X-Git-Url: https://gapil.gnulinux.it/gitweb/?p=gapil.git;a=blobdiff_plain;f=process.tex;h=67cb4f5ccf1da431546545983e53a4624880529f;hp=c1fc583863e811e50ac271fe79d68ce145338e32;hb=3498a6fc0fd13e07cacdea210cb99126d5052fbc;hpb=09fff83335c84e1290f725341b0959344e5a7b03 diff --git a/process.tex b/process.tex index c1fc583..67cb4f5 100644 --- a/process.tex +++ b/process.tex @@ -1,150 +1,1563 @@ -\chapter{I processi} -\label{cha:process} - -Come accennato nell'introduzione in un sistema unix ogni attività del sistema -viene svolta tramite i processi. Questo significa che quando un programma -viene posto in esecuzione, viene fatto partire un processo che si incarica di -eseguirne il codice. In sostanza i processi costituiscono l'unità base per -l'allocazione e l'uso delle risorse del sistema. - -In questo capitolo affronteremo i dettagli della creazione e della distruzione -dei processi, della gestione dei loro attributi e privilegi, e di tutte le -funzioni a questo connesse. - - -\section{Una panoramica sui concetti base} -\label{sec:proc_gen} - -Una delle caratteristiche essenziali di unix (che esamineremo in dettaglio più -avanti) è che ogni processo può a sua volta generare altri processi figli -(\textit{child}): questo è ad esempio quello che fa la shell quando mette in -esecuzione il programma che gli indichiamo nella linea di comando. - -Una seconda caratteristica è che ogni processo viene sempre generato in tale -modo da un processo genitore (\textit{parent}) attraverso una apposita system -call. Questo vale per tutti i processi, tranne per un processo speciale, che -normalmente è \texttt{/sbin/init}, che invece viene lanciato dal kernel finita -la fase di avvio e che quindi non è figlio di nessuno. - -Tutto ciò significa che, come per i file su disco, i processi sono organizzati -gerarchicamente dalla relazione fra genitori e figli; alla base dell'albero in -questo caso c'è init che è progenitore di ogni altro processo. - - -\section{Gli identificatori dei processi} -\label{sec:proc_id} - -Ogni processo viene identificato dal sistema da un numero identificativo -unico, il \textit{process id} o \textit{pid}. Questo viene assegnato in forma -progressiva ogni volta che un nuovo processo viene creato, fino ad un limite -massimo (in genere essendo detto numero memorizzato in un intero a 16 bit si -arriva a 32767) oltre il quale si riparte dal numero più basso disponibile -(FIXME: verificare, non sono sicuro). Per questo motivo processo il processo -di avvio (init) ha sempre il pid uguale a uno. - -Ogni processo è identificato univocamente dal sistema per il suo -pid; quest'ultimo è un apposito tipo di dato, il \texttt{pid\_t} che in -genere è un intero con segno (nel caso di Linux e delle glibc il tipo usato è -\texttt{int}. - -Tutti i processi inoltre portano traccia del pid del genitore, chiamato in -genere \textit{ppid} (da \textit{Parente Process Id}). Questi identificativi -possono essere ottenuti da un programma usando le funzioni: -\begin{itemize} - \item \texttt{pid\_t getpid(void)} restituisce il pid del processo corrente. - - \item \texttt{pid\_t getppid(void)} restituisce il pid del padre del processo - corrente. +\chapter{L'interfaccia base con i processi} +\label{cha:process_interface} -\end{itemize} -(per l'accesso a queste funzioni e ai relativi tipi di dati occorre includere -gli header files \texttt{unistd.h} e \texttt{sys/types.h}). +Come accennato nell'introduzione il \textsl{processo} è l'unità di base con +cui un sistema unix-like alloca ed utilizza le risorse. Questo capitolo +tratterà l'interfaccia base fra il sistema e i processi, come vengono passati +i parametri, come viene gestita e allocata la memoria, come un processo può +richiedere servizi al sistema e cosa deve fare quando ha finito la sua +esecuzione. Nella sezione finale accenneremo ad alcune problematiche generiche +di programmazione. + +In genere un programma viene eseguito quando un processo lo fa partire +eseguendo una funzione della famiglia \func{exec}; torneremo su questo e sulla +creazione e gestione dei processi nel prossimo capitolo. In questo +affronteremo l'avvio e il funzionamento di un singolo processo partendo dal +punto di vista del programma che viene messo in esecuzione. +\section{Esecuzione e conclusione di un programma} -\section{Il controllo dei processi} -\label{sec:proc_control} +Uno dei concetti base di Unix è che un processo esegue sempre uno ed un solo +programma: si possono avere più processi che eseguono lo stesso programma ma +ciascun processo vedrà la sua copia del codice (in realtà il kernel fa sì che +tutte le parti uguali siano condivise), avrà un suo spazio di indirizzi, +variabili proprie e sarà eseguito in maniera completamente indipendente da +tutti gli altri.\footnote{questo non è del tutto vero nel caso di un programma + \textit{multi-thread}, ma la gestione dei \textit{thread} in Linux sarà + trattata a parte.} -Esamineremo in questa sezione le varie funzioni per il controllo dei processi: -la lore creazione, la terminazione, l'esecuzione di altri programmi. Prima di -trattare in dettaglio le singole funzioni, faremo un'introduzione generale ai -contetti che stanno alla base della gestione dei processi in unix. -\subsection{Una panoramica} -\label{sec:proc_control_overview} +\subsection{La funzione \func{main}} +\label{sec:proc_main} -I processi vengono creati dalla funzione \texttt{fork}; in genere questa è una -system call, ma linux però usa un'altra nomenclatura, e la funzione fork è -basata a sua volta sulla system call \texttt{clone}, che viene usata anche per -generare i \textit{thread}. Il processo figlio creato dalla \textit{fork} è -una copia identica del processo processo padre, solo che ha un suo pid -proprio. +Quando un programma viene lanciato il kernel esegue un'opportuna routine di +avvio, usando il programma \cmd{ld-linux.so}. Questo programma prima carica +le librerie condivise che servono al programma, poi effettua il link dinamico +del codice e alla fine lo esegue. Infatti, a meno di non aver specificato il +flag \texttt{-static} durante la compilazione, tutti i programmi in Linux sono +incompleti e necessitano di essere linkati alle librerie condivise quando +vengono avviati. La procedura è controllata da alcune variabili di ambiente e +dal contenuto di \file{/etc/ld.so.conf}. I dettagli sono riportati nella man +page di \cmd{ld.so}. -Se si vuole che il processo padre si fermi fino alla conclusione del processo -figlio questo deve essere specificato subito dopo la fork chiamando la -funzione \texttt{wait} o la funzione \texttt{waitpid}, che restituiscono anche -una informazione abbastanza limitata (il codice di uscita) sulle cause della -terminazione del processo. +Il sistema fa partire qualunque programma chiamando la funzione \func{main}; +sta al programmatore chiamare così la funzione principale del programma da cui +si suppone iniziare l'esecuzione; in ogni caso senza questa funzione lo stesso +linker darebbe luogo ad errori. -Quando un processo ha concluso il suo compito o ha incontrato un errore non -risolvibile esso può essere terminato con la funzione \texttt{exit} (la -questione è più complessa ma ci torneremo più avanti). La vita del processo -però termina solo quando viene chiamata la quando la sua conclusione viene -ricevuta dal processo padre, a quel punto tutte le risorse allocate nel -sistema ad esso associate vengono rilasciate. +Lo standard ISO C specifica che la funzione \func{main} può non avere +argomenti o prendere due argomenti che rappresentano gli argomenti passati da +linea di comando, in sostanza un prototipo che va sempre bene è il seguente: +\begin{lstlisting}[labelstep=0,frame=,indent=1cm]{} + int main (int argc, char *argv[]) +\end{lstlisting} -Avere due processi che eseguono esattamente lo stesso codice non è molto -utile, mormalmente si genera un secondo processo per affidagli l'esecuzione di -un compito specifico (ad esempio gestire una connessione dopo che questa è -stata stabilita), o fargli eseguire (come fa la shell) un altro programma. Per -questo si usa la seconda funzione fondamentale per programmazione coi processi -che è la \texttt{exec}. +In realtà nei sistemi Unix esiste un'altro modo per definire la funzione +\func{main}, che prevede la presenza di un terzo parametro, \var{char + *envp[]}, che fornisce l'\textsl{ambiente} (vedi \secref{sec:proc_environ}) +del programma; questa forma però non è prevista dallo standard POSIX.1 per cui +se si vogliono scrivere programmi portabili è meglio evitarla. -Il programma che un processo sta eseguendo si chiama immagine del processo -(\textit{process image}), le funzioni della famiglia \textit{exec} permettono -di caricare un'altro programma da disco sostituendo quest'ultimo alla process -image corrente, questo fa si che la precedente immagine venga completamente -cancellata e quando il nuovo programma esce anche il processo termina, senza -ritornare alla precedente immagine. -Per questo motivo la \texttt{fork} e la \texttt{exec} sono funzioni molto -particolari con caratteristiche uniche rispetto a tutte le altre, infatti la -prima ritorna due volte (nel processo padre e nel figlio) mentre la seconda -non ritorna mai (in quanto con essa viene eseguito un altro programma). +\subsection{Come chiudere un programma} +\label{sec:proc_conclusion} +Normalmente un programma finisce quando la funzione \func{main} ritorna, una +modalità equivalente di chiudere il programma è quella di chiamare +direttamente la funzione \func{exit} (che viene comunque chiamata +automaticamente quando \func{main} ritorna). Una forma alternativa è quella +di chiamare direttamente la system call \func{\_exit}, che restituisce il +controllo direttamente alla routine di conclusione dei processi del kernel. -\subsection{La funzione \texttt{fork}} -\label{sec:proc_fork} +Oltre alla conclusione ``normale'' esiste anche la possibilità di una +conclusione ``anomala'' del programma a causa della ricezione di un segnale +(si veda \capref{cha:signals}) o della chiamata alla funzione \func{abort}; +torneremo su questo in \secref{sec:proc_termination}. +Il valore di ritorno della funzione \func{main}, o quello usato nelle chiamate +ad \func{exit} e \func{\_exit}, viene chiamato \textsl{stato di uscita} (o +\textit{exit status}) e passato al processo che aveva lanciato il programma +(in genere la shell). In generale si usa questo valore per fornire +informazioni sulla riuscita o il fallimento del programma; l'informazione è +necessariamente generica, ed il valore deve essere compreso fra 0 e 255. -Dopo l'esecuzione di una fork sia il processo padre che il processo figlio -continuano ad essere eseguiti normalmente, ed il processo figlio esegue -esattamente lo stesso codice del padre. La sola differenza è che nel processo -padre il valore di ritorno della funzione fork è il pid del processo figlio, -mentre nel figlio è zero; in questo modo il programma può identificare se -viene eseguito dal padre o dal figlio. +La convenzione in uso pressoché universale è quella di restituire 0 in caso di +successo e 1 in caso di fallimento; l'unica eccezione è per i programmi che +effettuano dei confronti (come \cmd{diff}), che usano 0 per indicare la +corrispondenza, 1 per indicare la non corrispondenza e 2 per indicare +l'incapacità di effettuare il confronto. È opportuno adottare una di queste +convenzioni a seconda dei casi. Si tenga presente che se si raggiunge la fine +della funzione \func{main} senza ritornare esplicitamente si ha un valore di +uscita indefinito, è pertanto consigliabile di concludere sempre in maniera +esplicita detta funzione. +Un'altra convenzione riserva i valori da 128 a 256 per usi speciali: ad +esempio 128 viene usato per indicare l'incapacità di eseguire un altro +programma in un sottoprocesso. Benché questa convenzione non sia +universalmente seguita è una buona idea tenerne conto. +Si tenga presente inoltre che non è una buona idea usare il codice di errore +restituito dalla variabile \var{errno} (per i dettagli si veda +\secref{sec:sys_errors}) come stato di uscita. In generale infatti una shell +non si cura del valore se non per vedere se è diverso da zero; inoltre il +valore dello stato di uscita è sempre troncato ad 8 bit, per cui si potrebbe +incorrere nel caso in cui restituendo un codice di errore 256, si otterrebbe +uno stato di uscita uguale a zero, che verrebbe interpretato come un successo. +In \file{stdlib.h} sono definite, seguendo lo standard POSIX, le due macro +\macro{EXIT\_SUCCESS} e \macro{EXIT\_FAILURE}, da usare sempre per specificare +lo stato di uscita di un processo. In Linux esse sono poste rispettivamente ai +valori di tipo \ctyp{int} 0 e 1. -\subsection{La funzione \texttt{exit}} + +\subsection{Le funzioni \func{exit} e \func{\_exit}} \label{sec:proc_exit} -\subsection{Le funzioni \texttt{wait} e \texttt{waitpid}} -\label{sec:proc_wait} +Come accennato le funzioni usate per effettuare un'uscita ``normale'' da un +programma sono due, la prima è la funzione \func{exit} che è definita dallo +standard ANSI C ed il cui prototipo è: +\begin{prototype}{stdlib.h}{void exit(int status)} + Causa la conclusione ordinaria del programma restituendo il valore + \var{status} al processo padre. + + \bodydesc{La funzione non ritorna. Il processo viene terminato.} +\end{prototype} + +La funzione \func{exit} è pensata per eseguire una conclusione pulita di un +programma che usi le librerie standard del C; essa esegue tutte le funzioni +che sono state registrate con \func{atexit} e \func{on\_exit} (vedi +\secref{sec:proc_atexit}), e chiude tutti gli stream effettuando il +salvataggio dei dati sospesi (chiamando \func{fclose}, vedi +\secref{sec:file_fopen}), infine passa il controllo al kernel chiamando +\func{\_exit} e passando \param{status} come stato di uscita. + +La system call \func{\_exit} restituisce direttamente il controllo al kernel, +concludendo immediatamente il processo; i dati sospesi nei buffer degli stream +non vengono salvati e le eventuali funzioni registrate con \func{atexit} e +\func{on\_exit} non vengono eseguite. Il prototipo della funzione è: +\begin{prototype}{unistd.h}{void \_exit(int status)} + Causa la conclusione immediata del programma restituendo \param{status} al + processo padre come stato di uscita. + + \bodydesc{La funzione non ritorna. Il processo viene terminato.} +\end{prototype} + +La funzione chiude tutti i file descriptor appartenenti al processo (si tenga +presente che questo non comporta il salvataggio dei dati bufferizzati degli +stream), fa sì che ogni figlio del processo sia ereditato da \cmd{init} (vedi +\secref{cha:process_handling}), manda un segnale \macro{SIGCHLD} al processo +padre (vedi \secref{sec:sig_job_control}) ed infine ritorna lo stato di uscita +specificato in \param{status} che può essere raccolto usando la funzione +\func{wait} (vedi \secref{sec:proc_wait}). + + +\subsection{Le funzioni \func{atexit} e \func{on\_exit}} +\label{sec:proc_atexit} + +Un'esigenza comune che si incontra nella programmazione è quella di dover +effettuare una serie di operazioni di pulizia (ad esempio salvare dei dati, +ripristinare delle impostazioni, eliminare dei file temporanei, ecc.) prima +della conclusione di un programma. In genere queste operazioni vengono fatte +in un'apposita sezione del programma, ma quando si realizza una libreria +diventa antipatico dover richiedere una chiamata esplicita ad una funzione di +pulizia al programmatore che la utilizza. + +È invece molto meno soggetto ad errori, e completamente trasparente +all'utente, avere la possibilità di effettuare automaticamente la chiamata ad +una funzione che effettui tali operazioni all'uscita dal programma. A questo +scopo lo standard ANSI C prevede la possibilità di registrare un certo numero +funzioni che verranno eseguite all'uscita dal programma (sia per la chiamata +ad \func{exit} che per il ritorno di \func{main}). La prima funzione che si +può utilizzare a tal fine è: +\begin{prototype}{stdlib.h}{void atexit(void (*function)(void))} + Registra la funzione \param{function} per essere chiamata all'uscita dal + programma. + + \bodydesc{La funzione restituisce 0 in caso di successo e -1 in caso di + fallimento, \var{errno} non viene modificata.} +\end{prototype} +\noindent la funzione richiede come argomento l'indirizzo della opportuna +funzione di pulizia da chiamare all'uscita, che non deve prendere argomenti e +non deve ritornare niente (deve essere essere cioè definita come \code{void + function(void)}). + +Un'estensione di \func{atexit} è la funzione \func{on\_exit}, che le +\acr{glibc} includono per compatibilità con SunOS, ma che non è detto sia +definita su altri sistemi; il suo prototipo è: +\begin{prototype}{stdlib.h} +{void on\_exit(void (*function)(int status, void *arg), void *arg)} + Registra la funzione \param{function} per essere chiamata all'uscita dal + programma. Tutte le funzioni registrate vengono chiamate in ordine inverso + rispetto a quello di registrazione. + + \bodydesc{La funzione restituisce 0 in caso di successo e -1 in caso di + fallimento, \var{errno} non viene modificata.} +\end{prototype} + +In questo caso la funzione da chiamare prende due parametri, il primo dei +quali sarà inizializzato allo stato di uscita con cui è stata chiamata +\func{exit} ed il secondo al puntatore generico specificato come secondo +argomento nella chiamata di \func{on\_exit}. Così diventa possibile passare +dei dati alla funzione di chiusura. + +Nella sequenza di chiusura tutte le funzioni registrate verranno chiamate in +ordine inverso rispetto a quello di registrazione (ed una stessa funzione +registrata più volte sarà chiamata più volte); poi verranno chiusi tutti gli +stream aperti, infine verrà chiamata \func{\_exit}. + + +\subsection{Conclusioni} +\label{sec:proc_term_conclusion} + +Data l'importanza dell'argomento è opportuno sottolineare ancora una volta che +in un sistema Unix l'unico modo in cui un programma può essere eseguito dal +kernel è attraverso la chiamata alla system call \func{execve} (o attraverso +una delle funzioni della famiglia \func{exec} che vedremo in +\secref{sec:proc_exec}). + +Allo stesso modo l'unico modo in cui un programma può concludere +volontariamente la sua esecuzione è attraverso una chiamata alla system call +\func{\_exit}, o esplicitamente, o in maniera indiretta attraverso l'uso di +\func{exit} o il ritorno di \func{main}. + +Uno schema riassuntivo che illustra le modalità con cui si avvia e conclude +normalmente un programma è riportato in \figref{fig:proc_prog_start_stop}. + +\begin{figure}[htb] + \centering + \includegraphics[width=12cm]{img/proc_beginend} + \caption{Schema dell'avvio e della conclusione di un programma.} + \label{fig:proc_prog_start_stop} +\end{figure} + +Si ricordi infine che un programma può anche essere interrotto dall'esterno +attraverso l'uso di un segnale (modalità di conclusione non mostrata in +\figref{fig:proc_prog_start_stop}); torneremo su questo aspetto in +\capref{cha:signals}. + + + +\section{I processi e l'uso della memoria} +\label{sec:proc_memory} + +Una delle risorse base che ciascun processo ha a disposizione è la memoria, e +la gestione della memoria è appunto uno degli aspetti più complessi di un +sistema unix-like. In questa sezione, dopo una breve introduzione ai concetti +base, esamineremo come la memoria viene vista da parte di un programma in +esecuzione, e le varie funzioni utilizzabili per la sua gestione. + + +\subsection{I concetti generali} +\label{sec:proc_mem_gen} + +Ci sono vari modi in cui i vari sistemi organizzano la memoria (ed i dettagli +di basso livello dipendono spesso in maniera diretta dall'architettura +dell'hardware), ma quello più tipico, usato dai sistemi unix-like come Linux è +la cosiddetta \textsl{memoria virtuale}\index{memoria virtuale} che consiste +nell'assegnare ad ogni processo uno spazio virtuale di indirizzamento lineare, +in cui gli indirizzi vanno da zero ad un qualche valore massimo.\footnote{nel + caso di Linux fino al kernel 2.2 detto massimo era, per macchine a 32bit, di + 2Gb, con il kernel 2.4 ed il supporto per la \textit{high-memory} il limite + è stato esteso.} + +Come accennato in \capref{cha:intro_unix} questo spazio di indirizzi è +virtuale e non corrisponde all'effettiva posizione dei dati nella RAM del +computer; in genere detto spazio non è neppure continuo (cioè non tutti gli +indirizzi possibili sono utilizzabili, e quelli usabili non sono +necessariamente adiacenti). + +Per la gestione da parte del kernel la memoria virtuale viene divisa in pagine +di dimensione fissa (che ad esempio sono di 4kb su macchine a 32 bit e 8kb +sulle alpha, valori strettamente connessi all'hardware di gestione della +memoria), e ciascuna pagina della memoria virtuale è associata ad un supporto +che può essere una pagina di memoria reale o ad un dispositivo di stoccaggio +secondario (in genere lo spazio disco riservato alla swap, o i file che +contengono il codice). + +Lo stesso pezzo di memoria reale (o di spazio disco) può fare da supporto a +diverse pagine di memoria virtuale appartenenti a processi diversi (come +accade in genere per le pagine che contengono il codice delle librerie +condivise). Ad esempio il codice della funzione \func{printf} starà su una +sola pagina di memoria reale che farà da supporto a tutte le pagine di memoria +virtuale di tutti i processi che hanno detta funzione nel loro codice. + +La corrispondenza fra le pagine della memoria virtuale e quelle della memoria +fisica della macchina viene gestita in maniera trasparente dall'hardware di +gestione della memoria (la \textit{Memory Management Unit} del processore). +Poiché in genere la memoria fisica è solo una piccola frazione della memoria +virtuale, è necessario un meccanismo che permetta di trasferire le pagine che +servono dal supporto su cui si trovano in memoria, eliminando quelle che non +servono. Questo meccanismo è detto \textsl{paginazione}\index{paginazione} (o +\textit{paging}), ed è uno dei compiti principali del kernel. + +Quando un processo cerca di accedere ad una pagina che non è nella memoria +reale, avviene quello che viene chiamato un +\textit{page fault}\index{page fault}; +l'hardware di gestione della memoria genera un'interruzione e passa +il controllo al kernel il quale sospende il processo e si incarica di mettere +in RAM la pagina richiesta (effettuando tutte le operazioni necessarie per +reperire lo spazio necessario), per poi restituire il controllo al processo. + +Dal punto di vista di un processo questo meccanismo è completamente +trasparente, e tutto avviene come se tutte le pagine fossero sempre +disponibili in memoria. L'unica differenza avvertibile è quella dei tempi di +esecuzione, che passano dai pochi nanosecondi necessari per l'accesso in RAM, +a tempi molto più lunghi, dovuti all'intervento del kernel. + +Normalmente questo è il prezzo da pagare per avere un multitasking reale, ed +in genere il sistema è molto efficiente in questo lavoro; quando però ci siano +esigenze specifiche di prestazioni è possibile usare delle funzioni che +permettono di bloccare il meccanismo della paginazione e mantenere fisse delle +pagine in memoria (vedi \ref{sec:proc_mem_lock}). + + +\subsection{La struttura della memoria di un processo} +\label{sec:proc_mem_layout} + +Benché lo spazio di indirizzi virtuali copra un intervallo molto ampio, solo +una parte di essi è effettivamente allocato ed utilizzabile dal processo; il +tentativo di accedere ad un indirizzo non allocato è un tipico errore che si +commette quando si è manipolato male un puntatore e genera quello che viene +chiamato un \textit{segmentation fault}. Se si tenta cioè di leggere o +scrivere da un indirizzo per il quale non esiste un'associazione della pagina +virtuale, il kernel risponde al relativo \textit{page fault}\index{page fault} +mandando un segnale \macro{SIGSEGV} al processo, che normalmente ne causa la +terminazione immediata. + +È pertanto importante capire come viene strutturata \textsl{la memoria + virtuale}\index{page fault} di un processo. Essa viene divisa in +\textsl{segmenti}, cioè un insieme contiguo di indirizzi virtuali ai quali il +processo può accedere. Solitamente un programma C viene suddiviso nei +seguenti segmenti: + +\begin{enumerate} +\item Il segmento di testo o \textit{text segment}. Contiene il codice del + programma, delle funzioni di librerie da esso utilizzate, e le costanti. + Normalmente viene condiviso fra tutti i processi che eseguono lo stesso + programma (e anche da processi che eseguono altri programmi nel caso delle + librerie). Viene marcato in sola lettura per evitare sovrascritture + accidentali (o maliziose) che ne modifichino le istruzioni. + + Viene allocato da \func{exec} all'avvio del programma e resta invariato + per tutto il tempo dell'esecuzione. + +\item Il segmento dei dati o \textit{data segment}. Contiene le variabili + globali (cioè quelle definite al di fuori di tutte le funzioni che + compongono il programma) e le variabili statiche (cioè quelle dichiarate con + l'attributo \ctyp{static}). Di norma è diviso in due parti. + + La prima parte è il segmento dei dati inizializzati, che contiene le + variabili il cui valore è stato assegnato esplicitamente. Ad esempio + se si definisce: + \begin{lstlisting}[labelstep=0,frame=,indent=1cm]{} + double pi = 3.14; + \end{lstlisting} + questo valore sarà immagazzinato in questo segmento. La memoria di questo + segmento viene preallocata all'avvio del programma e inizializzata ai valori + specificati. + + La seconda parte è il segmento dei dati non inizializzati, che contiene le + variabili il cui valore non è stato assegnato esplicitamente. Ad esempio se + si definisce: + \begin{lstlisting}[labelstep=0,frame=,indent=1cm]{} + int vect[100]; + \end{lstlisting} + questo vettore sarà immagazzinato in questo segmento. Anch'esso viene + allocato all'avvio, e tutte le variabili vengono inizializzate a zero (ed i + puntatori a \macro{NULL}).\footnote{si ricordi che questo vale solo per le + variabili che vanno nel segmento dati, e non è affatto vero in generale.} + + Storicamente questo segmento viene chiamato BBS (da \textit{block started by + symbol}). La sua dimensione è fissa. + +\item Lo \textit{heap}. Tecnicamente lo si può considerare l'estensione del + segmento dati, a cui di solito è posto giusto di seguito. È qui che avviene + l'allocazione dinamica della memoria; può essere ridimensionato allocando e + disallocando la memoria dinamica con le apposite funzioni (vedi + \secref{sec:proc_mem_alloc}), ma il suo limite inferiore (quello adiacente + al segmento dati) ha una posizione fissa. + +\item Il segmento di \textit{stack}, che contiene lo \textit{stack} del + programma. Tutte le volte che si effettua una chiamata ad una funzione è + qui che viene salvato l'indirizzo di ritorno e le informazioni dello stato + del chiamante (tipo il contenuto di alcuni registri della CPU). Poi la + funzione chiamata alloca qui lo spazio per le sue variabili locali: in + questo modo le funzioni possono essere chiamate ricorsivamente. Al ritorno + della funzione lo spazio è automaticamente rilasciato e ``ripulito''. La + pulizia in C e C++ viene fatta dal chiamante.\footnote{a meno che non sia + stato specificato l'utilizzo di una calling convention diversa da quella + standard.} + + La dimensione di questo segmento aumenta seguendo la crescita dello stack + del programma, ma non viene ridotta quando quest'ultimo si restringe. +\end{enumerate} + +\begin{figure}[htb] + \centering + \includegraphics[width=5cm]{img/memory_layout} + \caption{Disposizione tipica dei segmenti di memoria di un processo.} + \label{fig:proc_mem_layout} +\end{figure} + +Una disposizione tipica di questi segmenti è riportata in +\figref{fig:proc_mem_layout}. Usando il comando \cmd{size} su un programma se +ne può stampare le dimensioni dei segmenti di testo e di dati (inizializzati e +BSS); si tenga presente però che il BSS non è mai salvato sul file che +contiene l'eseguibile, dato che viene sempre inizializzato a zero al +caricamento del programma. + + +\subsection{Allocazione della memoria per i programmi C} +\label{sec:proc_mem_alloc} + +Il C supporta, a livello di linguaggio, soltanto due modalità di allocazione +della memoria: l'\textsl{allocazione statica} e l'\textsl{allocazione + automatica}. + +L'\textsl{allocazione statica} è quella con cui sono memorizzate le variabili +globali e le variabili statiche, cioè le variabili il cui valore deve essere +mantenuto per tutta la durata del programma. Come accennato queste variabili +vengono allocate nel segmento dei dati all'avvio del programma (come parte +delle operazioni svolte da \func{exec}) e lo spazio da loro occupato non viene +liberato fino alla sua conclusione. + +L'\textsl{allocazione automatica} è quella che avviene per gli argomenti di +una funzione e per le sue variabili locali (le cosiddette \textsl{variabili + automatiche}), che esistono solo per la durata della funzione. Lo spazio +per queste variabili viene allocato nello stack quando viene eseguita la +funzione e liberato quando si esce dalla medesima. + +Esiste però un terzo tipo di allocazione, l'\textsl{allocazione dinamica della + memoria}, che non è prevista direttamente all'interno del linguaggio C, ma +che è necessaria quando il quantitativo di memoria che serve è determinabile +solo durante il corso dell'esecuzione del programma. + +Il C non consente di usare variabili allocate dinamicamente, non è possibile +cioè definire in fase di programmazione una variabile le cui dimensioni +possano essere modificate durante l'esecuzione del programma. Per questo le +librerie del C forniscono una serie opportuna di funzioni per eseguire +l'allocazione dinamica di memoria (in genere nello heap). Le variabili il +cui contenuto è allocato in questo modo non potranno essere usate direttamente +come le altre, ma l'accesso sarà possibile solo in maniera indiretta, +attraverso dei puntatori. + + +\subsection{Le funzioni \func{malloc}, \func{calloc}, \func{realloc} e + \func{free}} +\label{sec:proc_mem_malloc} + +Le funzioni previste dallo standard ANSI C per la gestione della memoria sono +quattro: \func{malloc}, \func{calloc}, \func{realloc} e \func{free}, i loro +prototipi sono i seguenti: +\begin{functions} +\headdecl{stdlib.h} +\funcdecl{void *calloc(size\_t size)} + Alloca \var{size} byte nello heap. La memoria viene inizializzata a 0. + + La funzione restituisce il puntatore alla zona di memoria allocata in caso + di successo e \macro{NULL} in caso di fallimento, nel qual caso + \var{errno} assumerà il valore \macro{ENOMEM}. +\funcdecl{void *malloc(size\_t size)} + Alloca \var{size} byte nello heap. La memoria non viene inizializzata. + + La funzione restituisce il puntatore alla zona di memoria allocata in caso + di successo e \macro{NULL} in caso di fallimento, nel qual caso + \var{errno} assumerà il valore \macro{ENOMEM}. +\funcdecl{void *realloc(void *ptr, size\_t size)} + Cambia la dimensione del blocco allocato all'indirizzo \var{ptr} + portandola a \var{size}. + + La funzione restituisce il puntatore alla zona di memoria allocata in caso + di successo e \macro{NULL} in caso di fallimento, nel qual caso + \var{errno} assumerà il valore \macro{ENOMEM}. +\funcdecl{void free(void *ptr)} + Disalloca lo spazio di memoria puntato da \var{ptr}. + + La funzione non ritorna nulla e non riporta errori. +\end{functions} +Il puntatore ritornato dalle funzioni di allocazione è garantito essere sempre +allineato correttamente per tutti i tipi di dati; ad esempio sulle macchine a +32 bit in genere è allineato a multipli di 4 byte e sulle macchine a 64 bit a +multipli di 8 byte. + +In genere si usano le funzioni \func{malloc} e \func{calloc} per allocare +dinamicamente la memoria necessaria al programma, e siccome i puntatori +ritornati sono di tipo generico non è necessario effettuare un cast per +assegnarli a puntatori al tipo di variabile per la quale si effettua +l'allocazione. + +La memoria allocata dinamicamente deve essere esplicitamente rilasciata usando +\func{free}\footnote{le glibc provvedono anche una funzione \func{cfree} + definita per compatibilità con SunOS, che è deprecata.} una volta che non +sia più necessaria. Questa funzione vuole come parametro un puntatore +restituito da una precedente chiamata a una qualunque delle funzioni di +allocazione che non sia già stato liberato da un'altra chiamata a \func{free}, +in caso contrario il comportamento della funzione è indefinito. + +La funzione \func{realloc} si usa invece per cambiare (in genere aumentare) la +dimensione di un'area di memoria precedentemente allocata, la funzione vuole +in ingresso il puntatore restituito dalla precedente chiamata ad una +\func{malloc} (se è passato un valore \macro{NULL} allora la funzione si +comporta come \func{malloc})\footnote{questo è vero per Linux e + l'implementazione secondo lo standard ANSI C, ma non è vero per alcune + vecchie implementazioni, inoltre alcune versioni delle librerie del C + consentivano di usare \func{realloc} anche per un puntatore liberato con + \func{free} purché non ci fossero state nel frattempo altre chiamate a + funzioni di allocazione, questa funzionalità è totalmente deprecata e non è + consentita sotto Linux.} ad esempio quando si deve far crescere la +dimensione di un vettore. In questo caso se è disponibile dello spazio +adiacente al precedente la funzione lo utilizza, altrimenti rialloca altrove +un blocco della dimensione voluta, copiandoci automaticamente il contenuto; lo +spazio aggiunto non viene inizializzato. + +Si deve sempre avere ben presente il fatto che il blocco di memoria restituito +da \func{realloc} può non essere un'estensione di quello che gli si è passato +in ingresso; per questo si dovrà \emph{sempre} eseguire la riassegnazione di +\var{ptr} al valore di ritorno della funzione, e reinizializzare o provvedere +ad un adeguato aggiornamento di tutti gli altri puntatori all'interno del +blocco di dati ridimensionato. + +Un errore abbastanza frequente (specie se si ha a che fare con array di +puntatori) è quello di chiamare \func{free} più di una volta sullo stesso +puntatore; per evitare questo problema una soluzione di ripiego è quella di +assegnare sempre a \macro{NULL} ogni puntatore liberato con \func{free}, dato +che, quando il parametro è un puntatore nullo, \func{free} non esegue nessuna +operazione. + +Le \acr{glibc} hanno un'implementazione delle routine di allocazione che è +controllabile dall'utente attraverso alcune variabili di ambiente, in +particolare diventa possibile tracciare questo tipo di errori usando la +variabile \macro{MALLOC\_CHECK\_} che quando viene definita mette in uso una +versione meno efficiente delle funzioni suddette, che però è più tollerante +nei confronti di piccoli errori come quello di chiamate doppie a \func{free}. +In particolare: +\begin{itemize} +\item se la variabile è posta a zero gli errori vengono ignorati. +\item se è posta ad 1 viene stampato un avviso sullo \textit{standard error} + (vedi \secref{sec:file_std_stream}). +\item se è posta a 2 viene chiamata \func{abort}, che in genere causa + l'immediata conclusione del programma. +\end{itemize} + +Il problema più comune e più difficile da risolvere che si incontra con le +routine di allocazione è quando non viene opportunamente liberata la memoria +non più utilizzata, quello che in inglese viene chiamato \textit{memory-leak}, +cioè una \textsl{perdita di memoria}. + +Un caso tipico che illustra il problema è quello in cui in una subroutine si +alloca della memoria per uso locale senza liberarla prima di uscire. La +memoria resta così allocata fino alla terminazione del processo. Chiamate +ripetute alla stessa subroutine continueranno ad effettuare altre allocazioni, +causando a lungo andare un esaurimento della memoria disponibile (e la +probabile impossibilità di proseguire l'esecuzione del programma). + +Il problema è che l'esaurimento della memoria può avvenire in qualunque +momento, in corrispondenza ad una qualunque chiamata di \func{malloc}, che può +essere in una sezione del codice che non ha alcuna relazione con la subroutine +che contiene l'errore. Per questo motivo è sempre molto difficile trovare un +\textit{memory leak}. + +In C e C++ il problema è particolarmente sentito. In C++, per mezzo della +programmazione ad oggetti, il problema dei \textit{memory leak} è notevolmente +ridimensionato attraverso l'uso accurato di appositi oggetti come gli +\textit{smartpointers}. Questo però va a scapito delle performance +dell'applicazione in esecuzione. + +In altri linguaggi come il java e recentemente il C\# il problema non si pone +nemmeno perché la gestione della memoria viene fatta totalmente in maniera +automatica, ovvero il programmatore non deve minimamente preoccuparsi di +liberare la memoria allocata precedentemente quando non serve più, poiché il +framework gestisce automaticamente la cosiddetta \textit{garbage collection}. +In tal caso, attraverso meccanismi simili a quelli del \textit{reference + counting}, quando una zona di memoria precedentemente allocata non è più +riferita da nessuna parte del codice in esecuzione, può essere deallocata +automaticamente in qualunque momento dall'infrastruttura. + +Anche questo va a scapito delle performance dell'applicazione in esecuzione +(inoltre le applicazioni sviluppate con tali linguaggi di solito non sono +eseguibili compilati, come avviene invece per il C ed il C++, ed è necessaria +la presenza di una infrastruttura per la loro interpretazione e pertanto hanno +di per sé delle performance più scadenti rispetto alle stesse applicazioni +compilate direttamente). Questo comporta però il problema della non +predicibilità del momento in cui viene deallocata la memoria precedentemente +allocata da un oggetto. + +Per limitare l'impatto di questi problemi, e semplificare la ricerca di +eventuali errori, l'implementazione delle routine di allocazione delle +\acr{glibc} mette a disposizione una serie di funzionalità che permettono di +tracciare le allocazioni e le disallocazione, e definisce anche una serie di +possibili \textit{hook} (\textsl{ganci}) che permettono di sostituire alle +funzioni di libreria una propria versione (che può essere più o meno +specializzata per il debugging). Esistono varie librerie che forniscono dei +sostituti opportuni delle routine di allocazione in grado, senza neanche +ricompilare il programma,\footnote{esempi sono \textit{Dmalloc} + \href{http://dmalloc.com/}{http://dmalloc.com/} di Gray Watson ed + \textit{Electric Fence} di Bruce Perens.} di eseguire diagnostiche anche +molto complesse riguardo l'allocazione della memoria. + + + +\subsection{La funzione \func{alloca}} +\label{sec:proc_mem_alloca} + +Una possibile alternativa all'uso di \func{malloc}, che non soffre dei +problemi di \textit{memory leak} descritti in precedenza, è la funzione +\func{alloca}, che invece di allocare la memoria nello heap usa il segmento di +stack della funzione corrente. La sintassi è identica a quella di +\func{malloc}, il suo prototipo è: +\begin{prototype}{stdlib.h}{void *alloca(size\_t size)} + Alloca \var{size} byte nel segmento di stack della funzione chiamante. + La memoria non viene inizializzata. + + La funzione restituisce il puntatore alla zona di memoria allocata in caso + di successo e \macro{NULL} in caso di fallimento, nel qual caso + \var{errno} assumerà il valore \macro{ENOMEM}. +\end{prototype} +\noindent ma in questo caso non è più necessario liberare la memoria (e quindi +non esiste un analogo della \func{free}) in quanto essa viene rilasciata +automaticamente al ritorno della funzione. + +Come è evidente questa funzione ha molti vantaggi, anzitutto permette di +evitare alla radice i problemi di memory leak, dato che non serve più la +deallocazione esplicita; inoltre la deallocazione automatica funziona anche +quando si usa \func{longjmp} per uscire da una subroutine con un salto non +locale da una funzione (vedi \secref{sec:proc_longjmp}). + +Un altro vantaggio è che in Linux la funzione è molto più veloce di +\func{malloc} e non viene sprecato spazio, infatti non è necessario gestire un +pool di memoria da riservare e si evitano così anche i problemi di +frammentazione di quest'ultimo, che comportano inefficienze sia +nell'allocazione della memoria che nell'esecuzione dell'allocazione. + +Gli svantaggi sono che questa funzione non è disponibile su tutti gli Unix, e +non è inserita né nello standard POSIX né in SUSv3 (ma è presente in BSD), il +suo utilizzo quindi limita la portabilità dei programmi. Inoltre la funzione +non può essere usata nella lista degli argomenti di una funzione, perché lo +spazio verrebbe allocato nel mezzo degli stessi. + +% Questo è riportato solo dal manuale delle glibc, nelle pagine di manuale non c'è +% traccia di tutto ciò +% +%Inoltre se si +%cerca di allocare troppa memoria non si ottiene un messaggio di errore, ma un +%segnale di \textit{segment violation} analogo a quello che si avrebbe da una +%ricorsione infinita. + +Inoltre non è chiaramente possibile usare \func{alloca} per allocare memoria +che deve poi essere usata anche al di fuori della funzione in cui essa viene +chiamata, dato che all'uscita dalla funzione lo spazio allocato diventerebbe +libero, e potrebbe essere sovrascritto all'invocazione di nuove funzioni. +Questo è lo stesso problema che si può avere con le variabili automatiche, su +cui torneremo in \secref{sec:proc_auto_var}. + + +\subsection{Le funzioni \func{brk} e \func{sbrk}} +\label{sec:proc_mem_sbrk} + +L'uso di queste funzioni è necessario solo quando si voglia accedere alle +analoghe system call a cui fanno da interfaccia. I loro prototipi sono: +\begin{functions} + \headdecl{unistd.h} + \funcdecl{int brk(void *end\_data\_segment)} + Sposta la fine del segmento dei dati all'indirizzo specificato da + \var{end\_data\_segment}. + + La funzione restituisce 0 in caso di successo e -1 in caso di + fallimento, nel qual caso \var{errno} assumerà il valore \macro{ENOMEM}. + + \funcdecl{void *sbrk(ptrdiff\_t increment)} Incrementa lo spazio dati di un + programma di \var{increment}. Un valore zero restituisce l'attuale posizione + della fine del segmento dati. + + La funzione restituisce il puntatore all'inizio della nuova zona di memoria + allocata in caso di successo e \macro{NULL} in caso di fallimento, nel qual + caso \macro{errno} assumerà il valore \macro{ENOMEM}. +\end{functions} +\noindent in genere si usa \func{sbrk} con un valore zero per ottenere +l'attuale posizione della fine del segmento dati. + +Queste funzioni sono state deliberatamente escluse dallo standard POSIX.1 e +per i programmi normali è sempre opportuno usare le funzioni di allocazione +standard descritte in precedenza, che sono costruite su di esse. L'uso di +queste funzione è ristretto alle specifiche necessità di chi debba +implementare una sua versione delle routine di allocazione. + + +% \subsection{La personalizzazione delle funzioni di allocazione} +% \label{sec:proc_mem_malloc_custom} + + +\subsection{Il controllo della memoria virtuale\index{memoria virtuale}} +\label{sec:proc_mem_lock} + +Come spiegato in \secref{sec:proc_mem_gen} il kernel gestisce la memoria +virtuale in maniera trasparente ai processi, decidendo quando rimuovere pagine +dalla memoria per metterle nello swap, sulla base dell'utilizzo corrente da +parte dei vari processi. + +Nell'uso comune un processo non deve preoccuparsi di tutto ciò, in quanto il +meccanismo della paginazione\index{paginazione} riporta in RAM, ed in maniera +trasparente, tutte le pagine che gli occorrono; esistono però esigenze +particolari in cui non si vuole che questo meccanismo si attivi. In generale i +motivi per cui si possono avere di queste necessità sono due: +\begin{itemize} +\item \textsl{La velocità}. Il processo della paginazione è trasparente solo + se il programma in esecuzione non è sensibile al tempo che occorre a + riportare la pagina in memoria; per questo motivo processi critici che hanno + esigenze di tempo reale o tolleranze critiche nelle risposte (ad esempio + processi che trattano campionamenti sonori) possono non essere in grado di + sopportare le variazioni della velocità di accesso dovuta alla paginazione. + + In certi casi poi un programmatore può conoscere meglio dell'algoritmo di + allocazione delle pagine le esigenze specifiche del suo programma e decidere + quali pagine di memoria è opportuno che restino in memoria per un aumento + delle prestazioni. In genere queste sono esigenze particolari e richiedono + anche un aumento delle priorità in esecuzione del processo (vedi + \secref{sec:proc_real_time}). + +\item \textsl{La sicurezza}. Se si hanno password o chiavi segrete in chiaro + in memoria queste possono essere portate su disco dal meccanismo della + paginazione. Questo rende più lungo il periodo di tempo in cui detti segreti + sono presenti in chiaro e più complessa la loro cancellazione (un processo + può cancellare la memoria su cui scrive le sue variabili, ma non può toccare + lo spazio disco su cui una pagina di memoria può essere stata salvata). Per + questo motivo di solito i programmi di crittografia richiedono il blocco di + alcune pagine di memoria. +\end{itemize} + +Il meccanismo che previene la paginazione di parte della memoria virtuale di +un processo è chiamato \textit{memory locking} (o \textsl{blocco della + memoria}). Il blocco è sempre associato alle pagine della memoria virtuale +del processo, e non al segmento reale di RAM su cui essa viene mantenuta. + +La regola è che se un segmento di RAM fa da supporto ad almeno una pagina +bloccata allora esso viene escluso dal meccanismo della paginazione. I blocchi +non si accumulano, se si blocca due volte la stessa pagina non è necessario +sbloccarla due volte, una pagina o è bloccata oppure no. + +Il \textit{memory lock} persiste fintanto che il processo che detiene la +memoria bloccata non la sblocca. Chiaramente la terminazione del processo +comporta anche la fine dell'uso della sua memoria virtuale, e quindi anche di +tutti i suoi \textit{memory lock}. + +I \textit{memory lock} non sono ereditati dai processi figli.\footnote{ma + siccome Linux usa il \textit{copy on write}\index{copy on write} (vedi + \secref{sec:proc_fork}) gli indirizzi virtuali del figlio sono mantenuti + sullo stesso segmento di RAM del padre, quindi fintanto che un figlio non + scrive su un segmento, può usufruire del memory lock del padre.} Siccome la +presenza di un \textit{memory lock} riduce la memoria disponibile al sistema, +con un impatto su tutti gli altri processi, solo l'amministratore ha la +capacità di bloccare una pagina. Ogni processo può però sbloccare le pagine +relative alla propria memoria. + +Il sistema pone dei limiti all'ammontare di memoria di un processo che può +essere bloccata e al totale di memoria fisica che può dedicare a questo, lo +standard POSIX.1 richiede che sia definita in \file{unistd.h} la costante +\macro{\_POSIX\_MEMLOCK\_RANGE} per indicare la capacità di eseguire il +\textit{memory locking} e la costante \macro{PAGESIZE} in \file{limits.h} per +indicare la dimensione di una pagina in byte. -\subsection{Le funzioni \texttt{exec}} -\label{sec:proc_exec} +Le funzioni per bloccare e sbloccare singole sezioni di memoria sono +\func{mlock} e \func{munlock}; i loro prototipi sono: +\begin{functions} + \headdecl{sys/mman.h} + \funcdecl{int mlock(const void *addr, size\_t len)} + Blocca la paginazione per l'intervallo di memoria da \var{addr} per + \var{len} byte. Tutte le pagine che contengono una parte dell'intervallo + sono mantenute in RAM per tutta la durata del blocco. + \funcdecl{int munlock(const void *addr, size\_t len)} + Sblocca l'intervallo di memoria da \var{addr} per \var{len} byte. + + \bodydesc{Entrambe le funzioni ritornano 0 in caso di successo e -1 in + caso di errore, nel qual caso \var{errno} assumerà uno dei + valori seguenti: + \begin{errlist} + \item[\macro{ENOMEM}] alcuni indirizzi dell'intervallo specificato non + corrispondono allo spazio di indirizzi del processo o si è ecceduto + il numero massimo consentito di pagine bloccate. + \item[\macro{EINVAL}] \var{len} non è un valore positivo. + \end{errlist} + e, per \func{mlock}, anche \macro{EPERM} quando il processo non ha i + privilegi richiesti per l'operazione.} +\end{functions} + +Altre due funzioni, \func{mlockall} e \func{munlockall}, consentono di +bloccare genericamente lo spazio di indirizzi di un processo. I prototipi di +queste funzioni sono: + +\begin{functions} + \headdecl{sys/mman.h} + + \funcdecl{int mlockall(int flags)} + Blocca la paginazione per lo spazio di indirizzi del processo corrente. + + \funcdecl{int munlockall(void)} + Sblocca la paginazione per lo spazio di indirizzi del processo corrente. + + \bodydesc{Codici di ritorno ed errori sono gli stessi di \func{mlock} + e \func{munlock}.} +\end{functions} + +Il parametro \var{flags} di \func{mlockall} permette di controllarne il +comportamento; esso può essere specificato come l'OR aritmetico delle due +costanti: +\begin{basedescript}{\desclabelwidth{2.5cm}} +\item[\macro{MCL\_CURRENT}] blocca tutte le pagine correntemente mappate nello + spazio di indirizzi del processo. +\item[\macro{MCL\_FUTURE}] blocca tutte le pagine che saranno mappate nello + spazio di indirizzi del processo. +\end{basedescript} + +Con \func{mlockall} si può bloccare tutte le pagine mappate nello spazio di +indirizzi del processo, sia che comprendano il segmento di testo, di dati, lo +stack, lo heap e pure le funzioni di libreria chiamate, i file mappati in +memoria, i dati del kernel mappati in user space, la memoria condivisa. L'uso +dei flag permette di selezionare con maggior finezza le pagine da bloccare, ad +esempio limitandosi a tutte le pagine allocate a partire da un certo momento. + +In ogni caso un processo real-time che deve entrare in una sezione critica +deve provvedere a riservare memoria sufficiente prima dell'ingresso, per +scongiurare in partenza un eventuale page fault\index{page fault} causato dal +meccanismo di \textit{copy on write}\index{copy on write}. Infatti se nella +sezione critica si va ad utilizzare memoria che non è ancora stata riportata +in RAM si potrebbe avere un page fault durante l'esecuzione della stessa, con +conseguente rallentamento (probabilmente inaccettabile) dei tempi di +esecuzione. + +In genere si ovvia a questa problematica chiamando una funzione che ha +allocato una quantità sufficientemente ampia di variabili automatiche, in modo +che esse vengano mappate in RAM dallo stack, dopo di che, per essere sicuri +che esse siano state effettivamente portate in memoria, ci si scrive sopra. + + + +\section{Parametri, opzioni ed ambiente di un processo} +\label{sec:proc_options} + +Tutti i programmi hanno la possibilità di ricevere parametri e opzioni quando +vengono lanciati. Il passaggio dei parametri è effettuato attraverso gli +argomenti \var{argc} e \var{argv} della funzione \func{main}, che vengono +passati al programma dalla shell (o dal processo che esegue la \func{exec}, +secondo le modalità che vedremo in \secref{sec:proc_exec}) quando questo viene +messo in esecuzione. + +Oltre al passaggio dei parametri, un'altra modalità che permette di passare +delle informazioni che modifichino il comportamento di un programma è quello +dell'uso del cosiddetto \textit{environment} (cioè l'uso delle +\textsl{variabili di ambiente}). In questa sezione esamineremo le funzioni che +permettono di gestire parametri ed opzioni, e quelle che consentono di +manipolare ed utilizzare le variabili di ambiente. + + +\subsection{Il formato dei parametri} +\label{sec:proc_par_format} +In genere passaggio dei parametri al programma viene effettuato dalla shell, +che si incarica di leggere la linea di comando e di effettuarne la scansione +(il cosiddetto \textit{parsing}) per individuare le parole che la compongono, +ciascuna delle quali viene considerata un parametro. Di norma per individuare +le parole viene usato come carattere di separazione lo spazio o il tabulatore, +ma il comportamento è modificabile attraverso l'impostazione della variabile +di ambiente \cmd{IFS}. + +\begin{figure}[htb] + \centering + \includegraphics[width=11cm]{img/argv_argc} + \caption{Esempio dei valori di \var{argv} e \var{argc} generati nella + scansione di una riga di comando.} + \label{fig:proc_argv_argc} +\end{figure} + +Nella scansione viene costruito il vettore di puntatori \var{argv} inserendo +in successione il puntatore alla stringa costituente l'$n$-simo parametro; la +variabile \var{argc} viene inizializzata al numero di parametri trovati, in +questo modo il primo parametro è sempre il nome del programma; un esempio di +questo meccanismo è mostrato in \figref{fig:proc_argv_argc}. + + +\subsection{La gestione delle opzioni} +\label{sec:proc_opt_handling} + +In generale un programma Unix riceve da linea di comando sia gli argomenti che +le opzioni, queste ultime sono standardizzate per essere riconosciute come +tali: un elemento di \var{argv} che inizia con il carattere \texttt{'-'} e che +non sia un singolo \texttt{'-'} o un \texttt{'--'} viene considerato +un'opzione. In genere le opzioni sono costituite da una lettera singola +(preceduta dal carattere \cmd{'-'}) e possono avere o no un parametro +associato; un comando tipico può essere quello mostrato in +\figref{fig:proc_argv_argc}. In quel caso le opzioni sono \cmd{-r} e \cmd{-m} +e la prima vuole un parametro mentre la seconda no (\cmd{questofile.txt} è un +argomento del programma, non un parametro di \cmd{-m}). + +Per gestire le opzioni all'interno dei argomenti a linea di comando passati in +\var{argv} le librerie standard del C forniscono la funzione \func{getopt} +che ha il seguente prototipo: +\begin{prototype}{unistd.h} +{int getopt(int argc, char *const argv[], const char *optstring)} +Esegue il parsing degli argomenti passati da linea di comando +riconoscendo le possibili opzioni segnalate con \var{optstring}. + +\bodydesc{Ritorna il carattere che segue l'opzione, \cmd{':'} se manca un + parametro all'opzione, \cmd{'?'} se l'opzione è sconosciuta, e -1 se non + esistono altre opzioni.} +\end{prototype} + +Questa funzione prende come argomenti le due variabili \var{argc} e \var{argv} +passate a \func{main} ed una stringa che indica quali sono le opzioni valide; +la funzione effettua la scansione della lista degli argomenti ricercando ogni +stringa che comincia con \cmd{-} e ritorna ogni volta che trova un'opzione +valida. + +La stringa \var{optstring} indica quali sono le opzioni riconosciute ed è +costituita da tutti i caratteri usati per identificare le singole opzioni, se +l'opzione ha un parametro al carattere deve essere fatto seguire un segno di +due punti \texttt{':'}; nel caso di \figref{fig:proc_argv_argc} ad esempio la +stringa di opzioni avrebbe dovuto contenere \texttt{"r:m"}. + +La modalità di uso di \func{getopt} è pertanto quella di chiamare più volte la +funzione all'interno di un ciclo, fintanto che essa non ritorna il valore -1 +che indica che non ci sono più opzioni. Nel caso si incontri un'opzione non +dichiarata in \var{optstring} viene ritornato il carattere \texttt{'?'} +mentre se un opzione che lo richiede non è seguita da un parametro viene +ritornato il carattere \texttt{':'}, infine se viene incontrato il valore +\texttt{'--'} la scansione viene considerata conclusa, anche se vi sono altri +elementi di \var{argv} che cominciano con il carattere \texttt{'-'}. + +\begin{figure}[htb] + \footnotesize + \begin{lstlisting}{} + opterr = 0; /* don't want writing to stderr */ + while ( (i = getopt(argc, argv, "hp:c:e:")) != -1) { + switch (i) { + /* + * Handling options + */ + case 'h': /* help option */ + printf("Wrong -h option use\n"); + usage(); + return -1; + break; + case 'c': /* take wait time for childen */ + wait_child = strtol(optarg, NULL, 10); /* convert input */ + break; + case 'p': /* take wait time for childen */ + wait_parent = strtol(optarg, NULL, 10); /* convert input */ + break; + case 'e': /* take wait before parent exit */ + wait_end = strtol(optarg, NULL, 10); /* convert input */ + break; + case '?': /* unrecognized options */ + printf("Unrecognized options -%c\n",optopt); + usage(); + default: /* should not reached */ + usage(); + } + } + debug("Optind %d, argc %d\n",optind,argc); + \end{lstlisting} + \caption{Esempio di codice per la gestione delle opzioni.} + \label{fig:proc_options_code} +\end{figure} + +Quando la funzione trova un'opzione essa ritorna il valore numerico del +carattere, in questo modo si possono eseguire azioni specifiche usando uno +\code{switch}; \func{getopt} inoltre inizializza alcune variabili globali: +\begin{itemize*} +\item \var{char *optarg} contiene il puntatore alla stringa parametro + dell'opzione. +\item \var{int optind} alla fine della scansione restituisce l'indice del + primo elemento di \var{argv} che non è un'opzione. +\item \var{int opterr} previene, se posto a zero, la stampa di un messaggio + di errore in caso di riconoscimento di opzioni non definite. +\item \var{int optopt} contiene il carattere dell'opzione non riconosciuta. +\end{itemize*} + +In \figref{fig:proc_options_code} è mostrata la sezione del programma +\file{ForkTest.c} (che useremo nel prossimo capitolo per effettuare dei test +sulla creazione dei processi) deputata alla decodifica delle opzioni a riga di +comando. + +Si può notare che si è anzitutto (\texttt{\small 1}) disabilitata la stampa di +messaggi di errore per opzioni non riconosciute, per poi passare al ciclo per +la verifica delle opzioni (\texttt{\small 2-27}); per ciascuna delle opzioni +possibili si è poi provveduto ad un'azione opportuna, ad esempio per le tre +opzioni che prevedono un parametro si è effettuata la decodifica del medesimo +(il cui indirizzo è contenuto nella variabile \var{optarg}) avvalorando la +relativa variabile (\texttt{\small 12-14}, \texttt{\small 15-17} e +\texttt{\small 18-20}). Completato il ciclo troveremo in \var{optind} l'indice +in \var{argv[]} del primo degli argomenti rimanenti nella linea di comando. + +Normalmente \func{getopt} compie una permutazione degli elementi di \var{argv} +cosicché alla fine della scansione gli elementi che non sono opzioni sono +spostati in coda al vettore. Oltre a questa esistono altre due modalità di +gestire gli elementi di \var{argv}; se \var{optstring} inizia con il carattere +\texttt{'+'} (o è impostata la variabile di ambiente \macro{POSIXLY\_CORRECT}) +la scansione viene fermata non appena si incontra un elemento che non è +un'opzione. L'ultima modalità, usata quando un programma può gestire la +mescolanza fra opzioni e argomenti, ma se li aspetta in un ordine definito, si +attiva quando \var{optstring} inizia con il carattere \texttt{'-'}. In questo +caso ogni elemento che non è un'opzione viene considerato comunque un'opzione +e associato ad un valore di ritorno pari ad 1, questo permette di identificare +gli elementi che non sono opzioni, ma non effettua il riordinamento del +vettore \var{argv}. + + +\subsection{Opzioni in formato esteso} +\label{sec:proc_opt_extended} + +Un'estensione di questo schema è costituito dalle cosiddette +\textit{long-options} espresse nella forma \cmd{--option=parameter}, anche la +gestione di queste ultime è stata standardizzata attraverso l'uso di una +versione estesa di \func{getopt}. + +(NdA: da finire). + + +\subsection{Le variabili di ambiente} +\label{sec:proc_environ} + +Oltre agli argomenti passati a linea di comando ogni processo riceve dal +sistema un \textsl{ambiente}, nella forma di una lista di variabili (detta +\textit{environment list}) messa a disposizione dal processo, e costruita +nella chiamata alla funzione \func{exec} quando questo viene lanciato. + +Come per la lista dei parametri anche questa lista è un array di puntatori a +caratteri, ciascuno dei quali punta ad una stringa, terminata da un +\macro{NULL}. A differenza di \var{argv[]} in questo caso non si ha una +lunghezza dell'array data da un equivalente di \var{argc}, ma la lista è +terminata da un puntatore nullo. + +L'indirizzo della lista delle variabili di ambiente è passato attraverso la +variabile globale \var{environ}, a cui si può accedere attraverso una semplice +dichiarazione del tipo: +\begin{lstlisting}[labelstep=0,frame=,indent=1cm]{} +extern char ** environ; +\end{lstlisting} +un esempio della struttura di questa lista, contenente alcune delle variabili +più comuni che normalmente sono definite dal sistema, è riportato in +\figref{fig:proc_envirno_list}. +\begin{figure}[htb] + \centering + \includegraphics[width=11cm]{img/environ_var} + \caption{Esempio di lista delle variabili di ambiente.} + \label{fig:proc_envirno_list} +\end{figure} + +Per convenzione le stringhe che definiscono l'ambiente sono tutte del tipo +\textsl{\texttt{nome=valore}}. Inoltre alcune variabili, come quelle elencate +in \figref{fig:proc_envirno_list}, sono definite dal sistema per essere usate +da diversi programmi e funzioni: per queste c'è l'ulteriore convenzione di +usare nomi espressi in caratteri maiuscoli. + +Il kernel non usa mai queste variabili, il loro uso e la loro interpretazione è +riservata alle applicazioni e ad alcune funzioni di libreria; in genere esse +costituiscono un modo comodo per definire un comportamento specifico senza +dover ricorrere all'uso di opzioni a linea di comando o di file di +configurazione. + +La shell ad esempio ne usa molte per il suo funzionamento (come \var{PATH} per +la ricerca dei comandi, o \cmd{IFS} per la scansione degli argomenti), e +alcune di esse (come \var{HOME}, \var{USER}, etc.) sono definite al login (per +i dettagli si veda \secref{sec:sess_login}). In genere è cura +dell'amministratore definire le opportune variabili di ambiente in uno script +di avvio. Alcune servono poi come riferimento generico per molti programmi +(come \var{EDITOR} che indica l'editor preferito da invocare in caso di +necessità). + +Gli standard POSIX e XPG3 definiscono alcune di queste variabili (le più +comuni), come riportato in \tabref{tab:proc_env_var}. GNU/Linux le supporta +tutte e ne definisce anche altre: per una lista più completa si può +controllare \cmd{man environ}. + +\begin{table}[htb] + \centering + \footnotesize + \begin{tabular}[c]{|l|c|c|c|p{7cm}|} + \hline + \textbf{Variabile} & \textbf{POSIX} & \textbf{XPG3} + & \textbf{Linux} & \textbf{Descrizione} \\ + \hline + \hline + \macro{USER} & $\bullet$ & $\bullet$ & $\bullet$ & Nome utente\\ + \macro{LOGNAME} & $\bullet$ & $\bullet$ & $\bullet$ & Nome di login\\ + \macro{HOME} & $\bullet$ & $\bullet$ & $\bullet$ & + Directory base dell'utente\\ + \macro{LANG} & $\bullet$ & $\bullet$ & $\bullet$ & Localizzazione\\ + \macro{PATH} & $\bullet$ & $\bullet$ & $\bullet$ & Elenco delle directory + dei programmi\\ + \macro{PWD} & $\bullet$ & $\bullet$ & $\bullet$ & Directory corrente\\ + \macro{SHELL} & $\bullet$ & $\bullet$ & $\bullet$ & Shell in uso\\ + \macro{TERM} & $\bullet$ & $\bullet$ & $\bullet$ & Tipo di terminale\\ + \macro{PAGER} & $\bullet$ & $\bullet$ & $\bullet$ & Programma per vedere i + testi\\ + \macro{EDITOR} & $\bullet$ & $\bullet$ & $\bullet$ & Editor preferito\\ + \macro{BROWSER} & $\bullet$ & $\bullet$ & $\bullet$ & Browser preferito\\ + \hline + \end{tabular} + \caption{Variabili di ambiente più comuni definite da vari standard.} + \label{tab:proc_env_var} +\end{table} + +Lo standard ANSI C prevede l'esistenza di un ambiente, pur non entrando nelle +specifiche di come sono strutturati i contenuti, e definisce la funzione +\func{getenv} che permette di ottenere i valori delle variabili di ambiente, +il cui prototipo è: +\begin{prototype}{stdlib.h}{char *getenv(const char *name)} + Esamina l'ambiente del processo cercando una stringa che corrisponda a + quella specificata da \param{name}. + + \bodydesc{La funzione ritorna \macro{NULL} se non trova nulla, o il + puntatore alla stringa che corrisponde (di solito nella forma + \cmd{NOME=valore}).} +\end{prototype} + +Oltre a questa funzione di lettura, che è l'unica definita dallo standard ANSI +C, nell'evoluzione dei sistemi Unix ne sono state proposte altre, da +utilizzare per impostare e per cancellare le variabili di ambiente. Uno schema +delle funzioni previste nei vari standard e disponibili in Linux è riportato +in \tabref{tab:proc_env_func}. + +\begin{table}[htb] + \centering + \footnotesize + \begin{tabular}[c]{|l|c|c|c|c|c|c|} + \hline + \textbf{Funzione} & \textbf{ANSI C} & \textbf{POSIX.1} & \textbf{XPG3} & + \textbf{SVr4} & \textbf{BSD} & \textbf{Linux} \\ + \hline + \hline + \func{getenv} & $\bullet$ & $\bullet$ & $\bullet$ & + $\bullet$ & $\bullet$ & $\bullet$ \\ + \func{setenv} & & & & + & $\bullet$ & $\bullet$ \\ + \func{unsetenv} & & & & + & $\bullet$ & $\bullet$ \\ + \func{putenv} & & opz. & $\bullet$ & + & $\bullet$ & $\bullet$ \\ + \func{clearenv} & & opz. & & + & & \\ + \hline + \end{tabular} + \caption{Funzioni per la gestione delle variabili di ambiente.} + \label{tab:proc_env_func} +\end{table} + +In Linux solo le prime quattro funzioni di \tabref{tab:proc_env_func} sono +definite, \func{getenv} l'abbiamo già esaminata; delle tre restanti le prime +due, \func{putenv} e \func{setenv}, servono per assegnare nuove variabili di +ambiente, i loro prototipi sono i seguenti: +\begin{functions} + \headdecl{stdlib.h} + + \funcdecl{int setenv(const char *name, const char *value, int overwrite)} + Imposta la variabile di ambiente \param{name} al valore \param{value}. + + \funcdecl{int putenv(char *string)} Aggiunge la stringa \param{string} + all'ambiente. + + \bodydesc{Entrambe le funzioni ritornano 0 in caso di successo e -1 per un + errore, che è sempre \macro{ENOMEM}.} +\end{functions} +\noindent la terza, \func{unsetenv}, serve a cancellare una variabile di +ambiente; il suo prototipo è: +\begin{functions} + \headdecl{stdlib.h} + + \funcdecl{void unsetenv(const char *name)} Rimuove la variabile di ambiente + \param{name}. +\end{functions} +\noindent questa funzione elimina ogni occorrenza della variabile specificata; +se essa non esiste non succede nulla. Non è prevista (dato che la funzione è +\ctyp{void}) nessuna segnalazione di errore. + +Per modificare o aggiungere una variabile di ambiente si possono usare sia +\func{setenv} che \func{putenv}. La prima permette di specificare +separatamente nome e valore della variabile di ambiente, inoltre il valore di +\param{overwrite} specifica il comportamento della funzione nel caso la +variabile esista già, sovrascrivendola se diverso da zero, lasciandola +immutata se uguale a zero. + +La seconda funzione prende come parametro una stringa analoga quella +restituita da \func{getenv}, e sempre nella forma \var{NOME=valore}. Se la +variabile specificata non esiste la stringa sarà aggiunta all'ambiente, se +invece esiste il suo valore sarà impostato a quello specificato da +\param{string}. Si tenga presente che, seguendo lo standard SUSv2, le +\acr{glibc} successive alla versione 2.1.2 aggiungono\footnote{il + comportamento è lo stesso delle vecchie \acr{libc4} e \acr{libc5}; nelle + \acr{glibc}, dalla versione 2.0 alla 2.1.1, veniva invece fatta una copia, + seguendo il comportamento di BSD4.4; dato che questo può dar luogo a perdite + di memoria e non rispetta lo standard. Il comportamento è stato modificato a + partire dalle 2.1.2, eliminando anche, sempre in conformità a SUSv2, + l'attributo \ctyp{const} dal prototipo.} \param{string} alla lista delle +variabili di ambiente; pertanto ogni cambiamento alla stringa in questione si +riflette automaticamente sull'ambiente, e quindi si deve evitare di passare a +questa funzione una variabile automatica (per evitare i problemi esposti in +\secref{sec:proc_auto_var}). + +Si tenga infine presente che se si passa a \func{putenv} solo il nome di una +variabile (cioè \param{string} è nella forma \texttt{NAME} e non contiene un +carattere \texttt{'='}) allora questa viene cancellata dall'ambiente. Infine +se la chiamata di \func{putenv} comporta la necessità di allocare una nuova +versione del vettore \var{environ} questo sarà allocato, ma la versione +corrente sarà deallocata solo se anch'essa è risultante da un'allocazione +fatta in precedenza da un'altra \func{putenv}. Questo perché il vettore delle +variabili di ambiente iniziale, creato dalla chiamata ad \func{exec} (vedi +\secref{sec:proc_exec}) è piazzato al di sopra dello stack, (vedi +\figref{fig:proc_mem_layout}) e non nello heap e non può essere deallocato. +Inoltre la memoria associata alle variabili di ambiente eliminate non viene +liberata. + + +\section{Problematiche di programmazione generica} +\label{sec:proc_gen_prog} + +Benché questo non sia un libro di C, è opportuno affrontare alcune delle +problematiche generali che possono emergere nella programmazione e di quali +precauzioni o accorgimenti occorre prendere per risolverle. Queste +problematiche non sono specifiche di sistemi unix-like o multitasking, ma +avendo trattato in questo capitolo il comportamento dei processi visti come +entità a sé stanti, le riportiamo qui. + + +\subsection{Il passaggio delle variabili e dei valori di ritorno} +\label{sec:proc_var_passing} + +Una delle caratteristiche standard del C è che le variabili vengono passate +alle subroutine attraverso un meccanismo che viene chiamato \textit{by value} +(diverso ad esempio da quanto avviene con il Fortran, dove le variabili sono +passate, come suol dirsi, \textit{by reference}, o dal C++ dove la modalità +del passaggio può essere controllata con l'operatore \cmd{\&}). + +Il passaggio di una variabile \textit{by value} significa che in realtà quello +che viene passato alla subroutine è una copia del valore attuale di quella +variabile, copia che la subroutine potrà modificare a piacere, senza che il +valore originale nella routine chiamante venga toccato. In questo modo non +occorre preoccuparsi di eventuali effetti delle operazioni della subroutine +sulla variabile passata come parametro. + +Questo però va inteso nella maniera corretta. Il passaggio \textit{by value} +vale per qualunque variabile, puntatori compresi; quando però in una +subroutine si usano dei puntatori (ad esempio per scrivere in un buffer) in +realtà si va a modificare la zona di memoria a cui essi puntano, per cui anche +se i puntatori sono copie, i dati a cui essi puntano sono sempre gli stessi, e +le eventuali modifiche avranno effetto e saranno visibili anche nella routine +chiamante. + +Nella maggior parte delle funzioni di libreria e delle system call i puntatori +vengono usati per scambiare dati (attraverso buffer o strutture) e le +variabili semplici vengono usate per specificare parametri; in genere le +informazioni a riguardo dei risultati vengono passate alla routine chiamante +attraverso il valore di ritorno. È buona norma seguire questa pratica anche +nella programmazione normale. + +Talvolta però è necessario che la funzione possa restituire indietro alla +funzione chiamante un valore relativo ad uno dei suoi parametri. Per far +questo si usa il cosiddetto \textit{value result argument}, si passa cioè, +invece di una normale variabile, un puntatore alla stessa; vedremo alcuni +esempi di questa modalità nelle funzioni che gestiscono i socket (in +\secref{sec:TCPel_functions}), in cui, per permettere al kernel di restituire +informazioni sulle dimensioni delle strutture degli indirizzi utilizzate, +viene usato questo meccanismo. + + +\subsection{Il passaggio di un numero variabile di argomenti} +\label{sec:proc_variadic} + +Come vedremo nei capitoli successivi, non sempre è possibile specificare un +numero fisso di parametri per una funzione. Lo standard ISO C prevede nella +sua sintassi la possibilità di definire delle \textit{variadic function} che +abbiano un numero variabile di argomenti, attraverso l'uso della +\textit{ellipsis} \var{...} nella dichiarazione della funzione; ma non +provvede a livello di linguaggio alcun meccanismo con cui dette funzioni +possono accedere ai loro argomenti. + +L'accesso viene invece realizzato dalle librerie standard che provvedono gli +strumenti adeguati. L'uso delle \textit{variadic function} prevede tre punti: +\begin{itemize*} +\item \textsl{Dichiarare} la funzione come \textit{variadic} usando un + prototipo che contenga una \textit{ellipsis}. +\item \textsl{Definire} la funzione come \textit{variadic} usando lo stesso + \textit{ellipsis}, ed utilizzare le apposite macro che consentono la + gestione di un numero variabile di argomenti. +\item \textsl{Chiamare} la funzione specificando prima gli argomenti fissi, e + a seguire gli addizionali. +\end{itemize*} + +Lo standard ISO C prevede che una \textit{variadic function} abbia sempre +almeno un argomento fisso; prima di effettuare la dichiarazione deve essere +incluso l'apposito header file \file{stdarg.h}; un esempio di dichiarazione è +il prototipo della funzione \func{execl} che vedremo in +\secref{sec:proc_exec}: +\begin{lstlisting}[labelstep=0,frame=,indent=1cm]{} + int execl(const char *path, const char *arg, ...); +\end{lstlisting} +in questo caso la funzione prende due parametri fissi ed un numero variabile +di altri parametri (che verranno a costituire gli elementi successivi al primo +del vettore \var{argv} passato al nuovo processo). Lo standard ISO C richiede +inoltre che l'ultimo degli argomenti fissi sia di tipo +\textit{self-promoting}\footnote{il linguaggio C prevede che quando si + mescolano vari tipi di dati, alcuni di essi possano essere \textsl{promossi} + per compatibilità; ad esempio i tipi \ctyp{float} vengono convertiti + automaticamente a \ctyp{double} ed i \ctyp{char} e gli \ctyp{short} ad + \ctyp{int}. Un tipo \textit{self-promoting} è un tipo che verrebbe promosso + a sé stesso.} il che esclude array, puntatori a funzioni e interi di tipo +\ctyp{char} o \ctyp{short} (con segno o meno). Una restrizione ulteriore di +alcuni compilatori è di non dichiarare l'ultimo parametro fisso come +\ctyp{register}. + +Una volta dichiarata la funzione il secondo passo è accedere ai vari parametri +quando la si va a definire. I parametri fissi infatti hanno un loro nome, ma +quelli variabili vengono indicati in maniera generica dalla ellipsis. + +L'unica modalità in cui essi possono essere recuperati è pertanto quella +sequenziale; essi verranno estratti dallo stack secondo l'ordine in cui sono +stati scritti. Per fare questo in \file{stdarg.h} sono definite delle apposite +macro; la procedura da seguire è la seguente: +\begin{enumerate*} +\item Inizializzare un puntatore alla lista degli argomenti di tipo + \type{va\_list} attraverso la macro \macro{va\_start}. +\item Accedere ai vari argomenti opzionali con chiamate successive alla macro + \macro{va\_arg}, la prima chiamata restituirà il primo argomento, la seconda + il secondo e così via. +\item Dichiarare la conclusione dell'estrazione dei parametri invocando la + macro \macro{va\_end}. +\end{enumerate*} +in generale è perfettamente legittimo richiedere meno argomenti di quelli che +potrebbero essere stati effettivamente forniti, e nella esecuzione delle +\macro{va\_arg} ci si può fermare in qualunque momento ed i restanti argomenti +saranno ignorati; se invece si richiedono più argomenti di quelli forniti si +otterranno dei valori indefiniti. Nel caso del \cmd{gcc} l'uso della macro +\macro{va\_end} è inutile, ma si consiglia di usarlo ugualmente per +compatibilità. + +Le definizioni delle tre macro sono le seguenti: +\begin{functions} + \headdecl{stdarg.h} + + \funcdecl{void va\_start(va\_list ap, last)} Inizializza il puntatore alla + lista di argomenti \param{ap}; il parametro \param{last} \emph{deve} essere + l'ultimo dei parametri fissi. + + \funcdecl{type va\_arg(va\_list ap, type)} Restituisce il valore del + successivo parametro opzionale, modificando opportunamente \param{ap}; la + macro richiede che si specifichi il tipo dell'argomento attraverso il + parametro \param{type} che deve essere il nome del tipo dell'argomento in + questione. Il tipo deve essere \textit{self-promoting}. + + \funcdecl{void va\_end(va\_list ap)} Conclude l'uso di \param{ap}. +\end{functions} + +In generale si possono avere più puntatori alla lista degli argomenti, +ciascuno andrà inizializzato con \macro{va\_start} e letto con \macro{va\_arg} +e ciascuno potrà scandire la lista degli argomenti per conto suo. + +Dopo l'uso di \macro{va\_end} la variabile \var{ap} diventa indefinita e +successive chiamate a \macro{va\_arg} non funzioneranno. Si avranno risultati +indefiniti anche chiamando \macro{va\_arg} specificando un tipo che non +corrisponde a quello del parametro. + +Un altro limite delle macro è che i passi 1) e 3) devono essere eseguiti nel +corpo principale della funzione, il passo 2) invece può essere eseguito anche +in una subroutine passandole il puntatore alla lista di argomenti; in questo +caso però si richiede che al ritorno della funzione il puntatore non venga più +usato (lo standard richiederebbe la chiamata esplicita di \macro{va\_end}), +dato che il valore di \var{ap} risulterebbe indefinito. + +Esistono dei casi in cui è necessario eseguire più volte la scansione dei +parametri e poter memorizzare una posizione durante la stessa. La cosa più +naturale in questo caso sembrerebbe quella di copiarsi il puntatore alla lista +degli argomenti con una semplice assegnazione. Dato che una delle +realizzazioni più comuni di \macro{va\_list} è quella di un puntatore nello +stack all'indirizzo dove sono stati salvati i parametri, è assolutamente +normale pensare di poter effettuare questa operazione. + +In generale però possono esistere anche realizzazioni diverse, per questo +motivo \macro{va\_list} è definito come \textsl{tipo opaco} e non può essere +assegnato direttamente ad un'altra variabile dello stesso tipo. Per risolvere +questo problema lo standard ISO C99\footnote{alcuni sistemi che non hanno + questa macro provvedono al suo posto \macro{\_\_va\_copy} che era il nome + proposto in una bozza dello standard.} ha previsto una macro ulteriore che +permette di eseguire la copia di un puntatore alla lista degli argomenti: +\begin{prototype}{stdarg.h}{void va\_copy(va\_list dest, va\_list src)} + Copia l'attuale valore \param{src} del puntatore alla lista degli argomenti + su \param{dest}. +\end{prototype} +\noindent anche in questo caso è buona norma chiudere ogni esecuzione di una +\macro{va\_copy} con una corrispondente \macro{va\_end} sul nuovo puntatore +alla lista degli argomenti. + +La chiamata di una funzione con un numero variabile di argomenti, posto che la +si sia dichiarata e definita come tale, non prevede nulla di particolare; +l'invocazione è identica alle altre, con i parametri, sia quelli fissi che +quelli opzionali, separati da virgole. Quello che però è necessario tenere +presente è come verranno convertiti gli argomenti variabili. + +In Linux gli argomenti dello stesso tipo sono passati allo stesso modo, sia +che siano fissi sia che siano opzionali (alcuni sistemi trattano diversamente +gli opzionali), ma dato che il prototipo non può specificare il tipo degli +argomenti opzionali, questi verranno sempre promossi, pertanto nella ricezione +dei medesimi occorrerà tenerne conto (ad esempio un \ctyp{char} verrà visto da +\macro{va\_arg} come \ctyp{int}). + +Uno dei problemi che si devono affrontare con le funzioni con un numero +variabile di argomenti è che non esiste un modo generico che permetta di +stabilire quanti sono i parametri passati effettivamente in una chiamata. + +Esistono varie modalità per affrontare questo problema; una delle più +immediate è quella di specificare il numero degli argomenti opzionali come uno +degli argomenti fissi. Una variazione di questo metodo è l'uso di un parametro +per specificare anche il tipo degli argomenti (come fa la stringa di formato +per \func{printf}). + +Una modalità diversa, che può essere applicata solo quando il tipo dei +parametri lo rende possibile, è quella che prevede di usare un valore speciale +come ultimo argomento (come fa ad esempio \func{execl} che usa un puntatore +\macro{NULL} per indicare la fine della lista degli argomenti). + + +\subsection{Potenziali problemi con le variabili automatiche} +\label{sec:proc_auto_var} + +Uno dei possibili problemi che si possono avere con le subroutine è quello di +restituire alla funzione chiamante dei dati che sono contenuti in una +variabile automatica. Ovviamente quando la subroutine ritorna la sezione +dello stack che conteneva la variabile automatica potrà essere riutilizzata da +una nuova funzione, con le immaginabili conseguenze di sovrapposizione e +sovrascrittura dei dati. + +Per questo una delle regole fondamentali della programmazione in C è che +all'uscita di una funzione non deve restare nessun riferimento alle variabili +locali; qualora sia necessario utilizzare variabili che possano essere viste +anche dalla funzione chiamante queste devono essere allocate esplicitamente, o +in maniera statica (usando variabili di tipo \ctyp{static} o \ctyp{extern}), o +dinamicamente con una delle funzioni della famiglia \func{malloc}. + + +\subsection{Il controllo di flusso non locale} +\label{sec:proc_longjmp} + +Il controllo del flusso di un programma in genere viene effettuato con le +varie istruzioni del linguaggio C; fra queste la più bistrattata è il +\code{goto}, che viene deprecato in favore dei costrutti della programmazione +strutturata, che rendono il codice più leggibile e mantenibile . Esiste però +un caso in cui l'uso di questa istruzione porta all'implementazione più +efficiente e chiara anche dal punto di vista della struttura del programma: +quello dell'uscita in caso di errore. + +Il C però non consente di effettuare un salto ad una label definita in +un'altra funzione, per cui se l'errore avviene in una funzione e la sua +gestione ordinaria è in un'altra occorre usare quello che viene chiamato un +\textsl{salto non-locale}. Il caso classico in cui si ha questa necessità, +citato sia da \cite{APUE} che da da \cite{glibc}, è quello di un programma nel +cui corpo principale in cui viene letto un input del quale viene eseguita, +attraverso una serie di funzioni di analisi, una scansione dei contenuti da cui +ottenere le indicazioni per l'esecuzione di opportune operazioni. + +Dato che l'analisi può risultare molto complessa, ed opportunamente suddivisa +in fasi diverse, la rilevazione di un errore nell'input può accadere +all'interno di funzioni profondamente annidate l'una nell'altra. In questo +caso si dovrebbe gestire, per ciascuna fase, tutta la casistica del passaggio +all'indietro di tutti gli errori rilevabili dalle funzioni usate nelle fasi +successive, mentre sarebbe molto più comodo poter tornare direttamente al +ciclo di lettura principale, scartando l'input come errato.\footnote{a meno + che, come precisa \cite{glibc}, alla chiusura di ciascuna fase non siano + associate operazioni di pulizia specifiche (come deallocazioni, chiusure di + file, ecc.), che non potrebbero essere eseguite con un salto non-locale.} + +Tutto ciò può essere realizzato salvando il contesto dello stack nel punto in +cui si vuole tornare in caso di errore, e ripristinandolo quando l'occorrenza +capita. La funzione che permette di salvare il contesto dello stack è +\func{setjmp}, il cui prototipo è: +\begin{functions} + \headdecl{setjmp.h} + \funcdecl{void setjmp(jmp\_buf env)} + + Salva il contesto dello stack in \param{env} per un successivo uso da parte + di \func{longjmp}. + + \bodydesc{La funzione ritorna zero quando è chiamata direttamente e un + valore diverso da zero quando ritorna da una chiamata di \func{longjmp} + che usa il contesto salvato in precedenza.} +\end{functions} + +Quando si esegue la funzione il contesto viene salvato in appositi oggetti (di +tipo \type{jmp\_buf}), passati come primo argomento alla funzione, in genere +questi vengono definiti come variabili globali in modo da poter essere visti +in tutte le funzioni del programma. + +Quando viene eseguita direttamente la funzione ritorna sempre zero, un valore +diverso da zero viene restituito solo quando il ritorno è dovuto ad una +chiamata di \func{longjmp} in un'altra parte del programma. Si tenga conto che +il contesto salvato in \param{env} viene invalidato se la routine che ha +chiamato \func{setjmp} ritorna, nel qual caso l'uso di \func{longjmp} può +comportare conseguenze imprevedibili (e di norma fatali per il processo). + +Come accennato per effettuare un salto non-locale ad un punto precedentemente +stabilito con \func{setjmp} si usa la funzione \func{longjmp}; il suo +prototipo è: +\begin{functions} + \headdecl{setjmp.h} + \funcdecl{void longjmp(jmp\_buf env, int val)} + + Ripristina il contesto dello stack salvato nell'ultima chiamata di + \func{setjmp} con l'argomento \param{env}. + + \bodydesc{La funzione non ritorna.} +\end{functions} + +Dopo l'esecuzione della funzione programma prosegue dal codice successivo al +ritorno della \func{setjmp} con cui si era salvato \param{env}, che restituirà +il valore \param{val} invece di zero. Il valore di \param{val} specificato +nella chiamata deve essere diverso da zero, se si è specificato 0 sarà +comunque restituito 1 al suo posto. + +In sostanza un \func{longjmp} è analogo ad un \code{return}, solo che invece +di ritornare alla riga successiva della funzione chiamante, il programma +ritorna alla posizione della relativa \func{setjmp}, ed il ritorno può essere +effettuato anche attraverso diversi livelli di funzioni annidate. + +L'implementazione di queste funzioni comporta alcune restrizioni dato che esse +interagiscono direttamente con la gestione dello stack ed il funzionamento del +compilatore stesso. In particolare \func{setjmp} è implementata con una macro, +pertanto non si può cercare di ottenerne l'indirizzo, ed inoltre delle +chiamate a questa funzione sono sicure solo in uno dei seguenti casi: +\begin{itemize} +\item come espressione di controllo in un comando condizionale, di selezione + o di iterazione (come \code{if}, \code{switch} o \code{while}). +\item come operando per un operatore di uguaglianza o confronto in una + espressione di controllo di un comando condizionale, di selezione o di + iterazione. +\item come operando per l'operatore di negazione (\code{!}) in una espressione + di controllo di un comando condizionale, di selezione o di iterazione. +\item come espressione a sé stante. +\end{itemize} +In generale, dato che l'unica differenza fra la chiamata diretta e quella +ottenuta da un \func{longjmp}, è il valore di ritorno di \func{setjmp}, essa è +usualmente chiamata all'interno di un comando \code{if}. +Uno dei punti critici dei salti non-locali è quello del valore delle +variabili, ed in particolare quello delle variabili automatiche della funzione +a cui si ritorna. In generale le variabili globali e statiche mantengono i +valori che avevano al momento della chiamata di \func{longjmp}, ma quelli +delle variabili automatiche (o di quelle dichiarate \code{register}) sono in +genere indeterminati. -\section{Il controllo di accesso} -\label{sec:process_perms} +Quello che succede infatti è che i valori delle variabili che sono tenute in +memoria manterranno il valore avuto al momento della chiamata di +\func{longjmp}, mentre quelli tenuti nei registri del processore (che nella +chiamata ad un'altra funzioni vengono salvati nel contesto nello stack) +torneranno al valore avuto al momento della chiamata di \func{setjmp}; per +questo quando si vuole avere un comportamento coerente si può bloccare +l'ottimizzazione che porta le variabili nei registri dichiarandole tutte come +\code{volatile}. -Va messo qui tutta la storia su effective, real, saved uid, e pure le cose di -linux come il filesystem uid. +%%% Local Variables: +%%% mode: latex +%%% TeX-master: "gapil" +%%% End: