+In generale si possono avere più puntatori alla lista degli argomenti,
+ciascuno andrà inizializzato con \macro{va\_start} e letto con \macro{va\_arg}
+e ciascuno potrà scandire la lista degli argomenti per conto suo.
+
+Dopo l'uso di \macro{va\_end} la variabile \param{ap} diventa indefinita e
+successive chiamate a \macro{va\_arg} non funzioneranno. Si avranno risultati
+indefiniti anche chiamando \macro{va\_arg} specificando un tipo che non
+corrisponde a quello dell'argomento.
+
+Un altro limite delle macro è che i passi 1) e 3) devono essere eseguiti nel
+corpo principale della funzione, il passo 2) invece può essere eseguito anche
+in una subroutine passandole il puntatore alla lista di argomenti; in questo
+caso però si richiede che al ritorno della funzione il puntatore non venga più
+usato (lo standard richiederebbe la chiamata esplicita di \macro{va\_end}),
+dato che il valore di \param{ap} risulterebbe indefinito.
+
+Esistono dei casi in cui è necessario eseguire più volte la scansione degli
+argomenti e poter memorizzare una posizione durante la stessa. La cosa più
+naturale in questo caso sembrerebbe quella di copiarsi il puntatore alla lista
+degli argomenti con una semplice assegnazione. Dato che una delle
+realizzazioni più comuni di \macro{va\_list} è quella di un puntatore nello
+\itindex{stack} \textit{stack} all'indirizzo dove sono stati salvati gli
+argomenti, è assolutamente normale pensare di poter effettuare questa
+operazione.
+
+In generale però possono esistere anche realizzazioni diverse, per questo
+motivo \macro{va\_list} è definito come \index{tipo!opaco} \textsl{tipo opaco}
+e non può essere assegnato direttamente ad un'altra variabile dello stesso
+tipo. Per risolvere questo problema lo standard ISO C99\footnote{alcuni
+ sistemi che non hanno questa macro provvedono al suo posto
+ \macro{\_\_va\_copy} che era il nome proposto in una bozza dello standard.}
+ha previsto una macro ulteriore che permette di eseguire la copia di un
+puntatore alla lista degli argomenti:
+\begin{prototype}{stdarg.h}{void va\_copy(va\_list dest, va\_list src)}
+ Copia l'attuale valore \param{src} del puntatore alla lista degli argomenti
+ su \param{dest}.
+\end{prototype}
+\noindent anche in questo caso è buona norma chiudere ogni esecuzione di una
+\macro{va\_copy} con una corrispondente \macro{va\_end} sul nuovo puntatore
+alla lista degli argomenti.
+
+La chiamata di una funzione con un numero variabile di argomenti, posto che la
+si sia dichiarata e definita come tale, non prevede nulla di particolare;
+l'invocazione è identica alle altre, con gli argomenti, sia quelli fissi che
+quelli opzionali, separati da virgole. Quello che però è necessario tenere
+presente è come verranno convertiti gli argomenti variabili.
+
+In Linux gli argomenti dello stesso tipo sono passati allo stesso modo, sia
+che siano fissi sia che siano opzionali (alcuni sistemi trattano diversamente
+gli opzionali), ma dato che il prototipo non può specificare il tipo degli
+argomenti opzionali, questi verranno sempre promossi, pertanto nella ricezione
+dei medesimi occorrerà tenerne conto (ad esempio un \ctyp{char} verrà visto da
+\macro{va\_arg} come \ctyp{int}).
+
+Uno dei problemi che si devono affrontare con le funzioni con un numero
+variabile di argomenti è che non esiste un modo generico che permetta di
+stabilire quanti sono gli argomenti passati effettivamente in una chiamata.
+
+Esistono varie modalità per affrontare questo problema; una delle più
+immediate è quella di specificare il numero degli argomenti opzionali come uno
+degli argomenti fissi. Una variazione di questo metodo è l'uso di un argomento
+per specificare anche il tipo degli argomenti (come fa la stringa di formato
+per \func{printf}).
+
+Una modalità diversa, che può essere applicata solo quando il tipo degli
+argomenti lo rende possibile, è quella che prevede di usare un valore speciale
+come ultimo argomento (come fa ad esempio \func{execl} che usa un puntatore
+\val{NULL} per indicare la fine della lista degli argomenti).
+
+
+\subsection{Potenziali problemi con le variabili automatiche}
+\label{sec:proc_auto_var}
+
+Uno dei possibili problemi che si possono avere con le subroutine è quello di
+restituire alla funzione chiamante dei dati che sono contenuti in una
+variabile automatica. Ovviamente quando la subroutine ritorna la sezione
+dello \itindex{stack} \textit{stack} che conteneva la variabile automatica
+potrà essere riutilizzata da una nuova funzione, con le immaginabili
+conseguenze di sovrapposizione e sovrascrittura dei dati.
+
+Per questo una delle regole fondamentali della programmazione in C è che
+all'uscita di una funzione non deve restare nessun riferimento alle variabili
+locali; qualora sia necessario utilizzare variabili che possano essere viste
+anche dalla funzione chiamante queste devono essere allocate esplicitamente, o
+in maniera statica (usando variabili di tipo \ctyp{static} o \ctyp{extern}), o
+dinamicamente con una delle funzioni della famiglia \func{malloc}.
+
+
+\subsection{Il controllo di flusso non locale}
+\label{sec:proc_longjmp}
+
+Il controllo del flusso di un programma in genere viene effettuato con le
+varie istruzioni del linguaggio C; fra queste la più bistrattata è il
+\code{goto}, che viene deprecato in favore dei costrutti della programmazione
+strutturata, che rendono il codice più leggibile e mantenibile. Esiste però un
+caso in cui l'uso di questa istruzione porta all'implementazione più
+efficiente e più chiara anche dal punto di vista della struttura del
+programma: quello dell'uscita in caso di errore.
+
+\index{salto~non-locale|(}
+
+Il C però non consente di effettuare un salto ad una etichetta definita in
+un'altra funzione, per cui se l'errore avviene in una funzione, e la sua
+gestione ordinaria è in un'altra, occorre usare quello che viene chiamato un
+\textsl{salto non-locale}. Il caso classico in cui si ha questa necessità,
+citato sia in \cite{APUE} che in \cite{glibc}, è quello di un programma nel
+cui corpo principale vengono letti dei dati in ingresso sui quali viene
+eseguita, tramite una serie di funzioni di analisi, una scansione dei
+contenuti, da cui si ottengono le indicazioni per l'esecuzione di opportune
+operazioni.
+
+Dato che l'analisi può risultare molto complessa, ed opportunamente suddivisa
+in fasi diverse, la rilevazione di un errore nei dati in ingresso può accadere
+all'interno di funzioni profondamente annidate l'una nell'altra. In questo
+caso si dovrebbe gestire, per ciascuna fase, tutta la casistica del passaggio
+all'indietro di tutti gli errori rilevabili dalle funzioni usate nelle fasi
+successive. Questo comporterebbe una notevole complessità, mentre sarebbe
+molto più comodo poter tornare direttamente al ciclo di lettura principale,
+scartando l'input come errato.\footnote{a meno che, come precisa \cite{glibc},
+ alla chiusura di ciascuna fase non siano associate operazioni di pulizia
+ specifiche (come deallocazioni, chiusure di file, ecc.), che non potrebbero
+ essere eseguite con un salto non-locale.}
+
+Tutto ciò può essere realizzato proprio con un salto non-locale; questo di
+norma viene realizzato salvando il contesto dello \itindex{stack}
+\textit{stack} nel punto in cui si vuole tornare in caso di errore, e
+ripristinandolo, in modo da tornare nella funzione da cui si era partiti,
+quando serve. La funzione che permette di salvare il contesto dello
+\itindex{stack} \textit{stack} è \funcd{setjmp}, il cui prototipo è:
+\begin{functions}
+ \headdecl{setjmp.h}
+ \funcdecl{int setjmp(jmp\_buf env)}
+
+ Salva il contesto dello stack.
+
+ \bodydesc{La funzione ritorna zero quando è chiamata direttamente e un
+ valore diverso da zero quando ritorna da una chiamata di \func{longjmp}
+ che usa il contesto salvato in precedenza.}
+\end{functions}
+
+Quando si esegue la funzione il contesto corrente dello \itindex{stack}
+\textit{stack} viene salvato nell'argomento \param{env}, una variabile di tipo
+\type{jmp\_buf}\footnote{questo è un classico esempio di variabile di
+ \index{tipo!opaco} \textsl{tipo opaco}. Si definiscono così strutture ed
+ altri oggetti usati da una libreria, la cui struttura interna non deve
+ essere vista dal programma chiamante (da cui il nome) che li devono
+ utilizzare solo attraverso dalle opportune funzioni di gestione.} che deve
+essere stata definita in precedenza. In genere le variabili di tipo
+\type{jmp\_buf} vengono definite come variabili globali in modo da poter
+essere viste in tutte le funzioni del programma.
+
+Quando viene eseguita direttamente la funzione ritorna sempre zero, un valore
+diverso da zero viene restituito solo quando il ritorno è dovuto ad una
+chiamata di \func{longjmp} in un'altra parte del programma che ripristina lo
+\itindex{stack} \textit{stack} effettuando il salto non-locale. Si tenga conto
+che il contesto salvato in \param{env} viene invalidato se la funzione che ha
+chiamato \func{setjmp} ritorna, nel qual caso un successivo uso di
+\func{longjmp} può comportare conseguenze imprevedibili (e di norma fatali)
+per il processo.
+
+Come accennato per effettuare un salto non-locale ad
+un punto precedentemente stabilito con \func{setjmp} si usa la funzione
+\funcd{longjmp}; il suo prototipo è:
+\begin{functions}
+ \headdecl{setjmp.h}
+ \funcdecl{void longjmp(jmp\_buf env, int val)}
+
+ Ripristina il contesto dello stack.
+
+ \bodydesc{La funzione non ritorna.}
+\end{functions}