figlio continuano ad essere eseguiti normalmente a partire
+dall'istruzione successiva alla \func{fork}; il processo figlio è però una
+copia del padre, e riceve una copia dei segmenti di testo, stack e dati (vedi
+\secref{sec:proc_mem_layout}), ed esegue esattamente lo stesso codice del
+padre. Si tenga presente però che la memoria è copiata, non condivisa,
+pertanto padre e figlio vedono variabili diverse.
+
+Per quanto riguarda la gestione della memoria, in generale il segmento di
+testo, che è identico per i due processi, è condiviso e tenuto in read-only
+per il padre e per i figli. Per gli altri segmenti Linux utilizza la tecnica
+del \textit{copy on write}\index{copy on write}; questa tecnica comporta che
+una pagina di memoria viene effettivamente copiata per il nuovo processo solo
+quando ci viene effettuata sopra una scrittura (e si ha quindi una reale
+differenza fra padre e figlio). In questo modo si rende molto più efficiente
+il meccanismo della creazione di un nuovo processo, non essendo più necessaria
+la copia di tutto lo spazio degli indirizzi virtuali del padre, ma solo delle
+pagine di memoria che sono state modificate, e solo al momento della modifica
+stessa.
+
+La differenza che si ha nei due processi è che nel processo padre il valore di
+ritorno della funzione \func{fork} è il \acr{pid} del processo figlio, mentre
+nel figlio è zero; in questo modo il programma può identificare se viene
+eseguito dal padre o dal figlio. Si noti come la funzione \func{fork} ritorni
+\textbf{due} volte: una nel padre e una nel figlio.
+
+La scelta di questi valori di ritorno non è casuale, un processo infatti può
+avere più figli, ed il valore di ritorno di \func{fork} è l'unico modo che gli
+permette di identificare quello appena creato; al contrario un figlio ha
+sempre un solo padre (il cui \acr{pid} può sempre essere ottenuto con
+\func{getppid}, vedi \secref{sec:proc_pid}) per cui si usa il valore nullo,
+che non è il \acr{pid} di nessun processo.
+
+\begin{figure}[!htb]
+ \footnotesize \centering
+ \begin{minipage}[c]{15cm}
+ \includecodesample{listati/ForkTest.c}
+ \end{minipage}
+ \normalsize
+ \caption{Esempio di codice per la creazione di nuovi processi.}
+ \label{fig:proc_fork_code}
+\end{figure}
+
+Normalmente la chiamata a \func{fork} può fallire solo per due ragioni, o ci
+sono già troppi processi nel sistema (il che di solito è sintomo che
+qualcos'altro non sta andando per il verso giusto) o si è ecceduto il limite
+sul numero totale di processi permessi all'utente (vedi
+\secref{sec:sys_resource_limit}, ed in particolare
+\tabref{tab:sys_rlimit_values}).
+
+L'uso di \func{fork} avviene secondo due modalità principali; la prima è
+quella in cui all'interno di un programma si creano processi figli cui viene
+affidata l'esecuzione di una certa sezione di codice, mentre il processo padre
+ne esegue un'altra. È il caso tipico dei programmi server (il modello
+\textit{client-server} è illustrato in \secref{sec:net_cliserv}) in cui il
+padre riceve ed accetta le richieste da parte dei programmi client, per
+ciascuna delle quali pone in esecuzione un figlio che è incaricato di fornire
+il servizio.
+
+La seconda modalità è quella in cui il processo vuole eseguire un altro
+programma; questo è ad esempio il caso della shell. In questo caso il processo
+crea un figlio la cui unica operazione è quella di fare una \func{exec} (di
+cui parleremo in \secref{sec:proc_exec}) subito dopo la \func{fork}.
+
+Alcuni sistemi operativi (il VMS ad esempio) combinano le operazioni di questa
+seconda modalità (una \func{fork} seguita da una \func{exec}) in un'unica
+operazione che viene chiamata \textit{spawn}. Nei sistemi unix-like è stato
+scelto di mantenere questa separazione, dato che, come per la prima modalità
+d'uso, esistono numerosi scenari in cui si può usare una \func{fork} senza
+aver bisogno di eseguire una \func{exec}. Inoltre, anche nel caso della
+seconda modalità d'uso, avere le due funzioni separate permette al figlio di
+cambiare gli attributi del processo (maschera dei segnali, redirezione
+dell'output, identificatori) prima della \func{exec}, rendendo così
+relativamente facile intervenire sulle le modalità di esecuzione del nuovo
+programma.
+
+In \figref{fig:proc_fork_code} è riportato il corpo del codice del programma
+di esempio \cmd{forktest}, che permette di illustrare molte caratteristiche
+dell'uso della funzione \func{fork}. Il programma crea un numero di figli
+specificato da linea di comando, e prende anche alcune opzioni per indicare
+degli eventuali tempi di attesa in secondi (eseguiti tramite la funzione
+\func{sleep}) per il padre ed il figlio (con \cmd{forktest -h} si ottiene la
+descrizione delle opzioni); il codice completo, compresa la parte che gestisce
+le opzioni a riga di comando, è disponibile nel file \file{ForkTest.c},
+distribuito insieme agli altri sorgenti degli esempi su
+\href{http://gapil.firenze.linux.it/gapil_source.tgz}
+{\texttt{http://gapil.firenze.linux.it/gapil\_source.tgz}}.
+
+Decifrato il numero di figli da creare, il ciclo principale del programma
+(\texttt{\small 24--40}) esegue in successione la creazione dei processi figli
+controllando il successo della chiamata a \func{fork} (\texttt{\small
+ 25--29}); ciascun figlio (\texttt{\small 31--34}) si limita a stampare il
+suo numero di successione, eventualmente attendere il numero di secondi
+specificato e scrivere un messaggio prima di uscire. Il processo padre invece
+(\texttt{\small 36--38}) stampa un messaggio di creazione, eventualmente
+attende il numero di secondi specificato, e procede nell'esecuzione del ciclo;
+alla conclusione del ciclo, prima di uscire, può essere specificato un altro
+periodo di attesa.
+
+Se eseguiamo il comando\footnote{che è preceduto dall'istruzione \code{export
+ LD\_LIBRARY\_PATH=./} per permettere l'uso delle librerie dinamiche.}
+senza specificare attese (come si può notare in (\texttt{\small 17--19}) i
+valori predefiniti specificano di non attendere), otterremo come output sul
+terminale:
+
+\footnotesize
+\begin{verbatim}
+[piccardi@selidor sources]$ export LD_LIBRARY_PATH=./; ./forktest 3
+Process 1963: forking 3 child
+Spawned 1 child, pid 1964
+Child 1 successfully executing
+Child 1, parent 1963, exiting
+Go to next child
+Spawned 2 child, pid 1965
+Child 2 successfully executing
+Child 2, parent 1963, exiting
+Go to next child
+Child 3 successfully executing
+Child 3, parent 1963, exiting
+Spawned 3 child, pid 1966
+Go to next child
+\end{verbatim} %$
+\normalsize
+
+Esaminiamo questo risultato: una prima conclusione che si può trarre è che non
+si può dire quale processo fra il padre ed il figlio venga eseguito per
+primo\footnote{a partire dal kernel 2.5.2-pre10 è stato introdotto il nuovo
+ scheduler\index{scheduler} di Ingo Molnar che esegue sempre per primo il
+ figlio; per mantenere la portabilità è opportuno non fare comunque
+ affidamento su questo comportamento.} dopo la chiamata a \func{fork};
+dall'esempio si può notare infatti come nei primi due cicli sia stato eseguito
+per primo il padre (con la stampa del \acr{pid} del nuovo processo) per poi
+passare all'esecuzione del figlio (completata con i due avvisi di esecuzione
+ed uscita), e tornare all'esecuzione del padre (con la stampa del passaggio al
+ciclo successivo), mentre la terza volta è stato prima eseguito il figlio
+(fino alla conclusione) e poi il padre.
+
+In generale l'ordine di esecuzione dipenderà, oltre che dall'algoritmo di
+scheduling usato dal kernel, dalla particolare situazione in cui si trova la
+macchina al momento della chiamata, risultando del tutto impredicibile.
+Eseguendo più volte il programma di prova e producendo un numero diverso di
+figli, si sono ottenute situazioni completamente diverse, compreso il caso in
+cui il processo padre ha eseguito più di una \func{fork} prima che uno dei
+figli venisse messo in esecuzione.
+
+Pertanto non si può fare nessuna assunzione sulla sequenza di esecuzione delle
+istruzioni del codice fra padre e figli, né sull'ordine in cui questi potranno
+essere messi in esecuzione. Se è necessaria una qualche forma di precedenza
+occorrerà provvedere ad espliciti meccanismi di sincronizzazione, pena il
+rischio di incorrere nelle cosiddette
+\textit{race condition}\index{race condition}
+(vedi \secref{sec:proc_race_cond}).
+
+Si noti inoltre che essendo i segmenti di memoria utilizzati dai singoli
+processi completamente separati, le modifiche delle variabili nei processi
+figli (come l'incremento di \var{i} in \texttt{\small 31}) sono visibili solo
+a loro (ogni processo vede solo la propria copia della memoria), e non hanno
+alcun effetto sul valore che le stesse variabili hanno nel processo padre (ed
+in eventuali altri processi figli che eseguano lo stesso codice).
+
+Un secondo aspetto molto importante nella creazione dei processi figli è
+quello dell'interazione dei vari processi con i file; per illustrarlo meglio
+proviamo a redirigere su un file l'output del nostro programma di test, quello
+che otterremo è:
+
+\footnotesize
+\begin{verbatim}
+[piccardi@selidor sources]$ ./forktest 3 > output
+[piccardi@selidor sources]$ cat output
+Process 1967: forking 3 child
+Child 1 successfully executing
+Child 1, parent 1967, exiting
+Test for forking 3 child
+Spawned 1 child, pid 1968
+Go to next child
+Child 2 successfully executing
+Child 2, parent 1967, exiting
+Test for forking 3 child
+Spawned 1 child, pid 1968
+Go to next child
+Spawned 2 child, pid 1969
+Go to next child
+Child 3 successfully executing
+Child 3, parent 1967, exiting
+Test for forking 3 child
+Spawned 1 child, pid 1968
+Go to next child
+Spawned 2 child, pid 1969
+Go to next child
+Spawned 3 child, pid 1970
+Go to next child
+\end{verbatim}
+\normalsize
+che come si vede è completamente diverso da quanto ottenevamo sul terminale.
+
+Il comportamento delle varie funzioni di interfaccia con i file è analizzato
+in gran dettaglio in \capref{cha:file_unix_interface} e in
+\secref{cha:files_std_interface}. Qui basta accennare che si sono usate le
+funzioni standard della libreria del C che prevedono l'output bufferizzato; e
+questa bufferizzazione (trattata in dettaglio in \secref{sec:file_buffering})
+varia a seconda che si tratti di un file su disco (in cui il buffer viene
+scaricato su disco solo quando necessario) o di un terminale (nel qual caso il
+buffer viene scaricato ad ogni carattere di a capo).
+
+Nel primo esempio allora avevamo che ad ogni chiamata a \func{printf} il
+buffer veniva scaricato, e le singole righe erano stampate a video subito dopo
+l'esecuzione della \func{printf}. Ma con la redirezione su file la scrittura
+non avviene più alla fine di ogni riga e l'output resta nel buffer. Dato che
+ogni figlio riceve una copia della memoria del padre, esso riceverà anche
+quanto c'è nel buffer delle funzioni di I/O, comprese le linee scritte dal
+padre fino allora. Così quando il buffer viene scritto su disco all'uscita del
+figlio, troveremo nel file anche tutto quello che il processo padre aveva
+scritto prima della sua creazione. E alla fine del file (dato che in questo
+caso il padre esce per ultimo) troveremo anche l'output completo del padre.
+
+L'esempio ci mostra un altro aspetto fondamentale dell'interazione con i file,
+valido anche per l'esempio precedente, ma meno evidente: il fatto cioè che non
+solo processi diversi possono scrivere in contemporanea sullo stesso file
+(l'argomento della condivisione dei file è trattato in dettaglio in
+\secref{sec:file_sharing}), ma anche che, a differenza di quanto avviene per
+le variabili, la posizione corrente sul file è condivisa fra il padre e tutti
+i processi figli.
+
+Quello che succede è che quando lo standard output del padre viene rediretto,
+lo stesso avviene anche per tutti i figli; la funzione \func{fork} infatti ha
+la caratteristica di duplicare (allo stesso modo in cui lo fa la funzione
+\func{dup}, trattata in \secref{sec:file_dup}) nei figli tutti i file
+descriptor aperti nel padre, il che comporta che padre e figli condividono le
+stesse voci della \textit{file table} (per la spiegazione di questi termini si
+veda \secref{sec:file_sharing}) e fra cui c'è anche la posizione corrente nel
+file.
+
+In questo modo se un processo scrive sul file aggiornerà la posizione corrente
+sulla \textit{file table}, e tutti gli altri processi, che vedono la stessa
+\textit{file table}, vedranno il nuovo valore. In questo modo si evita, in
+casi come quello appena mostrato in cui diversi processi scrivono sullo stesso
+file, che l'output successivo di un processo vada a sovrapporsi a quello dei
+precedenti: l'output potrà risultare mescolato, ma non ci saranno parti
+perdute per via di una sovrascrittura.
+
+Questo tipo di comportamento è essenziale in tutti quei casi in cui il padre
+crea un figlio e attende la sua conclusione per proseguire, ed entrambi
+scrivono sullo stesso file (un caso tipico è la shell quando lancia un
+programma, il cui output va sullo standard output).
+
+In questo modo, anche se l'output viene rediretto, il padre potrà sempre
+continuare a scrivere in coda a quanto scritto dal figlio in maniera
+automatica; se così non fosse ottenere questo comportamento sarebbe
+estremamente complesso necessitando di una qualche forma di comunicazione fra
+i due processi per far riprendere al padre la scrittura al punto giusto.
+
+In generale comunque non è buona norma far scrivere più processi sullo stesso
+file senza una qualche forma di sincronizzazione in quanto, come visto anche
+con il nostro esempio, le varie scritture risulteranno mescolate fra loro in
+una sequenza impredicibile. Per questo le modalità con cui in genere si usano
+i file dopo una \func{fork} sono sostanzialmente due:
+\begin{enumerate}
+\item Il processo padre aspetta la conclusione del figlio. In questo caso non
+ è necessaria nessuna azione riguardo ai file, in quanto la sincronizzazione
+ della posizione corrente dopo eventuali operazioni di lettura e scrittura
+ effettuate dal figlio è automatica.
+\item L'esecuzione di padre e figlio procede indipendentemente. In questo caso
+ ciascuno dei due processi deve chiudere i file che non gli servono una volta
+ che la \func{fork} è stata eseguita, per evitare ogni forma di interferenza.
+\end{enumerate}
+
+Oltre ai file aperti i processi figli ereditano dal padre una serie di altre
+proprietà; la lista dettagliata delle proprietà che padre e figlio hanno in
+comune dopo l'esecuzione di una \func{fork} è la seguente:
+\begin{itemize*}
+\item i file aperti e gli eventuali flag di
+ \textit{close-on-exec}\index{close-on-exec} impostati (vedi
+ \secref{sec:proc_exec} e \secref{sec:file_fcntl}).
+\item gli identificatori per il controllo di accesso: l'\textsl{user-ID
+ reale}, il \textsl{group-ID reale}, l'\textsl{user-ID effettivo}, il
+ \textsl{group-ID effettivo} ed i \textit{group-ID supplementari} (vedi
+ \secref{sec:proc_access_id}).
+\item gli identificatori per il controllo di sessione: il \textit{process
+ group-ID} e il \textit{session id} ed il terminale di controllo (vedi
+ \secref{sec:sess_proc_group}).
+\item la directory di lavoro e la directory radice (vedi
+ \secref{sec:file_work_dir} e \secref{sec:file_chroot}).
+\item la maschera dei permessi di creazione (vedi \secref{sec:file_umask}).
+\item la maschera dei segnali bloccati (vedi \secref{sec:sig_sigmask}) e le
+ azioni installate (vedi \secref{sec:sig_gen_beha}).
+\item i segmenti di memoria condivisa agganciati al processo (vedi
+ \secref{sec:ipc_sysv_shm}).
+\item i limiti sulle risorse (vedi \secref{sec:sys_resource_limit}).
+\item le variabili di ambiente (vedi \secref{sec:proc_environ}).
+\end{itemize*}
+le differenze fra padre e figlio dopo la \func{fork} invece sono:
+\begin{itemize*}
+\item il valore di ritorno di \func{fork}.
+\item il \acr{pid} (\textit{process id}).
+\item il \acr{ppid} (\textit{parent process id}), quello del figlio viene
+ impostato al \acr{pid} del padre.
+\item i valori dei tempi di esecuzione della struttura \struct{tms} (vedi
+ \secref{sec:sys_cpu_times}) che nel figlio sono posti a zero.
+\item i \textit{lock} sui file (vedi \secref{sec:file_locking}), che non
+ vengono ereditati dal figlio.
+\item gli allarmi ed i segnali pendenti (vedi \secref{sec:sig_gen_beha}), che
+ per il figlio vengono cancellati.
+\end{itemize*}
+
+
+\subsection{La funzione \func{vfork}}
+\label{sec:proc_vfork}
+
+La funzione \func{vfork} è esattamente identica a \func{fork} ed ha la stessa
+semantica e gli stessi errori; la sola differenza è che non viene creata la
+tabella delle pagine né la struttura dei task per il nuovo processo. Il
+processo padre è posto in attesa fintanto che il figlio non ha eseguito una
+\func{execve} o non è uscito con una \func{\_exit}. Il figlio condivide la
+memoria del padre (e modifiche possono avere effetti imprevedibili) e non deve
+ritornare o uscire con \func{exit} ma usare esplicitamente \func{\_exit}.
+
+Questa funzione è un rimasuglio dei vecchi tempi in cui eseguire una
+\func{fork} comportava anche la copia completa del segmento dati del processo
+padre, che costituiva un inutile appesantimento in tutti quei casi in cui la
+\func{fork} veniva fatta solo per poi eseguire una \func{exec}. La funzione
+venne introdotta in BSD per migliorare le prestazioni.
+
+Dato che Linux supporta il \textit{copy on write}\index{copy on write} la
+perdita di prestazioni è assolutamente trascurabile, e l'uso di questa
+funzione (che resta un caso speciale della system call \func{\_\_clone}), è
+deprecato; per questo eviteremo di trattarla ulteriormente.
+
+
+\subsection{La conclusione di un processo.}
+\label{sec:proc_termination}
+
+In \secref{sec:proc_conclusion} abbiamo già affrontato le modalità con cui
+chiudere un programma, ma dall'interno del programma stesso; avendo a che fare
+con un sistema multitasking resta da affrontare l'argomento dal punto di vista
+di come il sistema gestisce la conclusione dei processi.
+
+Abbiamo visto in \secref{sec:proc_conclusion} le tre modalità con cui un
+programma viene terminato in maniera normale: la chiamata di \func{exit} (che
+esegue le funzioni registrate per l'uscita e chiude gli stream), il ritorno
+dalla funzione \func{main} (equivalente alla chiamata di \func{exit}), e la
+chiamata ad \func{\_exit} (che passa direttamente alle operazioni di
+terminazione del processo da parte del kernel).
+
+Ma abbiamo accennato che oltre alla conclusione normale esistono anche delle
+modalità di conclusione anomala; queste sono in sostanza due: il programma può
+chiamare la funzione \func{abort} per invocare una chiusura anomala, o essere
+terminato da un segnale. In realtà anche la prima modalità si riconduce alla
+seconda, dato che \func{abort} si limita a generare il segnale
+\const{SIGABRT}.
+
+Qualunque sia la modalità di conclusione di un processo, il kernel esegue
+comunque una serie di operazioni: chiude tutti i file aperti, rilascia la
+memoria che stava usando, e così via; l'elenco completo delle operazioni
+eseguite alla chiusura di un processo è il seguente:
+\begin{itemize*}
+\item tutti i file descriptor sono chiusi.
+\item viene memorizzato lo stato di terminazione del processo.
+\item ad ogni processo figlio viene assegnato un nuovo padre (in genere
+ \cmd{init}).
+\item viene inviato il segnale \const{SIGCHLD} al processo padre (vedi
+ \secref{sec:sig_sigchld}).
+\item se il processo è un leader di sessione ed il suo terminale di controllo
+ è quello della sessione viene mandato un segnale di \const{SIGHUP} a tutti i
+ processi del gruppo di foreground e il terminale di controllo viene
+ disconnesso (vedi \secref{sec:sess_ctrl_term}).
+\item se la conclusione di un processo rende orfano un \textit{process
+ group} ciascun membro del gruppo viene bloccato, e poi gli vengono
+ inviati in successione i segnali \const{SIGHUP} e \const{SIGCONT}
+ (vedi ancora \secref{sec:sess_ctrl_term}).
+\end{itemize*}
+
+Oltre queste operazioni è però necessario poter disporre di un meccanismo
+ulteriore che consenta di sapere come la terminazione è avvenuta: dato che in
+un sistema unix-like tutto viene gestito attraverso i processi, il meccanismo
+scelto consiste nel riportare lo stato di terminazione (il cosiddetto
+\textit{termination status}) al processo padre.
+
+Nel caso di conclusione normale, abbiamo visto in \secref{sec:proc_conclusion}
+che lo stato di uscita del processo viene caratterizzato tramite il valore del
+cosiddetto \textit{exit status}, cioè il valore passato alle funzioni
+\func{exit} o \func{\_exit} (o dal valore di ritorno per \func{main}). Ma se
+il processo viene concluso in maniera anomala il programma non può specificare
+nessun \textit{exit status}, ed è il kernel che deve generare autonomamente il
+\textit{termination status} per indicare le ragioni della conclusione anomala.
+
+Si noti la distinzione fra \textit{exit status} e \textit{termination status}:
+quello che contraddistingue lo stato di chiusura del processo e viene
+riportato attraverso le funzioni \func{wait} o \func{waitpid} (vedi
+\secref{sec:proc_wait}) è sempre quest'ultimo; in caso di conclusione normale
+il kernel usa il primo (nel codice eseguito da \func{\_exit}) per produrre il
+secondo.
+
+La scelta di riportare al padre lo stato di terminazione dei figli, pur
+essendo l'unica possibile, comporta comunque alcune complicazioni: infatti se
+alla sua creazione è scontato che ogni nuovo processo ha un padre, non è detto
+che sia così alla sua conclusione, dato che il padre potrebbe essere già
+terminato (si potrebbe avere cioè quello che si chiama un processo
+\textsl{orfano}).
+
+Questa complicazione viene superata facendo in modo che il processo orfano
+venga \textsl{adottato} da \cmd{init}. Come già accennato quando un processo
+termina, il kernel controlla se è il padre di altri processi in esecuzione: in
+caso positivo allora il \acr{ppid} di tutti questi processi viene sostituito
+con il \acr{pid} di \cmd{init} (e cioè con 1); in questo modo ogni processo
+avrà sempre un padre (nel caso possiamo parlare di un padre \textsl{adottivo})
+cui riportare il suo stato di terminazione. Come verifica di questo
+comportamento possiamo eseguire il nostro programma \cmd{forktest} imponendo a
+ciascun processo figlio due secondi di attesa prima di uscire, il risultato è:
+
+\footnotesize
+\begin{verbatim}
+[piccardi@selidor sources]$ ./forktest -c2 3
+Process 1972: forking 3 child
+Spawned 1 child, pid 1973
+Child 1 successfully executing
+Go to next child
+Spawned 2 child, pid 1974
+Child 2 successfully executing
+Go to next child
+Child 3 successfully executing
+Spawned 3 child, pid 1975
+Go to next child
+[piccardi@selidor sources]$ Child 3, parent 1, exiting
+Child 2, parent 1, exiting
+Child 1, parent 1, exiting
+\end{verbatim}
+\normalsize
+come si può notare in questo caso il processo padre si conclude prima dei
+figli, tornando alla shell, che stampa il prompt sul terminale: circa due
+secondi dopo viene stampato a video anche l'output dei tre figli che
+terminano, e come si può notare in questo caso, al contrario di quanto visto
+in precedenza, essi riportano 1 come \acr{ppid}.
+
+Altrettanto rilevante è il caso in cui il figlio termina prima del padre,
+perché non è detto che il padre possa ricevere immediatamente lo stato di
+terminazione, quindi il kernel deve comunque conservare una certa quantità di
+informazioni riguardo ai processi che sta terminando.
+
+Questo viene fatto mantenendo attiva la voce nella tabella dei processi, e
+memorizzando alcuni dati essenziali, come il \acr{pid}, i tempi di CPU usati
+dal processo (vedi \secref{sec:sys_unix_time}) e lo stato di terminazione,
+mentre la memoria in uso ed i file aperti vengono rilasciati immediatamente. I
+processi che sono terminati, ma il cui stato di terminazione non è stato
+ancora ricevuto dal padre sono chiamati \textit{zombie}\index{zombie}, essi
+restano presenti nella tabella dei processi ed in genere possono essere
+identificati dall'output di \cmd{ps} per la presenza di una \texttt{Z} nella
+colonna che ne indica lo stato (vedi \tabref{tab:proc_proc_states}). Quando il
+padre effettuerà la lettura dello stato di uscita anche questa informazione,
+non più necessaria, verrà scartata e la terminazione potrà dirsi completamente
+conclusa.
+
+Possiamo utilizzare il nostro programma di prova per analizzare anche questa
+condizione: lanciamo il comando \cmd{forktest} in background, indicando al
+processo padre di aspettare 10 secondi prima di uscire; in questo caso, usando
+\cmd{ps} sullo stesso terminale (prima dello scadere dei 10 secondi)
+otterremo:
+
+\footnotesize
+\begin{verbatim}
+[piccardi@selidor sources]$ ps T
+ PID TTY STAT TIME COMMAND
+ 419 pts/0 S 0:00 bash
+ 568 pts/0 S 0:00 ./forktest -e10 3
+ 569 pts/0 Z 0:00 [forktest <defunct>]
+ 570 pts/0 Z 0:00 [forktest <defunct>]
+ 571 pts/0 Z 0:00 [forktest <defunct>]
+ 572 pts/0 R 0:00 ps T
+\end{verbatim} %$
+\normalsize e come si vede, dato che non si è fatto nulla per riceverne lo
+stato di terminazione, i tre processi figli sono ancora presenti pur essendosi
+conclusi, con lo stato di zombie\index{zombie} e l'indicazione che sono stati
+terminati.
+
+La possibilità di avere degli zombie\index{zombie} deve essere tenuta sempre
+presente quando si scrive un programma che deve essere mantenuto in esecuzione
+a lungo e creare molti figli. In questo caso si deve sempre avere cura di far
+leggere l'eventuale stato di uscita di tutti i figli (in genere questo si fa
+attraverso un apposito \textit{signal handler}, che chiama la funzione
+\func{wait}, vedi \secref{sec:sig_sigchld} e \secref{sec:proc_wait}). Questa
+operazione è necessaria perché anche se gli \textit{zombie}\index{zombie} non
+consumano risorse di memoria o processore, occupano comunque una voce nella
+tabella dei processi, che a lungo andare potrebbe esaurirsi.
+
+Si noti che quando un processo adottato da \cmd{init} termina, esso non
+diviene uno \textit{zombie}\index{zombie}; questo perché una delle funzioni di
+\cmd{init} è appunto quella di chiamare la funzione \func{wait} per i processi
+cui fa da padre, completandone la terminazione. Questo è quanto avviene anche
+quando, come nel caso del precedente esempio con \cmd{forktest}, il padre
+termina con dei figli in stato di zombie\index{zombie}: alla sua terminazione
+infatti tutti i suoi figli (compresi gli zombie\index{zombie}) verranno
+adottati da \cmd{init}, il quale provvederà a completarne la terminazione.
+
+Si tenga presente infine che siccome gli zombie\index{zombie} sono processi
+già usciti, non c'è modo di eliminarli con il comando \cmd{kill}; l'unica
+possibilità di cancellarli dalla tabella dei processi è quella di terminare il
+processo che li ha generati, in modo che \cmd{init} possa adottarli e
+provvedere a concluderne la terminazione.
+
+
+\subsection{Le funzioni \func{wait} e \func{waitpid}}
+\label{sec:proc_wait}
+
+Uno degli usi più comuni delle capacità multitasking di un sistema unix-like
+consiste nella creazione di programmi di tipo server, in cui un processo
+principale attende le richieste che vengono poi soddisfatte da una serie di
+processi figli. Si è già sottolineato al paragrafo precedente come in questo
+caso diventi necessario gestire esplicitamente la conclusione dei figli onde
+evitare di riempire di \textit{zombie}\index{zombie} la tabella dei processi;
+le funzioni deputate a questo compito sono sostanzialmente due, \funcd{wait} e
+\func{waitpid}. La prima, il cui prototipo è: