X-Git-Url: https://gapil.gnulinux.it/gitweb/?p=gapil.git;a=blobdiff_plain;f=ipc.tex;h=ed2d49267e852aa29b90c8141c9bca17c9a69791;hp=53e51b96794fba1fef5518a80372a80e32c3f938;hb=47a55b7d6c9a34b283e91e6294ca5b7924ac5e7b;hpb=dab4fcffe459c15bf2a92a86ac7145200fe19318 diff --git a/ipc.tex b/ipc.tex index 53e51b9..ed2d492 100644 --- a/ipc.tex +++ b/ipc.tex @@ -584,8 +584,8 @@ molti altri devono poter leggere non pu Per questo nello sviluppo di System V vennero introdotti una serie di nuovi oggetti per la comunicazione fra processi ed una nuova interfaccia di programmazione, che fossero in grado di garantire una maggiore flessibilità. -In questa sezione esamineremo quello che viene ormai chiamato il -\textsl{Sistema di comunicazione inter-processo} di System V, o +In questa sezione esamineremo come Linux supporta quello che viene ormai +chiamato il \textsl{Sistema di comunicazione inter-processo} di System V, o \textit{System V IPC (Inter-Process Comunication)}. @@ -597,31 +597,33 @@ La principale caratteristica del sistema di IPC di System V basato su oggetti permanenti che risiedono nel kernel. Questi, a differenza di quanto avviene per i file descriptor, non mantengono un contatore dei riferimenti, e non vengono cancellati dal sistema una volta che non sono più -in uso. Questo comporta che, al contrario di quanto avviene per pipe e fifo, -la memoria allocata per questi oggetti non viene rilasciata automaticamente, -ed essi devono essere cancellati esplicitamente, altrimenti resteranno attivi -fino al riavvio del sistema. +in uso. + +Questo comporta due problemi: il primo è che, al contrario di quanto avviene +per pipe e fifo, la memoria allocata per questi oggetti non viene rilasciata +automaticamente quando nessuno li vuole più utilizzare, ed essi devono essere +cancellati esplicitamente, se non si vuole che restino attivi fino al riavvio +del sistema. Il secondo è che, dato che non c'è un contatore di riferimenti, +essi possono essere cancellati anche se ci sono dei processi che li stanno +utilizzando, con tutte le conseguenze (negative) del caso. Gli oggetti usati nel System V IPC vengono creati direttamente dal kernel, e sono accessibili solo specificando il relativo \textsl{identificatore}. Questo -è il numero progressivo che il kernel assengna a ciascuno di essi quanto -vengono creati (il prodedimento è simile a quello con cui si assegna il -\acr{pid} ai processi). L'identificatore viene restituito dalle funzioni che -creano l'oggetto, ed è quindi locale al processo che le ha eseguite. Dato che -l'identificatore viene assegnato dinamicamente dal kernel non è possibile -prevedere quale sarà, ne utilizzare un qualche valore statico, si pone perciò -il problema di come processi diversi possono accedere allo stesso oggetto. +è un numero progressivo (un po' come il \acr{pid} dei processi) che il kernel +assegna a ciascuno di essi quanto vengono creati (sul prodedimento di +assegnazione torneremo in \secref{sec:ipc_sysv_id_use}). L'identificatore +viene restituito dalle funzioni che creano l'oggetto, ed è quindi locale al +processo che le ha eseguite. Dato che l'identificatore viene assegnato +dinamicamente dal kernel non è possibile prevedere quale sarà, ne utilizzare +un qualche valore statico, si pone perciò il problema di come processi diversi +possono accedere allo stesso oggetto. Per risolvere il problema il kernel associa a ciascun oggetto una struttura \var{ipc\_perm}; questa contiene una \textsl{chiave}, identificata da una variabile del tipo primitivo \type{key\_t}, che viene specificata in fase di creazione e tramite la quale è possibile ricavare l'identificatore. La struttura, la cui definizione è riportata in \figref{fig:ipc_ipc_perm}, -contiene anche le varie proprietà associate all'oggetto, come gli -identificatori del creatore (\var{cuid} e \var{cgid}) e del proprietario -(\var{uid} e \var{gid}), e le modalità di accesso (\var{mode}) che ne -specifica i permessi, che sono analoghi a quelli usati per i file (vedi -\secref{sec:file_perm_overview}). +contiene anche le varie proprietà associate all'oggetto. \begin{figure}[!htb] \footnotesize \centering @@ -705,12 +707,217 @@ devono solo accedere, in quanto, a parte gli eventuali controlli sugli altri attributi di \var{ipc\_perm}, non esiste una modalità semplice per essere sicuri della validità di una certa chiave. -Questo è, insieme al fatto che gli oggetti sono permanenti e devono essere -cancellati esplicitamente, il principale problema del sistema di IPC di System -V. Non esiste infatti una modalità chiara per identificare un oggetto, come -sarebbe stato se lo si fosse associato ad in file, e tutta l'interfaccia è -inutilmente complessa. Per questo ne è stata effettuata una revisione -completa nello standard POSIX.1b, che tratteremo in \secref{sec:ipc_posix}. +Questo è, insieme al fatto che gli oggetti sono permanenti e non mantengono un +contatore di riferimenti per la cancellazione automatica, il principale +problema del sistema di IPC di System V. Non esiste infatti una modalità +chiara per identificare un oggetto, come sarebbe stato se lo si fosse +associato ad in file, e tutta l'interfaccia è inutilmente complessa. Per +questo ne è stata effettuata una revisione completa nello standard POSIX.1b, +che tratteremo in \secref{sec:ipc_posix}. + + +\subsection{Il controllo di accesso} +\label{sec:ipc_sysv_access_control} + +Oltre alle chiavi, abbiamo visto che ad ogni oggetto sono associate in +\var{ipc\_perm} ulteriori informazioni, come gli identificatori del creatore +(nei campi \var{cuid} e \var{cgid}) e del proprietario (nei campi \var{uid} e +\var{gid}) dello stesso, e un insieme di permessi (nel campo \var{mode}). In +questo modo è possibile definire un controllo di accesso sugli oggetti, simile +a quello che si ha per i file (vedi \secref{sec:file_perm_overview}). + +Benché il controllo di accesso relativo agli oggetti di intercomunicazione sia +molto simile a quello dei file, restano delle importanti differenze. La prima +è che il permesso di esecuzione non esiste (e viene ignorato), per cui si può +parlare solo di permessi di lettura e scrittura (nel caso dei semafori poi +quest'ultimo è più propriamente il permesso di modificarne lo stato). I valori +di \var{mode} sono gli stessi ed hanno lo stesso significato di quelli +riportati in \secref{tab:file_mode_flags}\footnote{se però si vogliono usare + le costanti simboliche ivi definite occorrerà includere il file + \file{sys/stat.h}, alcuni sistemi definiscono le costanti \macro{MSG\_R} + (\texttt{0400}) e \macro{MSG\_W} (\texttt{0200}) per indicare i permessi + base di lettura e scrittura per il proprietario, da utilizzare, con gli + opportuni shift, pure per il gruppo e gli altri, in Linux, visto la loro + scarsa utilità, queste costanti non sono definite.} e come per i file +definiscono gli accessi per il proprietario, il suo gruppo e tutti gli altri. + +Si tenga presente che per gli oggetti di IPC han senso solo i permessi di +lettura e scrittura, quelli di esecuzione vengono ignorati. Quando l'oggetto +viene creato i campi \var{cuid} e \var{uid} di \var{ipc\_perm} ed i campi +\var{cgid} e \var{gid} vengono settati rispettivamente al valore dell'userid e +del groupid effettivo del processo che ha chiamato la funzione, ma mentre i +campi \var{uid} e \var{gid} possono essere cambiati, \var{cuid} e \var{cgid} +restano sempre gli stessi. + +Il controllo di accesso è effettuato a due livelli. Il primo è nelle funzioni +che richiedono l'identificatore di un oggetto data la chiave, che specificano +tutte un argomento \param{flag}. In tal caso quando viene effettuata la +ricerca di una chiave, se \param{flag} specifica dei permessi, questi vengono +controllati e l'identificatore viene restituito solo se essi corrispondono a +quelli dell'oggetto. Se sono presenti dei permessi non presenti in \var{mode} +l'accesso sarà invece negato. Questo però è di utilità indicativa, dato che è +sempre possibile specificare un valore nullo per \param{flag}, nel qual caso +il controllo avrà sempre successo. + +Il secondo livello è quello delle varie funzioni che accedono (in lettura o +scrittura) all'oggetto. In tal caso lo schema dei controlli è simile a quello +dei file, ed avviene secondo questa sequenza: +\begin{itemize} +\item se il processo ha i privilegi di amministatore l'accesso è sempre + consentito. +\item se l'userid effettivo del processo corrisponde o al valore del campo + \var{cuid} o a quello del campo \var{uid} ed il permesso per il proprietario + in \var{mode} è appropriato\footnote{per appropriato si intende che è + settato il permesso di scrittura per le operazioni di scrittura e quello + di lettura per le operazioni di lettura.} l'accesso è consentito. +\item se il groupid effettivo del processo corrisponde o al + valore del campo \var{cgid} o a quello del campo \var{gid} ed il permesso + per il gruppo in \var{mode} è appropriato l'accesso è consentito. +\item se il permesso per gli altri è appropriato l'accesso è consentito. +\end{itemize} +solo se tutti i controlli elencati falliscono l'accesso è negato. Si noti che +a differenza di quanto avviene per i permessi dei file, fallire in uno dei +passi elencati non comporta il fallimento dell'accesso. Un'altra differenza è +che per gli oggetti di IPC il valore di \var{umask} (si ricordi quanto esposto +in \secref{sec:file_umask}) non ha alcun effetto. + + +\subsection{Gli identificatori ed il loro utilizzo} +\label{sec:ipc_sysv_id_use} + +L'unico campo di \var{ipc\_perm} del quale non abbiamo ancora parlato è +\var{seq}, che in \figref{fig:ipc_ipc_perm} è qualificato con un criptico +``\textit{numero di sequenza}'', ne parliamo adesso dato che esso è +strettamente attinente alle modalità con cui il kernel assegna gli +identificatori degli oggetti del sistema di IPC. + +Quando il sistema si avvia, alla creazione di ogni nuovo oggetto di IPC viene +assegnato un numero progressivo, pari al numero di oggetti di quel tipo +esistenti. Se il comportamente fosse sempre questo sarebbe identico a quello +usato nell'assegnazione dei file descriptor nei processi, ed i valori degli +identificatori tenderebbero ad essere riutilizzati spesso e restare di piccole +dimensioni ed inferiori al numero massimo di oggetti diponibili. + +Questo va benissimo nel caso dei file descriptor, che sono locali ad un +processo, ma qui il comportamento varrebbe per tutto il sistema, e per +processi del tutto scorrelati fra loro. Così si potrebbero avere situazioni +come quella in cui un server esce e cancella le sue code di messaggi, ed il +relativo identificatore viene immediatamente assegnato a quelle di un altro +server partito subito dopo, con la possibilità che i client del primo non +facciano in tempo ad accorgersi dell'avvenuto, e finiscano con l'interagire +con gli oggetti del secondo, con conseguenze imprevedibili. + +Proprio per evitare questo tipo di situazioni il sistema usa il valore di +\var{req} per provvedere un meccanismo che porti gli identificatori ad +assumere tutti i valori possibili, rendendo molto più lungo il periodo in cui +un identificatore può venire riutilizzato. + +Il sistema dispone sempre di un numero fisso di oggetti di IPC,\footnote{fino + al kernel 2.2.x questo numero, ed altri limiti relativi al \textit{System V + IPC}, potevano essere cambiati solo con una ricompilazione del kernel, + andando a modificare le costanti definite nei relativi haeder file. A + partire dal kernel 2.4.x è possibile cambiare questi valori a sistema attivo + scrivendo sui file \file{shmmni}, \file{msgmni} e \file{sem} di + \file{/proc/sys/kernel} o con \texttt{syscntl}.} e per ciascuno di essi +viene mantenuto in \var{seq} un numero di sequenza progressivo che viene +incrementato di uno ogni volta che l'oggetto viene cancellato. Quando +l'oggetto viene creato usando uno spazio che era già stato utilizzato in +precedenza per restituire l'identificatore al numero di oggetti presenti viene +sommato il valore di \var{seq} moltiplicato per il numero massimo di oggetti +di quel tipo,\footnote{questo vale fino ai kernel della serie 2.2.x, dalla + serie 2.4.x viene usato lo stesso fattore per tutti gli oggetti, esso è dato + dalla costante \macro{IPCMNI}, definita in \file{include/linux/ipc.h}, che + indica il limite massimo per il numero di oggetti di IPC, il cui valore è + 32768.} si evita così il riutilizzo degli stessi numeri, e si fa sì che +l'identificatore assuma tutti i valori possibili. + +In \figref{fig:ipc_sysv_idtest} è riportato il codice di un semplice programma +di test che si limita a creare un oggetto (specificato a riga di comando), +stamparne il numero di identificatore e cancellarlo per un numero specificato +di volte. + +\begin{figure}[!htb] + \footnotesize \centering + \begin{minipage}[c]{15cm} + \begin{lstlisting}{} +int main(int argc, char *argv[]) +{ + ... + switch (type) { + case 'q': /* Message Queue */ + debug("Message Queue Try\n"); + for (i=0; i