1 \chapter{La comunicazione fra processi}
5 Uno degli aspetti fondamentali della programmazione in un sistema unix-like è
6 la comunicazione fra processi. In questo capitolo affronteremo solo i
7 meccanismi più elementari che permettono di mettere in comunicazione processi
8 diversi, come quelli tradizionali che coinvolgono \textit{pipe} e
9 \textit{fifo} e i meccanismi di intercomunicazione di System V e quelli POSIX.
11 Tralasceremo invece tutte le problematiche relative alla comunicazione
12 attraverso la rete (e le relative interfacce) che saranno affrontate in
13 dettaglio in un secondo tempo. Non affronteremo neanche meccanismi più
14 complessi ed evoluti come le RPC (\textit{Remote Procedure Calls}) e CORBA
15 (\textit{Common Object Request Brocker Architecture}) che in genere sono
16 implementati con un ulteriore livello sopra i meccanismi elementari.
19 \section{La comunicazione fra processi tradizionale}
22 Il primo meccanismo di comunicazione fra processi introdotto nei sistemi Unix,
23 è quello delle cosiddette \textit{pipe}; esse costituiscono una delle
24 caratteristiche peculiari del sistema, in particolar modo dell'interfaccia a
25 linea di comando. In questa sezione descriveremo le sue basi, le funzioni che
26 ne gestiscono l'uso e le varie forme in cui si è evoluto.
29 \subsection{Le \textit{pipe} standard}
32 Le \textit{pipe} nascono sostanzialmente con Unix, e sono il primo, e tuttora
33 uno dei più usati, meccanismi di comunicazione fra processi. Si tratta in
34 sostanza di una una coppia di file descriptor\footnote{si tenga presente che
35 le pipe sono oggetti creati dal kernel e non risiedono su disco.} connessi
36 fra di loro in modo che se quanto scrive su di uno si può rileggere
37 dall'altro. Si viene così a costituire un canale di comunicazione tramite i
38 due file descriptor, nella forma di un \textsl{tubo} (da cui il nome)
39 attraverso cui fluiscono i dati.
41 La funzione che permette di creare questa speciale coppia di file descriptor
42 associati ad una \textit{pipe} è appunto \func{pipe}, ed il suo prototipo è:
43 \begin{prototype}{unistd.h}
44 {int pipe(int filedes[2])}
46 Crea una coppia di file descriptor associati ad una \textit{pipe}.
48 \bodydesc{La funzione restituisce zero in caso di successo e -1 per un
49 errore, nel qual caso \var{errno} potrà assumere i valori \macro{EMFILE},
50 \macro{ENFILE} e \macro{EFAULT}.}
53 La funzione restituisce la coppia di file descriptor nell'array
54 \param{filedes}; il primo è aperto in lettura ed il secondo in scrittura. Come
55 accennato concetto di funzionamento di una pipe è semplice: quello che si
56 scrive nel file descriptor aperto in scrittura viene ripresentato tale e quale
57 nel file descriptor aperto in lettura. I file descriptor infatti non sono
58 connessi a nessun file reale, ma ad un buffer nel kernel, la cui dimensione è
59 specificata dalla costante \macro{PIPE\_BUF}, (vedi
60 \secref{sec:sys_file_limits}). Lo schema di funzionamento di una pipe è
61 illustrato in \figref{fig:ipc_pipe_singular}, in cui sono illustrati i due
62 capi della pipe, associati a ciascun file descriptor, con le frecce che
63 indicano la direzione del flusso dei dati.
67 \includegraphics[height=5cm]{img/pipe}
68 \caption{Schema della struttura di una pipe.}
69 \label{fig:ipc_pipe_singular}
72 Chiaramente creare una pipe all'interno di un singolo processo non serve a
73 niente; se però ricordiamo quanto esposto in \secref{sec:file_sharing}
74 riguardo al comportamento dei file descriptor nei processi figli, è immediato
75 capire come una pipe possa diventare un meccanismo di intercomunicazione. Un
76 processo figlio infatti condivide gli stessi file descriptor del padre,
77 compresi quelli associati ad una pipe (secondo la situazione illustrata in
78 \figref{fig:ipc_pipe_fork}). In questo modo se uno dei processi scrive su un
79 capo della pipe, l'altro può leggere.
83 \includegraphics[height=5cm]{img/pipefork}
84 \caption{Schema dei collegamenti ad una pipe, condivisi fra processo padre e
85 figlio dopo l'esecuzione \func{fork}.}
86 \label{fig:ipc_pipe_fork}
89 Tutto ciò ci mostra come sia immediato realizzare un meccanismo di
90 comunicazione fra processi attraverso una pipe, utilizzando le proprietà
91 ordinarie dei file, ma ci mostra anche qual'è il principale\footnote{Stevens
92 in \cite{APUE} riporta come limite anche il fatto che la comunicazione è
93 unidirezionale, ma in realtà questo è un limite facilmente superabile usando
94 una coppia di pipe.} limite nell'uso delle pipe. È necessario infatti che i
95 processi possano condividere i file descriptor della pipe, e per questo essi
96 devono comunque essere \textsl{parenti} (dall'inglese \textit{siblings}), cioè
97 o derivare da uno stesso processo padre in cui è avvenuta la creazione della
98 pipe, o, più comunemente, essere nella relazione padre/figlio.
100 A differenza di quanto avviene con i file normali, la lettura da una pipe può
101 essere bloccante (qualora non siano presenti dati), inoltre se si legge da una
102 pipe il cui capo in scrittura è stato chiuso, si avrà la ricezione di un EOF
103 (vale a dire che la funzione \func{read} ritornerà restituendo 0). Se invece
104 si esegue una scrittura su una pipe il cui capo in lettura non è aperto il
105 processo riceverà il segnale \macro{EPIPE}, e la funzione di scrittura
106 restituirà un errore di \macro{EPIPE} (al ritorno del manipolatore, o qualora
107 il segnale sia ignorato o bloccato).
109 La dimensione del buffer della pipe (\macro{PIPE\_BUF}) ci dà inoltre un'altra
110 importante informazione riguardo il comportamento delle operazioni di lettura
111 e scrittura su di una pipe; esse infatti sono atomiche fintanto che la
112 quantità di dati da scrivere non supera questa dimensione. Qualora ad esempio
113 si effettui una scrittura di una quantità di dati superiore l'operazione verrà
114 effettuata in più riprese, consentendo l'intromissione di scritture effettuate
118 \subsection{Un esempio dell'uso delle pipe}
119 \label{sec:ipc_pipe_use}
121 Per capire meglio il funzionamento delle pipe faremo un esempio di quello che
122 è il loro uso più comune, analogo a quello effettuato della shell, e che
123 consiste nell'inviare l'output di un processo (lo standard output) sull'input
124 di un'altro. Realizzeremo il programma di esempio nella forma di un
125 \textit{CGI}\footnote{Un CGI (\textit{Common Gateway Interface}) è un
126 programma che permette la creazione dinamica di un oggetto da inserire
127 all'interno di una pagina HTML.} per apache, che genera una immagine JPEG
128 di un codice a barre, specificato come parametro di input.
130 Un programma che deve essere eseguito come \textit{CGI} deve rispondere a
131 delle caratteristiche specifiche, esso infatti non viene lanciato da una
132 shell, ma dallo stesso web server, alla richiesta di una specifica URL, che di
135 http://www.sito.it/cgi-bin/programma?parametro
137 ed il risultato dell'elaborazione deve essere presentato (con una intestazione
138 che ne descrive il mime-type) sullo standard output, in modo che il web-server
139 possa reinviarlo al browser che ha effettuato la richiesta, che in questo modo
140 è in grado di visualizzarlo opportunamente.
142 Per realizzare quanto voluto useremo in sequenza i programmi \cmd{barcode} e
143 \cmd{gs}, il primo infatti è in grado di generare immagini postscript di
144 codici a barre corrispondenti ad una qualunque stringa, mentre il secondo
145 serve per poter effettuare la conversione della stessa immagine in formato
146 JPEG. Usando una pipe potremo inviare l'output del primo sull'input del
147 secondo, secondo lo schema mostrato in \figref{fig:ipc_pipe_use}, in cui la
148 direzione del flusso dei dati è data dalle frecce continue.
152 \includegraphics[height=5cm]{img/pipeuse}
153 \caption{Schema dell'uso di una pipe come mezzo di comunicazione fra
154 due processi attraverso attraverso l'esecuzione una \func{fork} e la
155 chiusura dei capi non utilizzati.}
156 \label{fig:ipc_pipe_use}
159 Si potrebbe obiettare che sarebbe molto più semplice salvare il risultato
160 intermedio su un file temporaneo. Questo però non tiene conto del fatto che un
161 \textit{CGI} deve poter gestire più richieste in concorrenza, e si avrebbe una
162 evidente race condition in caso di accesso simultaneo a detto
163 file.\footnote{il problema potrebbe essere superato determinando in anticipo
164 un nome appropriato per il file temporaneo, che verrebbe utilizzato dai vari
165 sotto-processi, e cancellato alla fine della loro esecuzione; ma a questo le
166 cose non sarebbero più tanto semplici.} L'uso di una pipe invece permette
167 di risolvere il problema in maniera semplice ed elegante, oltre ad essere
168 molto più efficiente, dato che non si deve scrivere su disco.
170 Il programma ci servirà anche come esempio dell'uso delle funzioni di
171 duplicazione dei file descriptor che abbiamo trattato in
172 \secref{sec:file_dup}, in particolare di \func{dup2}. È attraverso queste
173 funzioni infatti che è possibile dirottare gli stream standard dei processi
174 (che abbiamo visto in \secref{sec:file_std_descr} e
175 \secref{sec:file_std_stream}) sulla pipe. In \figref{fig:ipc_barcodepage_code}
176 abbiamo riportato il corpo del programma, il cui codice completo è disponibile
177 nel file \file{BarCodePage.c} che si trova nella directory dei sorgenti.
181 \footnotesize \centering
182 \begin{minipage}[c]{15cm}
184 int main(int argc, char *argv[], char *envp[])
187 /* create two pipes, pipein and pipeout, to handle communication */
188 if ( (retval = pipe(pipein)) ) {
189 WriteMess("input pipe creation error");
192 if ( (retval = pipe(pipeout)) ) {
193 WriteMess("output pipe creation error");
196 /* First fork: use child to run barcode program */
197 if ( (pid = fork()) == -1) { /* on error exit */
198 WriteMess("child creation error");
203 close(pipein[1]); /* close pipe write end */
204 dup2(pipein[0], STDIN_FILENO); /* remap stdin to pipe read end */
206 dup2(pipeout[1], STDOUT_FILENO); /* remap stdout in pipe output */
207 execlp("barcode", "barcode", size, NULL);
209 close(pipein[0]); /* close input side of input pipe */
210 write(pipein[1], argv[1], strlen(argv[1])); /* write parameter to pipe */
211 close(pipein[1]); /* closing write end */
212 waitpid(pid, NULL, 0); /* wait child completion */
213 /* Second fork: use child to run ghostscript */
214 if ( (pid = fork()) == -1) {
215 WriteMess("child creation error");
218 /* second child, convert PS to JPEG */
220 close(pipeout[1]); /* close write end */
221 dup2(pipeout[0], STDIN_FILENO); /* remap read end to stdin */
223 write(STDOUT_FILENO, content, strlen(content));
224 execlp("gs", "gs", "-q", "-sDEVICE=jpeg", "-sOutputFile=-", "-", NULL);
228 waitpid(pid, NULL, 0);
234 \caption{Sezione principale del codice del \textit{CGI}
235 \file{BarCodePage.c}.}
236 \label{fig:ipc_barcodepage_code}
239 La prima operazione del programma (\texttt{\small 4--12}) è quella di creare
240 le due pipe che serviranno per la comunicazione fra i due comandi utilizzati
241 per produrre il codice a barre; si ha cura di controllare la riuscita della
242 chiamata, inviando in caso di errore un messaggio invece dell'immagine
243 richiesta.\footnote{la funzione \func{WriteMess} non è riportata in
244 \secref{fig:ipc_barcodepage_code}; essa si incarica semplicemente di
245 formattare l'uscita alla maniera dei CGI, aggiungendo l'opportuno
246 \textit{mime type}, e formattando il messaggio in HTML, in modo che
247 quest'ultimo possa essere visualizzato correttamente da un browser.}
249 Una volta create le pipe, il programma può creare (\texttt{\small 13-17}) il
250 primo processo figlio, che si incaricherà (\texttt{\small 19--25}) di eseguire
251 \cmd{barcode}. Quest'ultimo legge dallo standard input una stringa di
252 caratteri, la converte nell'immagine postscript del codice a barre ad essa
253 corrispondente, e poi scrive il risultato direttamente sullo standard output.
255 Per poter utilizzare queste caratteristiche prima di eseguire \cmd{barcode} si
256 chiude (\texttt{\small 20}) il capo aperto in scrittura della prima pipe, e se
257 ne collega (\texttt{\small 21}) il capo in lettura allo standard input, usando
258 \func{dup2}. Si ricordi che invocando \func{dup2} il secondo file, qualora
259 risulti aperto, viene, come nel caso corrente, chiuso prima di effettuare la
260 duplicazione. Allo stesso modo, dato che \cmd{barcode} scrive l'immagine
261 postscript del codice a barre sullo standard output, per poter effettuare una
262 ulteriore redirezione il capo in lettura della seconda pipe viene chiuso
263 (\texttt{\small 22}) mentre il capo in scrittura viene collegato allo standard
264 output (\texttt{\small 23}).
266 In questo modo all'esecuzione (\texttt{\small 25}) di \cmd{barcode} (cui si
267 passa in \var{size} la dimensione della pagina per l'immagine) quest'ultimo
268 leggerà dalla prima pipe la stringa da codificare che gli sarà inviata dal
269 padre, e scriverà l'immagine postscript del codice a barre sulla seconda.
271 Al contempo una volta lanciato il primo figlio, il processo padre prima chiude
272 (\texttt{\small 26}) il capo inutilizzato della prima pipe (quello in input) e
273 poi scrive (\texttt{\small 27}) la stringa da convertire sul capo in output,
274 così che \cmd{barcode} possa riceverla dallo standard input. A questo punto
275 l'uso della prima pipe da parte del padre è finito ed essa può essere
276 definitivamente chiusa (\texttt{\small 28}), si attende poi (\texttt{\small
277 29}) che l'esecuzione di \cmd{barcode} sia completata.
279 Alla conclusione della sua esecuzione \cmd{barcode} avrà inviato l'immagine
280 postscript del codice a barre sul capo in scrittura della seconda pipe; a
281 questo punto si può eseguire la seconda conversione, da PS a JPEG, usando il
282 programma \cmd{gs}. Per questo si crea (\texttt{\small 30--34}) un secondo
283 processo figlio, che poi (\texttt{\small 35--42}) eseguirà questo programma
284 leggendo l'immagine postscript creata da \cmd{barcode} dallo standard input,
285 per convertirla in JPEG.
287 Per fare tutto ciò anzitutto si chiude (\texttt{\small 37}) il capo in
288 scrittura della seconda pipe, e se ne collega (\texttt{\small 38}) il capo in
289 lettura allo standard input. Per poter formattare l'output del programma in
290 maniera utilizzabile da un browser, si provvede anche \texttt{\small 40}) alla
291 scrittura dell'apposita stringa di identificazione del mime-type in testa allo
292 standard output. A questo punto si può invocare \texttt{\small 41}) \cmd{gs},
293 provvedendo gli appositi switch che consentono di leggere il file da
294 convertire dallo standard input e di inviare la conversione sullo standard
297 Per completare le operazioni il processo padre chiude (\texttt{\small 44}) il
298 capo in scrittura della seconda pipe, e attende la conclusione del figlio
299 (\texttt{\small 45}); a questo punto può (\texttt{\small 46}) uscire. Si tenga
300 conto che l'operazione di chiudere il capo in scrittura della seconda pipe è
301 necessaria, infatti, se non venisse chiusa, \cmd{gs}, che legge il suo
302 standard input da detta pipe, resterebbe bloccato in attesa di ulteriori dati
303 in ingresso (l'unico modo che un programma ha per sapere che l'input è
304 terminato è rilevare che lo standard input è stato chiuso), e la \func{wait}
308 \subsection{Le funzioni \func{popen} e \func{pclose}}
309 \label{sec:ipc_popen}
311 Come si è visto la modalità più comune di utilizzo di una pipe è quella di
312 utilizzarla per fare da tramite fra output ed input di due programmi invocati
313 in sequenza; per questo motivo lo standard POSIX.2 ha introdotto due funzioni
314 che permettono di sintetizzare queste operazioni. La prima di esse si chiama
315 \func{popen} ed il suo prototipo è:
316 \begin{prototype}{stdio.h}
317 {FILE *popen(const char *command, const char *type)}
319 Esegue il programma \param{command}, di cui, a seconda di \param{type},
320 restituisce, lo standard input o lo standard output nella pipe collegata allo
321 stream restituito come valore di ritorno.
323 \bodydesc{La funzione restituisce l'indirizzo dello stream associato alla pipe
324 in caso di successo e \macro{NULL} per un errore, nel qual caso \var{errno}
325 potrà assumere i valori relativi alle sottostanti invocazioni di \func{pipe}
326 e \func{fork} o \macro{EINVAL} se \param{type} non è valido.}
329 La funzione crea una pipe, esegue una \func{fork}, ed invoca il programma
330 \param{command} attraverso la shell (in sostanza esegue \file{/bin/sh} con il
331 flag \code{-c}); l'argomento \param{type} deve essere una delle due stringhe
332 \verb|"w"| o \verb|"r"|, per indicare se la pipe sarà collegata allo standard
333 input o allo standard output del comando invocato.
335 La funzione restituisce il puntatore allo stream associato alla pipe creata,
336 che sarà aperto in sola lettura (e quindi associato allo standard output del
337 programma indicato) in caso si sia indicato \code{"r"}, o in sola scrittura (e
338 quindi associato allo standard input) in caso di \code{"w"}.
340 Lo stream restituito da \func{popen} è identico a tutti gli effetti ai file
341 stream visti in \secref{cha:files_std_interface}, anche se è collegato ad una
342 pipe e non ad un inode, e viene sempre aperto in modalità
343 \textit{fully-buffered} (vedi \secref{sec:file_buffering}); l'unica differenza
344 con gli usuali stream è che dovrà essere chiuso dalla seconda delle due nuove
345 funzioni, \func{pclose}, il cui prototipo è:
346 \begin{prototype}{stdio.h}
347 {int pclose(FILE *stream)}
349 Chiude il file \param{stream}, restituito da una precedente \func{popen}
350 attendendo la terminazione del processo ad essa associato.
352 \bodydesc{La funzione restituisce 0 in caso di successo e -1 in caso di
353 errore; nel quel caso il valore di \func{errno} deriva dalle sottostanti
356 \noindent che oltre alla chiusura dello stream si incarica anche di attendere
357 (tramite \func{wait4}) la conclusione del processo creato dalla precedente
360 Per illustrare l'uso di queste due funzioni riprendiamo il problema
361 precedente: il programma mostrato in \figref{fig:ipc_barcodepage_code} per
362 quanto funzionante, è (volutamente) codificato in maniera piuttosto complessa,
363 inoltre nella pratica sconta un problema di \cmd{gs} che non è in
364 grado\footnote{nella versione GNU Ghostscript 6.53 (2002-02-13).} di
365 riconoscere correttamente l'encapsulated postscript, per cui deve essere usato
366 il postscript e tutte le volte viene generata una pagina intera, invece che
367 una immagine delle dimensioni corrispondenti al codice a barre.
369 Se si vuole generare una immagine di dimensioni appropriate si deve usare un
370 approccio diverso. Una possibilità sarebbe quella di ricorrere ad ulteriore
371 programma, \cmd{epstopsf}, per convertire in PDF un file EPS (che può essere
372 generato da \cmd{barcode} utilizzando lo switch \cmd{-E}). Utilizzando un PDF
373 al posto di un EPS \cmd{gs} esegue la conversione rispettando le dimensioni
374 originarie del codice a barre e produce un JPEG di dimensioni corrette.
376 Questo approccio però non funziona, per via di una delle caratteristiche
377 principali delle pipe. Per poter effettuare la conversione di un PDF infatti è
378 necessario, per la struttura del formato, potersi spostare (con \func{lseek})
379 all'interno del file da convertire; se si eseguela conversione con \cmd{gs} su
380 un file regolare non ci sono problemi, una pipe però è rigidamente
381 sequenziale, e l'uso di \func{lseek} su di essa fallisce sempre con un errore
382 di \macro{ESPIPE}, rendendo impossibile la conversione. Questo ci dice che in
383 generale la concatenazione di vari programmi funzionerà soltanto quando tutti
384 prevedono una lettura sequenziale del loro input.
386 Per questo motivo si è dovuto utilizzare un procedimento diverso, eseguendo
387 prima la conversione (sempre con \cmd{gs}) del PS in un altro formato
388 intermedio, il PPM,\footnote{il \textit{Portable PixMap file format} è un
389 formato usato spesso come formato intermedio per effettuare conversioni, è
390 infatti molto facile da manipolare, dato che usa caratteri ASCII per
391 memorizzare le immagini, anche se per questo è estremamente inefficiente.}
392 dal quale poi si può ottenere un'immagine di dimensioni corrette attraverso
393 vari programmi di manipolazione (\cmd{pnmcrop}, \cmd{pnmmargin}) che può
394 essere infine trasformata in PNG (con \cmd{pnm2png}).
396 In questo caso però occorre eseguire in sequenza ben quattro comandi diversi,
397 inviando l'output di ciascuno all'input del successivo, per poi ottenere il
398 risultato finale sullo standard output: un caso classico di utilizzazione
399 delle pipe, in cui l'uso di \func{popen} e \func{pclose} permette di
400 semplificare notevolmente la stesura del codice.
402 Nel nostro caso, dato che ciascun processo deve scrivere il suo output sullo
403 standard input del successivo, occorrerà usare \func{popen} aprendo la pipe in
404 scrittura. Il codice del nuovo programma è riportato in
405 \figref{fig:ipc_barcode_code}. Come si può notare l'ordine di invocazione dei
406 programmi è l'inverso di quello in cui ci si aspetta che vengano
407 effettivamente eseguiti. Questo non comporta nessun problema dato che la
408 lettura su una pipe è bloccante, per cui ciascun processo, per quanto lanciato
409 per primo, si bloccherà in attesa di ricevere sullo standard input il
410 risultato dell'elaborazione del precedente, benchè quest'ultimo venga
414 \footnotesize \centering
415 \begin{minipage}[c]{15cm}
417 int main(int argc, char *argv[], char *envp[])
421 char *cmd_string[4]={
423 "pnmmargin -white 10",
425 "gs -sDEVICE=ppmraw -sOutputFile=- -sNOPAUSE -q - -c showpage -c quit"
427 char content[]="Content-type: image/png\n\n";
429 /* write mime-type to stout */
430 write(STDOUT_FILENO, content, strlen(content));
431 /* execute chain of command */
432 for (i=0; i<4; i++) {
433 pipe[i] = popen(cmd_string[i], "w");
434 dup2(fileno(pipe[i]), STDOUT_FILENO);
436 /* create barcode (in PS) */
437 pipein = popen("barcode", "w");
438 /* send barcode string to barcode program */
439 write(fileno(pipein), argv[1], strlen(argv[1]));
440 /* close all pipes (in reverse order) */
441 for (i=4; i==0; i--) {
449 \caption{Codice completo del \textit{CGI} \file{BarCode.c}.}
450 \label{fig:ipc_barcode_code}
453 Nel nostro caso il primo passo (\texttt{\small 14}) è scrivere il mime-type
454 sullo standard output; a questo punto il processo padre non necessita più di
455 eseguire ulteriori operazioni sullo standard output e può tranquillamente
456 provvedere alla redirezione.
458 Dato che i vari programmi devono essere lanciati in successione, si è
459 approntato un ciclo (\texttt{\small 15--19}) che esegue le operazioni in
460 sequenza: prima crea una pipe (\texttt{\small 17}) per la scrittura eseguendo
461 il programma con \func{popen}, in modo che essa sia collegata allo standard
462 input, e poi redirige (\texttt{\small 18}) lo standard output su detta pipe.
464 In questo modo il primo processo ad essere invocato (che è l'ultimo della
465 catena) scriverà ancora sullo standard output del processo padre, ma i
466 successivi, a causa di questa redirezione, scriveranno sulla pipe associata
467 allo standard input del processo invocato nel ciclo precedente.
469 Alla fine tutto quello che resta da fare è lanciare (\texttt{\small 21}) il
470 primo processo della catena, che nel caso è \cmd{barcode}, e scrivere
471 (\texttt{\small 23}) la stringa del codice a barre sulla pipe, che è collegata
472 al suo standard input, infine si può eseguire (\texttt{\small 24--27}) un
473 ciclo che chiuda, nell'ordine inverso rispetto a quello in cui le si sono
474 create, tutte le pipe create con \func{pclose}.
477 \subsection{Le \textit{pipe} con nome, o \textit{fifo}}
478 \label{sec:ipc_named_pipe}
480 Come accennato in \secref{sec:ipc_pipes} il problema delle \textit{pipe} è che
481 esse possono essere utilizzate solo da processi con un progenitore comune o
482 nella relazione padre/figlio; per superare questo problema lo standard POSIX.1
483 ha definito dei nuovi oggetti, le \textit{fifo}, che hanno le stesse
484 caratteristiche delle pipe, ma che invece di essere strutture interne del
485 kernel, visibili solo attraverso un file descriptor, sono accessibili
486 attraverso un inode che risiede sul filesystem, così che i processi le possono
487 usare senza dovere per forza essere in una relazione di \textsl{parentela}.
489 Utilizzando una \textit{fifo} tutti i dati passeranno, come per le pipe,
490 attraverso un apposito buffer nel kernel, senza transitare dal filesystem;
491 l'inode allocato sul filesystem serve infatti solo a fornire un punto di
492 riferimento per i processi, che permetta loro di accedere alla stessa fifo; il
493 comportamento delle funzioni di lettura e scrittura è identico a quello
494 illustrato per le pipe in \secref{sec:ipc_pipes}.
496 Abbiamo già visto in \secref{sec:file_mknod} le funzioni \func{mknod} e
497 \func{mkfifo} che permettono di creare una fifo; per utilizzarne una un
498 processo non avrà che da aprire il relativo file speciale o in lettura o
499 scrittura; nel primo caso sarà collegato al capo di uscita della fifo, e dovrà
500 leggere, nel secondo al capo di ingresso, e dovrà scrivere.
502 Il kernel crea una singola pipe per ciascuna fifo che sia stata aperta, che può
503 essere acceduta contemporaneamente da più processi, sia in lettura che in
504 scrittura. Dato che per funzionare deve essere aperta in entrambe le
505 direzioni, per una fifo di norma la funzione \func{open} si blocca se viene
506 eseguita quando l'altro capo non è aperto.
508 Le fifo però possono essere anche aperte in modalità \textsl{non-bloccante},
509 nel qual caso l'apertura del capo in lettura avrà successo solo quando anche
510 l'altro capo è aperto, mentre l'apertura del capo in scrittura restituirà
511 l'errore di \macro{ENXIO} fintanto che non verrà aperto il capo in lettura.
513 In Linux è possibile aprire le fifo anche in lettura/scrittura,\footnote{lo
514 standard POSIX lascia indefinito il comportamento in questo caso.}
515 operazione che avrà sempre successo immediato qualunque sia la modalità di
516 apertura (bloccante e non bloccante); questo può essere utilizzato per aprire
517 comunque una fifo in scrittura anche se non ci sono ancora processi il
518 lettura; è possibile anche usare la fifo all'interno di un solo processo, nel
519 qual caso però occorre stare molto attenti alla possibili
520 deadlock.\footnote{se si cerca di leggere da una fifo che non contiene dati si
521 avrà un deadlock immediato, dato che il processo si blocca e non potrà
522 quindi mai eseguire le funzioni di scrittura.}
524 Per la loro caratteristica di essere accessibili attraverso il filesystem, è
525 piuttosto frequente l'utilizzo di una fifo come canale di comunicazione nelle
526 situazioni un processo deve ricevere informazioni da altri. In questo caso è
527 fondamentale che le operazioni di scrittura siano atomiche; per questo si deve
528 sempre tenere presente che questo è vero soltanto fintanto che non si supera
529 il limite delle dimensioni di \macro{PIPE\_BUF} (si ricordi quanto detto in
530 \secref{sec:ipc_pipes}).
532 A parte il caso precedente, che resta probabilmente il più comune, Stevens
533 riporta in \cite{APUE} altre due casistiche principali per l'uso delle fifo:
535 \item Da parte dei comandi di shell, per evitare la creazione di file
536 temporanei quando si devono inviare i dati di uscita di un processo
537 sull'input di parecchi altri (attraverso l'uso del comando \cmd{tee}).
539 \item Come canale di comunicazione fra client ed server (il modello
540 \textit{client-server} è illustrato in \secref{sec:net_cliserv}).
543 Nel primo caso quello che si fa è creare tante fifo, da usare come standard
544 input, quanti sono i processi a cui i vogliono inviare i dati, questi ultimi
545 saranno stati posti in esecuzione ridirigendo lo standard input dalle fifo, si
546 potrà poi eseguire il processo che fornisce l'output replicando quest'ultimo,
547 con il comando \cmd{tee}, sulle varie fifo.
549 Il secondo caso è relativamente semplice qualora si debba comunicare con un
550 processo alla volta (nel qual caso basta usare due fifo, una per leggere ed
551 una per scrivere), le cose diventano invece molto più complesse quando si
552 vuole effettuare una comunicazione fra il server ed un numero imprecisato di
553 client; se il primo infatti può ricevere le richieste attraverso una fifo
554 ``nota'', per le risposte non si può fare altrettanto, dato che, per la
555 struttura sequenziale delle fifo, i client dovrebbero sapere, prima di
556 leggerli, quando i dati inviati sono destinati a loro.
558 Per risolvere questo problema, si può usare un'architettura come quella
559 illustrata in \figref{fig:ipc_fifo_server_arch} in cui i client inviano le
560 richieste al server su una fifo nota mentre le risposte vengono reinviate dal
561 server a ciascuno di essi su una fifo temporanea creata per l'occazione.
565 \includegraphics[height=9cm]{img/fifoserver}
566 \caption{Schema dell'utilizzo delle fifo nella realizzazione di una
567 architettura di comunicazione client/server.}
568 \label{fig:ipc_fifo_server_arch}
571 Come esempio di uso questa architettura e dell'uso delle fifo, abbiamo scritto
572 un server di \textit{fortunes}, che restituisce, alle richieste di un client,
573 un detto a caso estratto da un insieme di frasi; sia il numero delle frasi
574 dell'insieme, che i file da cui esse vengono lette all'avvio, sono importabili
575 da riga di comando. Il corpo principale del server è riportato in
576 \figref{fig:ipc_fifo_server}, dove si è tralasciata la parte che tratta la
577 gestione delle opzioni a riga di comando, che effettua il settaggio delle
578 variabili \var{fortunefilename}, che indica il file da cui leggere le frasi,
579 ed \var{n}, che indica il numero di frasi tenute in memoria, ad un valore
580 diverso da quelli preimpostati. Il codice completo è nel file
581 \file{FortuneServer.c}.
584 \footnotesize \centering
585 \begin{minipage}[c]{15cm}
587 char *fifoname = "/tmp/fortune.fifo";
588 int main(int argc, char *argv[])
590 /* Variables definition */
592 char *fortunefilename = "/usr/share/games/fortunes/italia";
595 int fifo_server, fifo_client;
598 if (n==0) usage(); /* if no pool depth exit printing usage info */
599 Signal(SIGTERM, HandSIGTERM); /* set handlers for termination */
600 Signal(SIGINT, HandSIGTERM);
601 Signal(SIGQUIT, HandSIGTERM);
602 i = FortuneParse(fortunefilename, fortune, n); /* parse phrases */
603 if (mkfifo(fifoname, 0622)) { /* create well known fifo if does't exist */
605 perror("Cannot create well known fifo");
609 /* open fifo two times to avoid EOF */
610 fifo_server = open(fifoname, O_RDONLY);
611 if (fifo_server < 0) {
612 perror("Cannot open read only well known fifo");
615 if (open(fifoname, O_WRONLY) < 0) {
616 perror("Cannot open write only well known fifo");
619 /* Main body: loop over requests */
621 nread = read(fifo_server, line, 79); /* read request */
623 perror("Read Error");
626 line[nread] = 0; /* terminate fifo name string */
627 n = random() % i; /* select random value */
628 fifo_client = open(line, O_WRONLY); /* open client fifo */
629 if (fifo_client < 0) {
630 perror("Cannot open");
633 nread = write(fifo_client, /* write phrase */
634 fortune[n], strlen(fortune[n])+1);
635 close(fifo_client); /* close client fifo */
641 \caption{Sezione principale del codice del server di \textit{fortunes}
643 \label{fig:ipc_fifo_server}
646 Il server richiede (\texttt{\small 12}) che sia stata impostata una dimensione
647 dell'insieme delle frasi non nulla, dato che l'inizializzazione del vettore
648 \var{fortune} avviene solo quando questa dimensione viene specificata, la
649 presenza di un valore nullo provoca l'uscita dal programma attraverso la
650 routine (non riportata) che ne stampa le modalità d'uso. Dopo di che installa
651 (\texttt{\small 13--15}) la funzione che gestisce i segnali di interruzione
652 (anche questa non è riportata in \figref{fig:ipc_fifo_server}) che si limita a
653 rimuovere dal filesystem la fifo usata dal server per comunicare.
655 Terminata l'inizializzazione (\texttt{\small 16}) si effettua la chiamata alla
656 funzione \code{FortuneParse} che legge dal file specificato in
657 \var{fortunefilename} le prime \var{n} frasi e le memorizza (allocando
658 dinamicamente la memoria necessaria) nel vettore di puntatori \var{fortune}.
659 Anche il codice della funzione non è riportato, in quanto non direttamente
660 attinente allo scopo dell'esempio.
662 Il passo successivo (\texttt{\small 17--22}) è quello di creare con
663 \func{mkfifo} la fifo nota sulla quale il server ascolterà le richieste,
664 qualora si riscontri un errore il server uscirà (escludendo ovviamente il caso
665 in cui la funzione \func{mkfifo} fallisce per la precedente esistenza della
668 Una volta che si è certi che la fifo di ascolto esiste si procede
669 (\texttt{\small 23--32}) alla sua apertura. Questo viene fatto due volte
670 per evitare di dover gestire all'interno del ciclo principale il caso in cui
671 il server è in ascolto ma non ci sono client che effettuano richieste.
672 Si ricordi infatti che quando una fifo è aperta solo dal capo in lettura,
673 l'esecuzione di \func{read} ritorna con zero byte (si ha cioè una condizione
676 Nel nostro caso la prima apertura si bloccherà fintanto che un qualunque
677 client non apre a sua volta la fifo nota in scrittura per effettuare la sua
678 richiesta. Pertanto all'inizio non ci sono probelmi, il client però, una volta
679 ricevuta la risposta, uscirà, chiudendo tutti i file aperti, compresa la fifo.
680 A questo punto il server resta (se non ci sono altri client che stanno
681 effettuando richieste) con la fifo chiusa sul lato in lettura e a questo punto
682 \func{read} non si bloccherà in attesa di input, ma ritornerà in continuazione
683 restituendo un end-of-file.\footnote{Si è usata questa tecnica per
684 compatibilità, Linux infatti supporta l'apertura delle fifo in
685 lettura/scrittura, per cui si sarebbe potuto effettuare una singola apertura
686 con \macro{O\_RDWR}, la doppia apertura comunque ha il vantaggio che non si
687 può scrivere per errore sul capo aperto in sola lettura.}
689 Per questo motivo, dopo aver eseguito l'apertura in lettura (\texttt{\small
690 24--28}),\footnote{di solito si effettua l'apertura del capo in lettura in
691 modalità non bloccante, per evitare il rischio di uno stallo (se nessuno
692 apre la fifo in scrittura il processo non ritornerà mai dalla \func{open})
693 che nel nostro caso non esiste, mentre è necessario potersi bloccare in
694 lettura in attesa di una richiesta.} si esegue una seconda apertura in
695 scrittura (\texttt{\small 29--32}), scartando il relativo file descriptor che
696 non sarà mai usato, ma lasciando la fifo comunque aperta anche in scrittura,
697 cosicchè le successive possano bloccarsi.
699 A questo punto si può entrare nel ciclo principale del programma che fornisce
700 le risposte ai client (\texttt{\small 34--50}), che viene eseguito
701 indefinitamente (l'uscita del server viene effettuata inviando un segnale, in
702 modo da passare attraverso la routine di chiusura che cancella la fifo).
704 Il server è progettato per accettare come richieste dai client delle stringhe
705 che contengono il nome della fifo sulla quale deve essere inviata la risposta.
706 Per cui prima (\texttt{\small 35--39}) si esegue la lettura dalla stringa di
707 richiesta dalla fifo nota (che a questo punto si bloccherà tutte le volte che
708 non ci sono richieste). Dopo di che, una volta terminata la stringa
709 (\texttt{\small 40}) e selezionato (\texttt{\small 41}) un numero casuale per
710 ricavare la frase da invaire, si procederà (\texttt{\small 42--46})
711 all'apertura della fifo per la risposta, che \texttt{\small 47--48}) poi vi
712 sarà scritta. Infine (\texttt{\small 49}) si chiude la fifo di risposta che
715 Il codice del client è invece riportato in \figref{fig:ipc_fifo_client}, anche
716 in questo caso si è omessa la gestione delle opzioni e la funzione che stampa
717 a video le informazioni di utilizzo ed esce, riportando solo la sezione
718 principale del programma e le definizioni delle variabili. Il codice completo
719 è nel file \file{FortuneClient.c} dei sorgenti allegati.
722 \footnotesize \centering
723 \begin{minipage}[c]{15cm}
725 int main(int argc, char *argv[])
727 /* Variables definition */
729 char *fortunefilename = "/tmp/fortune.fifo";
731 int fifo_server, fifo_client;
734 char buffer[PIPE_BUF];
736 snprintf(fifoname, 80, "/tmp/fortune.%d", getpid()); /* compose name */
737 if (mkfifo(fifoname, 0622)) { /* open client fifo */
739 perror("Cannot create well known fifo");
743 fifo_server = open(fortunefilename, O_WRONLY); /* open server fifo */
744 if (fifo_server < 0) {
745 perror("Cannot open well known fifo");
748 nread = write(fifo_server, fifoname, strlen(fifoname)+1); /* write name */
749 close(fifo_server); /* close server fifo */
750 fifo_client = open(fifoname, O_RDONLY); /* open client fifo */
751 if (fifo_client < 0) {
752 perror("Cannot open well known fifo");
755 nread = read(fifo_client, buffer, sizeof(buffer)); /* read answer */
756 printf("%s", buffer); /* print fortune */
757 close(fifo_client); /* close client */
758 close(fifo_server); /* close server */
759 unlink(fifoname); /* remove client fifo */
764 \caption{Sezione principale del codice del client di \textit{fortunes}
766 \label{fig:ipc_fifo_client}
769 La prima istruzione (\texttt{\small 12}) compone il nome della fifo che dovrà
770 essere utilizzata per ricevere la risposta dal server. Si usa il \acr{pid}
771 del processo per essere sicuri di avere un nome univoco; dopo di che
772 (\texttt{\small 13-18}) si procede alla creazione del relativo file, uscendo
773 in caso di errore (a meno che il file non sia già presente sul filesystem).
775 A questo punto il client può effettuare l'interrogazione del server, pe questo
776 prima si apre la fifo nota (\texttt{\small 19--23}), e poi ci si scrive
777 (\texttt{\small 24}) la stringa composta in precedenza, che contiene il nome
778 della fifo da utilizzare per la risposta. Infine si richiude la fifo del
779 server che a questo punto non serve più (\texttt{\small 25}).
781 Inoltrata la richiesta si può passare alla lettura della risposta; anzitutto
782 si apre (\texttt{\small 26--30}) la fifo appena creata, da cui si deve
783 riceverla, dopodiché si effettua una lettura (\texttt{\small 31})
784 nell'apposito buffer; si è supposto, come è ragionevole, che le frasi inviate
785 dal server siano sempre di dimensioni inferiori a \macro{PIPE\_BUF},
786 tralasciamo la gestione del caso in cui questo non è vero. Infine si stampa
787 (\texttt{\small 32}) a video la risposta, si chiude (\texttt{\small 33}) la
788 fifo e si cancella (\texttt{\small 34}) il relativo file.
790 Si noti come la fifo per la risposta sia stata aperta solo dopo aver inviato
791 la richiesta, se non si fosse fatto così si avrebbe avuto uno stallo, in
792 quanto senza la richiesta, il server non avrebbe potuto aprirne il capo in
793 scrittura e l'apertura si sarebbe bloccata indefinitamente.
796 Benché il nostro sistema client-server funzioni, la sua struttura è piuttosto
797 complessa e continua ad avere vari inconvenienti\footnote{lo stesso Stevens,
798 che esamina questa architettura in \cite{APUE}, nota come sia impossibile
799 per il server sapere se un client è andato in crash, con la possibilità di
800 far restare le fifo temporanee sul filesystem, di come sia necessario
801 intercettare \macro{SIGPIPE} dato che un client può terminare dopo aver
802 fatto una richiesta, ma prima che la risposta sia inviata (cosa che nel
803 nostro esempio non è stata fatta).}; in generale infatti l'interfaccia delle
804 fifo non è adatta a risolvere questo tipo di problemi, che possono essere
805 affrontati in maniera più semplice ed efficace o usando i
806 \textit{socket}\index{socket} (che tratteremo in dettaglio a partire da
807 \capref{cha:socket_intro}) o ricorrendo a meccanismi di comunicazione diversi,
808 come quelli che esamineremo in seguito.
812 \section{La comunicazione fra processi di System V}
815 Benché le pipe e le fifo siano ancora ampiamente usate, esse scontano il
816 limite fondamentale che il meccanismo di comunicazione che forniscono è
817 rigidamente sequenziale: una situazione in cui un processo scrive qualcosa che
818 molti altri devono poter leggere non può essere implementata con una pipe.
820 Per questo nello sviluppo di System V vennero introdotti una serie di nuovi
821 oggetti per la comunicazione fra processi ed una nuova interfaccia di
822 programmazione, che fossero in grado di garantire una maggiore flessibilità.
823 In questa sezione esamineremo come Linux supporta quello che viene ormai
824 chiamato il \textsl{Sistema di comunicazione inter-processo} di System V, o
825 \textit{System V IPC (Inter-Process Comunication)}.
829 \subsection{Considerazioni generali}
830 \label{sec:ipc_sysv_generic}
832 La principale caratteristica del sistema di IPC di System V è quella di essere
833 basato su oggetti permanenti che risiedono nel kernel. Questi, a differenza di
834 quanto avviene per i file descriptor, non mantengono un contatore dei
835 riferimenti, e non vengono cancellati dal sistema una volta che non sono più
838 Questo comporta due problemi: il primo è che, al contrario di quanto avviene
839 per pipe e fifo, la memoria allocata per questi oggetti non viene rilasciata
840 automaticamente quando nessuno li vuole più utilizzare, ed essi devono essere
841 cancellati esplicitamente, se non si vuole che restino attivi fino al riavvio
842 del sistema. Il secondo è che, dato che non c'è un contatore di riferimenti,
843 essi possono essere cancellati anche se ci sono dei processi che li stanno
844 utilizzando, con tutte le conseguenze (negative) del caso.
846 Gli oggetti usati nel System V IPC vengono creati direttamente dal kernel, e
847 sono accessibili solo specificando il relativo \textsl{identificatore}. Questo
848 è un numero progressivo (un po' come il \acr{pid} dei processi) che il kernel
849 assegna a ciascuno di essi quanto vengono creati (sul prodedimento di
850 assegnazione torneremo in \secref{sec:ipc_sysv_id_use}). L'identificatore
851 viene restituito dalle funzioni che creano l'oggetto, ed è quindi locale al
852 processo che le ha eseguite. Dato che l'identificatore viene assegnato
853 dinamicamente dal kernel non è possibile prevedere quale sarà, ne utilizzare
854 un qualche valore statico, si pone perciò il problema di come processi diversi
855 possono accedere allo stesso oggetto.
857 Per risolvere il problema il kernel associa a ciascun oggetto una struttura
858 \var{ipc\_perm}; questa contiene una \textsl{chiave}, identificata da una
859 variabile del tipo primitivo \type{key\_t}, che viene specificata in fase di
860 creazione e tramite la quale è possibile ricavare l'identificatore. La
861 struttura, la cui definizione è riportata in \figref{fig:ipc_ipc_perm},
862 contiene anche le varie proprietà associate all'oggetto.
865 \footnotesize \centering
866 \begin{minipage}[c]{15cm}
867 \begin{lstlisting}[labelstep=0]{}%,frame=,indent=1cm ]{}
870 key_t key; /* Key. */
871 uid_t uid; /* Owner's user ID. */
872 gid_t gid; /* Owner's group ID. */
873 uid_t cuid; /* Creator's user ID. */
874 gid_t cgid; /* Creator's group ID. */
875 unsigned short int mode; /* Read/write permission. */
876 unsigned short int seq; /* Sequence number. */
881 \caption{La struttura \var{ipc\_perm}, come definita in \file{sys/ipc.h}.}
882 \label{fig:ipc_ipc_perm}
885 Usando la stessa chiave due processi diversi possono ricavare l'identificatore
886 associato ad un oggetto ed accedervi. Il problema che sorge a questo punto è
887 come devono fare per accordarsi sull'uso di una stessa chiave. Se i processi
888 sono \textsl{parenti} la soluzione è relativamente semplice, in tal caso
889 infatti si può usare il valore speciale \texttt{IPC\_PRIVATE} per creare un
890 nuovo oggetto nel processo padre, l'idenficatore così ottenuto sarà
891 disponibile in tutti i figli, e potrà essere passato come parametro attraverso
894 Però quando i processi non sono \textsl{parenti} (come capita tutte le volte
895 che si ha a che fare con un sistema client-server) tutto questo non è
896 possibile; si potebbe comunque salvare l'identificatore su un file noto, ma
897 questo ovviamente comporta lo svantaggio di doverselo andare a rileggere. Una
898 alternativa più efficace è quella che i programmi usino un valore comune per
899 la chiave (che ad esempio può essere dichiarato in un header comune), ma c'è
900 sempre il rischio che questa chiave possa essere stata già utilizzata da
901 qualcun altro. Dato che non esiste una convenzione su come assegnare queste
902 chiavi in maniera univoca l'interfaccia mette a disposizione una funzione,
903 \func{ftok}, che permette di ottenere una chiave specificando il nome di un
904 file ed un numero di versione; il suo prototipo è:
906 \headdecl{sys/types.h}
909 \funcdecl{key\_t ftok(const char *pathname, int proj\_id)}
911 Restituisce una chiave per identificare un oggetto del System V IPC.
913 \bodydesc{La funzione restituisce la chiave in caso di successo e -1
914 altrimenti, nel qual caso \var{errno} viene settata ad uno dei possibili
915 codici di errore di \func{stat}.}
918 La funzione determina un valore della chiave sulla base di \param{pathname},
919 che deve specificare il pathname di un file effettivamente esistente e di un
920 numero di progetto \param{proj\_id)}, che di norma viene specificato come
921 carattere, dato che ne vengono utilizzati solo gli 8 bit meno
922 significativi.\footnote{nelle libc4 e libc5, come avviene in SunOS,
923 l'argomento \param{proj\_id} è dichiarato tipo \ctyp{char}, le \acr{glibc}
924 usano il prototipo specificato da XPG4, ma vengono lo stesso utilizzati gli
925 8 bit meno significativi.}
927 Il problema è che anche così non c'è la sicurezza che il valore della chiave
928 sia univoco, infatti esso è costruito combinando il byte di \param{proj\_id)}
929 con i 16 bit meno significativi dell'inode del file \param{pathname} (che
930 vengono ottenuti attraverso \func{stat}, da cui derivano i possibili errori),
931 e gli 8 bit meno significativi del numero del device su cui è il file. Diventa
932 perciò relativamente facile ottenere delle collisioni, specie se i file sono
933 su dispositivi con lo stesso \textit{minor number}, come \file{/dev/hda1} e
936 In genere quello che si fa è utilizzare un file comune usato dai programmi che
937 devono comunicare (ad esempio un haeder comune, o uno dei programmi che devono
938 usare l'oggetto in questione), utilizzando il numero di progetto per ottere le
939 chiavi che interessano. In ogni caso occorre sempre controllare, prima di
940 creare un oggetto, che la chiave non sia già stata utilizzata. Se questo va
941 bene in fase di creazione, le cose possono complicarsi per i programmi che
942 devono solo accedere, in quanto, a parte gli eventuali controlli sugli altri
943 attributi di \var{ipc\_perm}, non esiste una modalità semplice per essere
944 sicuri che l'oggetto associato ad una certa chiave sia stato effettivamente
945 creato da chi ci si aspetta.
947 Questo è, insieme al fatto che gli oggetti sono permanenti e non mantengono un
948 contatore di riferimenti per la cancellazione automatica, il principale
949 problema del sistema di IPC di System V. Non esiste infatti una modalità
950 chiara per identificare un oggetto, come sarebbe stato se lo si fosse
951 associato ad in file, e tutta l'interfaccia è inutilmente complessa. Per
952 questo ne è stata effettuata una revisione completa nello standard POSIX.1b,
953 che tratteremo in \secref{sec:ipc_posix}.
956 \subsection{Il controllo di accesso}
957 \label{sec:ipc_sysv_access_control}
959 Oltre alle chiavi, abbiamo visto che ad ogni oggetto sono associate in
960 \var{ipc\_perm} ulteriori informazioni, come gli identificatori del creatore
961 (nei campi \var{cuid} e \var{cgid}) e del proprietario (nei campi \var{uid} e
962 \var{gid}) dello stesso, e un insieme di permessi (nel campo \var{mode}). In
963 questo modo è possibile definire un controllo di accesso sugli oggetti di IPC,
964 simile a quello che si ha per i file (vedi \secref{sec:file_perm_overview}).
966 Benché questo controllo di accesso sia molto simile a quello dei file, restano
967 delle importanti differenze. La prima è che il permesso di esecuzione non
968 esiste (e se specificato viene ignorato), per cui si può parlare solo di
969 permessi di lettura e scrittura (nel caso dei semafori poi quest'ultimo è più
970 propriamente un permesso di modifica). I valori di \var{mode} sono gli stessi
971 ed hanno lo stesso significato di quelli riportati in
972 \secref{tab:file_mode_flags}\footnote{se però si vogliono usare le costanti
973 simboliche ivi definite occorrerà includere il file \file{sys/stat.h},
974 alcuni sistemi definiscono le costanti \macro{MSG\_R} (\texttt{0400}) e
975 \macro{MSG\_W} (\texttt{0200}) per indicare i permessi base di lettura e
976 scrittura per il proprietario, da utilizzare, con gli opportuni shift, pure
977 per il gruppo e gli altri, in Linux, visto la loro scarsa utilità, queste
978 costanti non sono definite.} e come per i file definiscono gli accessi per
979 il proprietario, il suo gruppo e tutti gli altri.
981 Quando l'oggetto viene creato i campi \var{cuid} e \var{uid} di
982 \var{ipc\_perm} ed i campi \var{cgid} e \var{gid} vengono settati
983 rispettivamente al valore dell'userid e del groupid effettivo del processo che
984 ha chiamato la funzione, ma, mentre i campi \var{uid} e \var{gid} possono
985 essere cambiati, i campi \var{cuid} e \var{cgid} restano sempre gli stessi.
987 Il controllo di accesso è effettuato a due livelli. Il primo livello è nelle
988 funzioni che richiedono l'identificatore di un oggetto data la chiave. Queste
989 specificano tutte un argomento \param{flag}, in tal caso quando viene
990 effettuata la ricerca di una chiave, qualora \param{flag} specifichi dei
991 permessi, questi vengono controllati e l'identificatore viene restituito solo
992 se corrispondono a quelli dell'oggetto. Se ci sono dei permessi non presenti
993 in \var{mode} l'accesso sarà negato. Questo controllo però è di utilità
994 indicativa, dato che è sempre possibile specificare per \param{flag} un valore
995 nullo, nel qual caso l'identificatore sarà restituito comunque.
997 Il secondo livello di controllo è quello delle varie funzioni che accedono
998 direttamente (in lettura o scrittura) all'oggetto. In tal caso lo schema dei
999 controlli è simile a quello dei file, ed avviene secondo questa sequenza:
1001 \item se il processo ha i privilegi di amministatore l'accesso è sempre
1003 \item se l'userid effettivo del processo corrisponde o al valore del campo
1004 \var{cuid} o a quello del campo \var{uid} ed il permesso per il proprietario
1005 in \var{mode} è appropriato\footnote{per appropriato si intende che è
1006 settato il permesso di scrittura per le operazioni di scrittura e quello
1007 di lettura per le operazioni di lettura.} l'accesso è consentito.
1008 \item se il groupid effettivo del processo corrisponde o al
1009 valore del campo \var{cgid} o a quello del campo \var{gid} ed il permesso
1010 per il gruppo in \var{mode} è appropriato l'accesso è consentito.
1011 \item se il permesso per gli altri è appropriato l'accesso è consentito.
1013 solo se tutti i controlli elencati falliscono l'accesso è negato. Si noti che
1014 a differenza di quanto avviene per i permessi dei file, fallire in uno dei
1015 passi elencati non comporta il fallimento dell'accesso. Un'ulteriore
1016 differenza rispetto a quanto avviene per i file è che per gli oggetti di IPC
1017 il valore di \var{umask} (si ricordi quanto esposto in
1018 \secref{sec:file_umask}) non ha alcun significato.
1021 \subsection{Gli identificatori ed il loro utilizzo}
1022 \label{sec:ipc_sysv_id_use}
1024 L'unico campo di \var{ipc\_perm} del quale non abbiamo ancora parlato è
1025 \var{seq}, che in \figref{fig:ipc_ipc_perm} è qualificato con un criptico
1026 ``\textsl{numero di sequenza}'', ne parliamo adesso dato che esso è
1027 strettamente attinente alle modalità con cui il kernel assegna gli
1028 identificatori degli oggetti del sistema di IPC.
1030 Quando il sistema si avvia, alla creazione di ogni nuovo oggetto di IPC viene
1031 assegnato un numero progressivo, pari al numero di oggetti di quel tipo
1032 esistenti. Se il comportamente fosse sempre questo sarebbe identico a quello
1033 usato nell'assegnazione dei file descriptor nei processi, ed i valori degli
1034 identificatori tenderebbero ad essere riutilizzati spesso e restare di piccole
1035 dimensioni (inferiori al numero massimo di oggetti diponibili).
1037 Questo va benissimo nel caso dei file descriptor, che sono locali ad un
1038 processo, ma qui il comportamento varrebbe per tutto il sistema, e per
1039 processi del tutto scorrelati fra loro. Così si potrebbero avere situazioni
1040 come quella in cui un server esce e cancella le sue code di messaggi, ed il
1041 relativo identificatore viene immediatamente assegnato a quelle di un altro
1042 server partito subito dopo, con la possibilità che i client del primo non
1043 facciano in tempo ad accorgersi dell'avvenuto, e finiscano con l'interagire
1044 con gli oggetti del secondo, con conseguenze imprevedibili.
1046 Proprio per evitare questo tipo di situazioni il sistema usa il valore di
1047 \var{req} per provvedere un meccanismo che porti gli identificatori ad
1048 assumere tutti i valori possibili, rendendo molto più lungo il periodo in cui
1049 un identificatore può venire riutilizzato.
1051 Il sistema dispone sempre di un numero fisso di oggetti di IPC,\footnote{fino
1052 al kernel 2.2.x questi valori, definiti dalle costanti \macro{MSGMNI},
1053 \macro{SEMMNI} e \macro{SHMMNI}, potevano essere cambiati (come tutti gli
1054 altri limiti relativi al \textit{System V IPC}) solo con una ricompilazione
1055 del kernel, andando a modificarne la definizione nei relativi haeder file.
1056 A partire dal kernel 2.4.x è possibile cambiare questi valori a sistema
1057 attivo scrivendo sui file \file{shmmni}, \file{msgmni} e \file{sem} di
1058 \file{/proc/sys/kernel} o con l'uso di \texttt{syscntl}.} e per ciascuno di
1059 essi viene mantenuto in \var{seq} un numero di sequenza progressivo che viene
1060 incrementato di uno ogni volta che l'oggetto viene cancellato. Quando
1061 l'oggetto viene creato usando uno spazio che era già stato utilizzato in
1062 precedenza per restituire l'identificatore al numero di oggetti presenti viene
1063 sommato il valore di \var{seq} moltiplicato per il numero massimo di oggetti
1064 di quel tipo,\footnote{questo vale fino ai kernel della serie 2.2.x, dalla
1065 serie 2.4.x viene usato lo stesso fattore per tutti gli oggetti, esso è dato
1066 dalla costante \macro{IPCMNI}, definita in \file{include/linux/ipc.h}, che
1067 indica il limite massimo per il numero di tutti oggetti di IPC, ed il cui
1068 valore è 32768.} si evita così il riutilizzo degli stessi numeri, e si fa
1069 sì che l'identificatore assuma tutti i valori possibili.
1071 \begin{figure}[!htb]
1072 \footnotesize \centering
1073 \begin{minipage}[c]{15cm}
1074 \begin{lstlisting}{}
1075 int main(int argc, char *argv[])
1079 case 'q': /* Message Queue */
1080 debug("Message Queue Try\n");
1081 for (i=0; i<n; i++) {
1082 id = msgget(IPC_PRIVATE, IPC_CREAT|0666);
1083 printf("Identifier Value %d \n", id);
1084 msgctl(id, IPC_RMID, NULL);
1087 case 's': /* Semaphore */
1088 debug("Semaphore\n");
1089 for (i=0; i<n; i++) {
1090 id = semget(IPC_PRIVATE, 1, IPC_CREAT|0666);
1091 printf("Identifier Value %d \n", id);
1092 semctl(id, 0, IPC_RMID);
1095 case 'm': /* Shared Memory */
1096 debug("Shared Memory\n");
1097 for (i=0; i<n; i++) {
1098 id = shmget(IPC_PRIVATE, 1000, IPC_CREAT|0666);
1099 printf("Identifier Value %d \n", id);
1100 shmctl(id, IPC_RMID, NULL);
1103 default: /* should not reached */
1111 \caption{Sezione principale del programma di test per l'assegnazione degli
1112 identificatori degli oggetti di IPC \file{IPCTestId.c}.}
1113 \label{fig:ipc_sysv_idtest}
1116 In \figref{fig:ipc_sysv_idtest} è riportato il codice di un semplice programma
1117 di test che si limita a creare un oggetto (specificato a riga di comando),
1118 stamparne il numero di identificatore e cancellarlo per un numero specificato
1119 di volte. Al solito non si è riportato il codice della gestione delle opzioni
1120 a riga di comando, che permette di specificare quante volte effettuare il
1121 ciclo \var{n}, e su quale tipo di oggetto eseguirlo.
1124 La figura non riporta il codice di selezione delle opzioni, che permette di
1125 inizializzare i valori delle variabili \var{type} al tipo di oggetto voluto, e
1126 \var{n} al numero di volte che si vuole effettuare il ciclo di creazione,
1127 stampa, cancellazione. I valori di default sono per l'uso delle code di
1128 messaggi e un ciclo di 5 volte. Se si lancia il comando si otterrà qualcosa
1131 piccardi@gont sources]$ ./ipctestid
1133 Identifier Value 32768
1134 Identifier Value 65536
1135 Identifier Value 98304
1136 Identifier Value 131072
1138 il che ci mostra che abbiamo un kernel della serie 2.4.x nel quale non avevamo
1139 ancora usato nessuna coda di messaggi. Se ripetiamo il comando otterremo
1142 [piccardi@gont sources]$ ./ipctestid
1143 Identifier Value 163840
1144 Identifier Value 196608
1145 Identifier Value 229376
1146 Identifier Value 262144
1147 Identifier Value 294912
1149 che ci mostra come il valore di \var{seq} sia in effetti una quantità
1150 mantenuta staticamente all'interno del sistema.
1153 \subsection{Code di messaggi}
1154 \label{sec:ipc_sysv_mq}
1156 Il primo oggetto introdotto dal \textit{System V IPC} è quello delle code di
1157 messaggi. Le code di messaggi sono oggetti analoghi alle pipe o alle fifo,
1158 anche se la loro struttura è diversa. La funzione che permette di ottenerne
1159 una è \func{msgget} ed il suo prototipo è:
1161 \headdecl{sys/types.h}
1162 \headdecl{sys/ipc.h}
1163 \headdecl{sys/msg.h}
1165 \funcdecl{int msgget(key\_t key, int flag)}
1167 Restituisce l'identificatore di una cosa di messaggi.
1169 \bodydesc{La funzione restituisce l'identificatore (un intero positivo) o -1
1170 in caso di errore, nel qual caso \var{errno} viene settato ad uno dei
1173 \item[\macro{EACCES}] Il processo chiamante non ha i provilegi per accedere
1174 alla coda richiesta.
1175 \item[\macro{EEXIST}] Si è richiesta la creazione di una coda che già
1176 esiste, ma erano specificati sia \macro{IPC\_CREAT} che \macro{IPC\_EXCL}.
1177 \item[\macro{EIDRM}] La coda richiesta è marcata per essere cancellata.
1178 \item[\macro{ENOENT}] Si è cercato di ottenere l'identificatore di una coda
1179 di messaggi specificando una chiave che non esiste e \macro{IPC\_CREAT}
1180 non era specificato.
1181 \item[\macro{ENOSPC}] Si è cercato di creare una coda di messaggi quando è
1182 stato il limite massimo del sistema.
1184 ed inoltre \macro{ENOMEM}.
1188 Le funzione (come le analoghe che si usano per gli altri oggetti) serve sia a
1189 ottenere l'identificatore di una coda di messaggi esistente, che a crearne una
1190 nuova. L'argomento \param{key} specifica la chiave che è associata
1191 all'oggetto, eccetto il caso in cui si specifichi il valore
1192 \macro{IPC\_PRIVATE}, nel qual caso la coda è creata ex-novo e non vi è
1193 associata alcuna chiave, il processo (ed i suoi eventuali figli) potranno
1194 farvi riferimento solo attraverso l'identificatore.
1196 Se invece si specifica un valore diverso da \macro{IPC\_PRIVATE}\footnote{in
1197 Linux questo significa un valore diverso da zero.} l'effetto della funzione
1198 dipende dal valore di \param{flag}, se questo è nullo la funzione si limita ad
1199 effettuare una ricerca sugli oggetti esistenti, restituendo l'identificatore
1200 se trova una corrispondenza, o fallendo con un errore di \macro{ENOENT} se non
1201 esiste o di \macro{EACCESS} se si sono specificati dei permessi non validi.
1203 Se invece si vuole creare una nuova coda di messaggi \param{flag} non può
1204 essere nullo e deve essere fornito come maschera binaria, impostando il bit
1205 corrispondente al valore \macro{IPC\_CREAT}. In questo caso i nove bit meno
1206 significativi di \param{flag} saranno usati come permessi per il nuovo
1207 oggetto, secondo quanto illustrato in \secref{sec:ipc_sysv_access_control}.
1208 Se si imposta anche il bit corrispondente a \macro{IPC\_EXCL} la funzione avrà
1209 successo solo se l'oggetto non esiste già, fallendo con un errore di
1210 \macro{EEXIST} altrimenti.
1214 Una coda di messaggi è costituita da una \textit{linked list} in cui nuovi
1215 messaggi vengono inseriti in coda e letti dalla cima, con una struttura del
1216 tipo di quella illustrata in
1220 \subsection{Semafori}
1221 \label{sec:ipc_sysv_sem}
1223 Il secondo oggetto introdotto dal \textit{System V IPC} è quello dei semafori.
1224 Un semaforo è uno speciale contatore che permette di controllare l'accesso a
1225 risorse condivise. La funzione che permette di ottenere un insieme di semafori
1226 è \func{semget} ed il suo prototipo è:
1228 \headdecl{sys/types.h}
1229 \headdecl{sys/ipc.h}
1230 \headdecl{sys/sem.h}
1232 \funcdecl{int semget(key\_t key, int nsems, int flag)}
1234 Restituisce l'identificatore di un semaforo.
1236 \bodydesc{La funzione restituisce l'identificatore (un intero positivo) o -1
1237 in caso di errore, nel qual caso \var{errno} viene settato agli stessi
1238 valori visti per \func{msgget}.}
1241 La funzione è del tutto analoga a \func{msgget} ed identico è l'uso degli
1242 argomenti \param{key} e \param{flag}, per cui non ripeteremo quanto detto al
1243 proposito in \secref{sec:ipc_sysv_mq}. L'argomento \param{nsems} permette di
1244 specificare quanti semfori deve contenere l'insieme qualora se ne richieda la
1245 creazione, e deve essere nullo quando si effettua una richiesta
1246 dell'identificatore di un insieme già esistente.
1250 \subsection{Memoria condivisa}
1251 \label{sec:ipc_sysv_shm}
1253 Il terzo oggetto introdotto dal \textit{System V IPC} è quello della memoria
1254 condivisa. La funzione che permette di ottenerne uno è \func{shmget} ed il suo
1257 \headdecl{sys/types.h}
1258 \headdecl{sys/ipc.h}
1259 \headdecl{sys/shm.h}
1261 \funcdecl{int shmget(key\_t key, int size, int flag)}
1263 Restituisce l'identificatore di una memoria condivisa.
1265 \bodydesc{La funzione restituisce l'identificatore (un intero positivo) o -1
1266 in caso di errore, nel qual caso \var{errno} viene settato agli stessi
1267 valori visti per \func{msgget}.}
1270 La funzione, come \func{semget}, è del tutto analoga a \func{msgget}, ed
1271 identico è l'uso degli argomenti \param{key} e \param{flag}. L'argomento
1275 \section{La comunicazione fra processi di POSIX}
1276 \label{sec:ipc_posix}
1278 Lo standard POSIX.1b ha introdotto dei nuovi meccanismi di comunicazione,
1279 rifacendosi a quelli di System V, introducendo una nuova interfaccia che
1280 evitasse i principali problemi evidenziati in coda a
1281 \secref{sec:ipc_sysv_generic}.
1285 \subsection{Considerazioni generali}
1286 \label{sec:ipc_posix_generic}
1290 \subsection{Code di messaggi}
1291 \label{sec:ipc_posix_mq}
1294 \subsection{Semafori}
1295 \label{sec:ipc_posix_sem}
1298 \subsection{Memoria condivisa}
1299 \label{sec:ipc_posix_shm}
1301 %%% Local Variables:
1303 %%% TeX-master: "gapil"